giovedì 31 dicembre 2015

Omelia 27 dicembre 2015


S. FAMIGLIA


Avete visto quella pubblicità del nonno che pranza a Natale da solo e, preso dalla solitudine, a un certo punto manda ai figli l’annuncio della sua morte? 
(ecco il link https://www.youtube.com/watch?v=8ghn_QEOCAs)
I figli, tutti personaggi in carriera, ricevendo quella comunicazione, sono presi dallo sconforto, dal rammarico di non aver dedicato tempo con il loro padre e si precipitano al funerale. Ma quando arrivano in casa il vecchio vivo li sorprende e dice: devo arrivare a questo per vedervi tutti? E si compone una bella tavolata.

Ecco, in questo spot l’elemento famigliare è molto sviluppato. Per quanto la famiglia oggi sia oggetto di varie interpretazioni e di varie situazioni, la pubblicità che fruga nei nostri meandri più reconditi sa di trovare una verità insopprimibile nella voglia di incontrarci, di stare insieme, di recuperare le corrette relazioni della vita. Qualche volta puoi perdere di vista quel progetto, ma esso non perde te e ti invita a recuperarne senso e misure. L’episodio dello smarrimento di Gesù al tempio è una vicenda che ci aiuta a leggere i nostri disorientamenti e i nostri ritorni.


1.    Anzitutto la perdita di Gesù. Maria e Giuseppe non se ne rendono conto subito, ma dopo tre giorni, presupponendo che il ragazzo fosse nella carovana, magari in compagnia di amici e conoscenti. Ecco, nella carovana della vita a volte dai per presupposto che tutto funzioni normalmente. E invece stai perdendo dei pezzi importanti. Come quando si trascurano i messaggi che l’altro ci manda in nome di una visione della vita che procede dai nostri presupposti. Tu sei preso in un vortice di occupazioni e non ti accorgi che tua moglie si sta vedendo con un altro: messaggini, sguardi, gentilezze... Eppure ti ha detto che ha bisogno di te, ti fa capire che da un pezzo non le rivolgi un apprezzamento, un’affettuosità, ma sei persuaso che le tue performances di tanto in tanto possano sopperire la tua latitanza: dove ne trova un altro come te? E invece l’altro esiste e te la sta portando via. Due sono i casi: o continui a guardare il tuo film, che presto finisce o torni a Gerusalemme per vedere che cosa è successo. Dove ci siamo perduti?

2.    Un altro passaggio importante è la necessità di coinvolgersi entrambi. Maria e Giuseppe partono insieme alla ricerca di Gesù. E nel momento in cui lo trovano, le domande sono fatte in prima persona plurale: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Il progetto perduto lo si trova se lo si cerca insieme e se si cerca oltre se stessi. A volte si crede di risolvere la difficoltà di coppia giocando al ping-pong delle colpe. E ci si fa ancora più male: sei stato tu, è colpa tua... No. Si deve ritornare sul progetto iniziale, convergere sulle soluzioni e farsi aiutare. Sia che si tratti della relazione reciproca, sia che si tratti di un figlio. A volte non lo si fa, convinti che l’altro stia esagerando o che il problema non sussista. Ma solo perché l’altro ti dice di vederlo, il problema va affrontato! Pensate anche all’importanza della comunicazione: ci sono dei percorsi che ci aiutano a comunicare correttamente. Nella domanda di Maria c’è l’affermazione di una relazione (=figlio), c’è un corretto coinvolgimento (=tuo padre e io), c’è l’interrogativo (=perché), c’è spazio per i sentimenti (=angosciati). I problemi si risolvono non per magia, ma gestendoli attentamente e facendolo insieme.

3.    Infine le problematiche affrontate correttamente ti spingono di fronte a nuove acquisizioni: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Maria e Giuseppe non colgono il senso di queste parole ma capiscono che in gioco c’è più di loro, più di quello che immediatamente afferrano: qualcosa che ha a che fare con Dio. A volte la vicenda di una famiglia è lo spazio di questa nuova comprensione. Come quando ti nasce un figlio con qualche difficoltà. Nei giorni scorsi la cassazione ha respinto il ricorso di una coppia che aveva intentato una causa contro l’Asl di Lucca perché aveva sbagliato la diagnosi prenatale ed era nato un bambino con sindrome di down e dunque, secondo i genitori con una vita «indegna di essere vissuta». La famiglia sta in piedi non con i tuoi criteri ma coni criteri di Dio che a volte ti regala bellezza anche nell’impossibile.



venerdì 25 dicembre 2015

Omelia Natale 2015


NATALE 2015


Le immagini di Papa Francesco che apre la Porta Santa sono state accompagnate da una certa resistenza che i battenti hanno esercitato sulla pressione del Pontefice. Per alcuni istanti sembrava infatti che quelle porte non volessero aprirsi, finché con un po’ di decisione il varco è stato dischiuso. Quelle porte sono l’icona della nostra vita, talora ostile alla pressione di Dio ma non così tanto da resistergli per sempre, perché lui ostinatamente preme perché gli facciamo posto e lo lasciamo entrare. E, a Natale, a Dio piace tornare a bussare e a sospingere le diffidenze umane oltre le nostre linee di confino, oltre la pretesa di essere a posto e non aver bisogno di Dio. Come si apre la porta a Dio?

1.    Stai attento all’imperatore e smetti di fare l’imperatore. Il vangelo di questa notte inizia con il censimento di Cesare Augusto. L’imperatore non ha bisogno di Dio. È lui Dio e decide la storia secondo i registri dell’anagrafe imperiale. Il resto non conta, anzi è una potenziale minaccia. A volte Dio non entra nella nostra vita perché siamo blindati dentro a complessi sistemi che gli impediscono l’accesso. Il sistema lavoro che con le sue regole non solo ti impedisce di dare tempo necessario alla famiglia, ma ti sta rubando a te stesso: e non ti rendi conto che Dio sta bussando alle porte di casa per restituirti a ciò che conta. Il sistema secolarizzazione: oggi c’è un politically correct che ti vuole convincere che Dio non è tra le questioni determinati della vita e che anzi, devi pure evitare di parlarne. Ma alla fine scopri che non sei affatto più libero, anzi sei sottomesso a un pensiero unico che diventa più ideologico di quella che combatti come un’ideologia. Pensate a quella donna che nei giorni scorsi è andata in Svizzera per farla finita. È vero che la malattia deve avere l’ultima drammatica parola sulla nostra vita o una parola possiamo dirla anche noi? Sta attento agli imperatori di turno, ai dominatori che vogliono censirti nei loro registri.

2.    Làsciati sorprendere. La porta è aperta quando ti accorgi che l’impensabile sta succedendo. Sono i pastori a capirlo per primi, abituati com’erano a vegliare di notte. Si rendono conto che la notte è abitata da movimenti inconsueti che squarciano l’oscurità. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Prova a guardarti intorno: dove si sta aprendo una feritoia di luce nella tua vita? I giorni scorsi sono stati occupati dalla polemica sul presepe. Ma il presepe non è il mezzo metro quadro di muschio che mettiamo in casa e che intendiamo difendere contro un barbaro invasore. Il presepe è la presenza di Dio che ci sorprende, crea novità e rivendica spazio nella tua vita. Che bella la vicenda del Gesù pellegrino animata dai bambini della scuola materna. Portavano a casa a turno la statuetta di Gesù e quell’ospite diventava l’occasione per riscoprire la bellezza di stare insieme, di ricollocare Dio tra le vicende importanti di una famiglia, di trovare il coraggio di pregare. Il Signore che si fa bambino ama sorprenderci con i bambini! Ma bella anche la testimonianza di un imprenditore che in questi giorni, interrogandosi su come nella sua azienda potesse vivere da cristiano, mi diceva: il Signore l’ho visto in un paio di donne che sono venute a ringraziarmi per essere riuscito a garantire loro quattro ore di lavoro. E capisci che mentre apri una porta a un dipendente, una porta si apre anche per te. Quella di Dio attraverso la quale scopri di non aver ceduto la tua umanità.

3.    Infine la porta di Dio si apre quando alla gloria sua nei cieli si accompagna la pace sulla terra. Proprio come cantano gli angeli. Vuol dire che la porta di Dio ha a che fare con le porte di casa nostra che possiamo chiudere e aprire. Perché continuare a star male e a farsi del male? Non sentite il canto degli angeli? C’è un dialogo molto bello nel film Invictus, dedicato a Nelson Mandela. Gli chiede François Pienaar, capitano della nazionale di rugby: «Come ha fatto a passare trent'anni in una minuscola cella e a perdonare quelli che ce l'avevano con lei?». E Mandela risponde: «Sono io il padrone del mio destino, il capitano della mia anima». Ecco come si apre la porta. Rimanendo capitano della tua anima, senza lasciarti dominare dal rancore, dalla gelosia, dai rimorsi, dalle ritorsioni, dalla chiusura. Fa’ che l’Anno della Misericordia sia anche nella pace che doni e ricevi; e l’indulgenza plenaria passerà anche su questa porta, senza troppe cerimonie, ma con molta verità.

Prova a fare un po’ di pressione. Vedrai che i battenti si aprono e che il Buon Natale che cerchi è proprio qua.


lunedì 14 dicembre 2015

Omelia 13 dicembre 2015


Terza domenica di Avvento


A natale puoi, fare quello che non puoi fare mai… è natale, è natale si può fare di più. La canzoncina la conosciamo bene.  E i creativi che vogliono venderci il panettone la accompagnano a un’istanza che a natale ci rende un po’ più sensibili: quella del fare.

Fare è importante: ci salva dai discorsi inconcludenti e consente alle idee di trovare un nuovo terreno su cui svilupparsi e diffondersi: quello della vita e delle sue responsabilità. Perché noi non siamo fatti di soli concetti: abbiamo bisogno di strade da percorrere, materia da plasmare, contatti da stabilire. Ma dobbiamo smascherare l’inganno pubblicitario: che il fare sia solo natalizio e che esso corrisponda alla condivisione famigliare del panettone.

La domanda che vari personaggi rivolgono a Giovanni Battista per ben tre volte: Che cosa dobbiamo fare? ci dà modo di riflettere sul senso del fare e di coglierne le misure più ampie.

  1. Anzitutto il fare allude a una responsabilità condivisa. Quel pronome che rimbalza da una domanda all’altra indica un coinvolgimento che riguarda tutti. E noi che cosa dobbiamo fare? Pensate all’abilità con cui in genere cerchiamo le responsabilità degli altri. Quello che dovrebbero fare i politici, il comune, la sanità, la chiesa, i preti. L’azione pone la questione anche su di noi: noi esitanti e noi latitanti, sfuggenti rispetto alla decisione di esserci. Il passaggio dalla logica feudale a quella comunale avviene nel medioevo sulla scorta di corporazioni che intuiscono i vantaggi dell’operare insieme e la possibilità di poterlo fare. E così si fa strada la logica del bene comune e non solo del feudatario. Oggi stiamo tornando ad un piccolo feudo da difendere: il nostro. E gli altri sono vassalli. Ci lamentiamo dei politici che fanno i loro interessi, ma la logica delle responsabilità o delle irresponsabilità talvolta è la stessa. Chi ce lo fa fare di coinvolgerci più dello stretto necessario a casa, a scuola, nel lavoro, nella parrocchia? Riscaldamento globale del pianeta. Finalmente alla Conferenza di Parigi si è giunti a un accordo e si è compreso che dalle parole bisognava passare ai fatti, a fare qualcosa. Salvare il pianeta abbassando la temperatura globale, restringendo a poco più di un grado e mezzo nel 2020 il riscaldamento massimo consentito. Il ministro degli esteri francese, presentando ieri i risultati della conferenza sul clima ha detto, citando Mandela: «Nessuno di noi agendo da solo può raggiungere il successo, il successo è portato da tutte le nostre mani riunite». Dove sono le tue mani? E noi che cosa possiamo fare?
  2. La domanda sul fare implica però anche la considerazione del suo oggetto: che cosa. Nel nostro Nord-est infatti l’azione non manca, ma la dobbiamo interrogare. Che cosa stiamo facendo? E quello che facciamo ci aiuta a preparare strade cristiane? Nonostante la crisi che ha messo molte aziende in difficoltà e ha creato problemi occupazionali noi continuiamo a essere schiavizzati da un lavoro o da più lavori che ci disumanizzano, distruggono famiglie, ci chiudono nella sfera del privato e soprattutto pesano enormemente sulle giovani generazioni. Primo perché non dedichiamo più loro tempo adeguato e ci sfuggono di mano: abbiamo ragazzi che fanno uso di sostanze e genitori lontani anni luce dal riconoscerlo. In secondo perché inoculiamo in loro modelli comportamentali che ripetono gli stessi errori dei grandi e che impediscono di capire che il senso della vita è donare la vita. In questa settimana i ragazzi di quarta superiore, dopo tre mesi che parliamo di servizio, solo in cinque si sono presentati per iniziarlo davvero. Ho la scuola, il lavoro, la palestra, lo sport... Dati del resto perfettamente in linea con il volontariato in Italia che registra un calo del giovanile al 6%. Non basta fare. Devi chiederti anche cosa stai facendo. E quale umanità stai generando.
  3. Infine Giovanni Battista ci fa capire che il verbo fare va attentamente coniugato su altre strutture verbali, a seconda di persone e situazioni. Alla folla: Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto. Fare si coniuga con il condividere. Ai pubblicani, esattori delle tasse: Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato. Fare significa correttezza e ricerca della giustizia. Ai soldati: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno». Fare significa rinunciare alla prevaricazione e alla violenza. Prova a vedere dove ti porta quest’anno il fare. Avete sentito quella bella storia di Ruggero, muratore di Montebelluna, separato da 25 anni che ha accolto di nuovo in casa l’ex moglie Mariarosa, malata di tumore e bisognosa di assistenza? Ma le regole degli alloggi Ater non prevedono inquilini diversi dal nucleo famigliare. E lui, senza fare una piega risposa Mariarosa. Non lasciare mai i tuoi fare in balia del caso, sposali a qualcuno, perché quel fare ti sorprenda e ti regali la bellezza della vita.

lunedì 30 novembre 2015

Omelia 29 novembre 2015


Prima domenica di Avvento 2015

Non so se avesse visto il gesto di papa Francesco che a Nairobi, secondo un’usanza africana, ha piantato un albero, ma in questi giorni un papà mi ha chiesto di fare la stessa operazione a S. Pietro, nei pressi del sacello, per ricordare la nascita di suo figlio. Mi pare una bella idea: un segno di vita e di fiducia nell’uomo, caparra di un domani buono. L’avvento inizia proprio con l’immagine di un germoglio: In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto. Non rassegnarti al vecchio, allo stantio, al si-è-sempre-fatto-così. Cerca la novità di Dio. Nella tua vita, in casa tua, nella chiesa, nel mondo. Anche dove ti sembra impossibile! E diventa anche tu un alleato di tale crescita. In che modo?

  1. State attenti ai sistemi. Gesù evoca anzitutto il sistema solare, un mondo che regola il giorno, le stagioni e i movimenti dell’uomo: Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle…. Ebbene questo movimento cosmico contrassegnato da una rigorosa concatenazione di elementi che sembrano ineludibili è anch’esso destinato a finire: le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Un modo con cui Gesù sta dicendo: attenzione a tutti i sistemi, perché anche quelli che sembrano più affermati e invincibili sono in realtà destinati a passare. I sistemi dell’economia e della finanza, i sistemi del terrore, i sistemi della moda, del tempo libero. Del consumo. Avete mai visto quello spot in cui c’è un uomo e un cane fuori dalla sala parto ed esce l’ostetrica con una cucciolata? È l’animale elevato a rango umano: un sistema che fa guadagnare milioni di euro. Risollevatevi, dice Gesù, non prostratevi a queste dominazioni. Il verbo anakupto vuol dire piegarsi ma verso l’alto, raddrizzarsi. Mettetevi dritti davanti ai potenti, a sistemi che sembrano dettar legge sulla vita degli uomini, perché queste potenze saranno cancellate.
  2. State attenti a voi stessi. Non ci sono però solo i sistemi. C’è anche la tua complicità, la tua stagnazione: Fate attenzione che i vostri cuori non si appesantiscano. Che cosa appesantisce la vita? Dissipazioni: la vita prigioniera del vuoto, dell’assenza di prospettiva; ubriachezze: lo stordi-mento, lo sballo; affanni: il dominio delle preoccupazioni. È facile pensare ai giovani in relazione all’alcol e allo stordimento. Ma ci sono anche le nostre preoccupazioni di adulti che impediscono al germoglio di spuntare. Quando l’orizzonte si fa oscuro e non c’è verso di uscire: non perché alcune situazioni non siano obiettivamente difficili ma perché non ci si lascia aiutare. O meglio perché più che aiutati si vorrebbe essere assecondati, compatiti. Perché anche il ruolo della vittima può tornare utile. Per attirare l’attenzione, per rivendicare affetto, per non essere disturbato, per non assumere altre responsabilità. Pensate ai coniugi divisi e a chi fa la vittima di fronte ai figli per accaparrarsi stima e affetto. Pensate alla presenza di una badante nella vita di una persona anziana. A volte la relazione si trasforma in una guerriglia perché si ha paura di perdere in autonomia o di essere scaricati. E i giorni diventano un inferno. Prova a capire ciò che sta avvenendo: forse i tuoi figli non vogliono scaricarti ma darti una mano, forse questa persona non è un carceriere ma un modo di arrivare dove non ce la fai più. State attenti a voi stessi.
  3. State attenti ai segni di Dio. Infine Gesù dice: Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Fa’ attenzione ai segni di Dio, osserva dove ti sta dando appuntamento. In questa settimana abbiamo assistito ai funerali di Valeria Solesin. Cerimonia laica, dove le diverse fedi sono rimaste a debita distanza, com’era stato loro chiesto, “perché nessuno ci mettesse un cappello sopra”. Ma non vi pare che Dio prepotentemente volesse entrare in tale circostanza e chiederci: a chi affidi la tua morte? Alle commemorazioni o a colui che dalla morte ti strappa? Le posizioni di alcune scuole tentate di trasformare il Natale in “festa d’inverno”, allontanando i riferimenti cristiani, quali orizzonti indicano alle giovani generazioni? Quelli della neve? Per quanto cerchiamo di togliere Dio dalla vita, lui non si dà per vinto e rinnova i suoi segni di amore e fedeltà di generazione in generazione. Anche alla generazione Bataclan.
    Pregate, vegliate in ogni momento perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo. Il Signore ritorna germogliare nella nostra vita. L’avvento sia tempo della novità e della sua sorpresa.

lunedì 23 novembre 2015

Omelia funerale Roberto Morosin


Funerale Roberto Morosin (23 nov. 2015)

(Letture 1Cor 15,20-28 – Mt 10,25-37)



Se la morte è sempre un’esperienza con la quale ci misuriamo a fatica, in alcuni casi essa lancia una vera e propria sfida alla nostra capacità di comprendere. E quando le domande non appartengono solo agli adulti, ma anche ad un ragazzo cui viene tolto un padre, siamo ancor più disorientati. Sembrano vere le parole che accompagnano la celebre danza macabra affrescata all’esterno della chiesa di Pinzolo:

Io sont la morte che porto corona

Sonte signora de ognia persona

Et cossi son fiera forte et dura

Che trapaso le porte et ultra le mura

  1. Anche se queste parole sono dei macigni hanno il pregio di condurci di fronte alla verità della vita, quella stessa verità che Roberto conosceva e con la quale si misurava dal 2012 quando era stato diagnosticato il suo male. Ne ha sempre seguito con attenzione il decorso senza trascurarne la gravità e senza lasciarsi sopraffare. Roberto aveva uno stile molto pragmatico e anche la malattia rientrava nella gestione dei problemi della vita. Questo modo di fare non è risolutivo, ma ha il vantaggio di non nascondersi, di non raccontarsi storie. L’uomo è segnato da una costitutiva fragilità che talvolta dimentichiamo presi da nostri miti di onnipotenza e di invincibilità. Tra poco lo canteremo: ricordati che l’uomo è come l’erba, come il fiore del campo. Ogni fratello che se ne va ci invita a raccogliere la verità dell’esistenza, a vederne anche la vulnerabilità, a vivere i propri giorni sapendo di essere sempre e solo di passaggio. Se una persona, un papà ci ha insegnato questo ha già fatto abbastanza.
  2. Ma questa pagina di verità non è tutta la verità. Accanto al corpo di Roberto brucia una piccola fiamma. È la luce del cero pasquale, accesa nella notte della risurrezione per ricordarci che la morte non è invincibile. Qualcuno è entrato nei suoi possedimenti e l’ha sconfitta. Fratelli, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti… e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno vita in Cristo. Adamo è la nostra prima verità, Cristo è la seconda. Insieme a Roberto noi cristiani custodiamo questa straordinaria speranza che intravede nella morte non una destinazione ma un varco. I cristiani non portano buoni consigli all’umanità ma l’annuncio della risurrezione e della vita. A volte ce lo dimentichiamo lasciando spazio alla tristezza e alla rassegnazione. Roberto oggi ci suggerisce di affidarci al mistero. Non tutto è documentabile attraverso le nostre percezioni e catalogazioni e Dio ama darci appuntamento proprio dove impariamo a vedere con il cuore, con la fiducia. Come ci ricorda il Piccolo Principe: L’essenziale è invisibile agli occhi. C’è di più di quel che vedi, c’è risurrezione e speranza.
  3. Le promesse di risurrezione fatte di cielo non riducono tuttavia le vicende della terra. E Roberto su questa terra c’è vissuto con molta responsabilità. La parabola dei talenti ben interpreta il suo coinvolgimento sulla scena famigliare, su quella professionale, su quella pubblica. Non era sempre tipo facile e qualche volta era anche un po’ burbero. Ma era solo scorza che rivestiva atteggiamenti di attenzione agli altri e disponibilità. Quando accostava un problema lo faceva suo maturando idee e cercando soluzioni praticabili rispondendo ai bisogni reali della gente. Alle persone dava fiducia e seguiva anche alcune situazioni particolarmente impegnative sul piano dei rapporti umani, convinto che ci fosse ovunque un po’ di bene e una possibilità di riscatto. Ma era anche esigente sotto il profilo dei risultati, in primo luogo con se stesso, convinto com’era che tutti dovessero e potessero dare il meglio. Un figlio a scuola, un disoccupato, un’associazione, un amministratore. Quest’ultimo incarico che ha assunto lo lega alla nostra comunità cittadina per la quale ha messo tempo, passione, energie. Mi piace ricordare il suo impegno con le parole di un Godigese che Roberto conosceva e che ogni tanto citava, Giovanni Renier. Divenuto vescovo di Feltre e Belluno, nelle sue Reminiscenze, a metà ‘800 scriveva di sé: “Scevro di ambizioni e di speranze, fui sempre alieno dal corteggiare i felici del mondo, se nol fosse talvolta per altrui giovamento. I posti, la fortuna, le grandi cariche, anche ecclesiastiche, sono assai volte di chi sa procacciarsele, né il merito personale vi ha sempre la maggior parte. Io non mi dico né meritevole, né umile, dico solo che arrossirei di me stesso laddove fossi giunto a mercar onori od impieghi coll'arte del cortigiano". Roberto non era un cortigiano, ma uno che ha cercato di promuovere il bene comune, la solidarietà e la disponibilità. Per questo crediamo che le parole ascoltate nel vangelo, oggi siano anche per lui: Vieni, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone.  

Omelia 22 novembre 2015


Cristo Re 2015


Vi ricordate il discorso finale di Charlie Chaplin nel film Il grande dittatore? Inizia così: «Scusate, ma non voglio fare l'imperatore. Non è il mio mestiere. Non voglio governare o conquistare nessuno». Siamo nel 1940 quando sull’Europa si profila lo scenario del secondo conflitto mondiale e i nazionalismi scatenano la loro offensiva. Qualcuno sta affermando la propria volontà di dominio e di potenza e vuole fare l’imperatore mostrando la propria boriosa grandiosità e distruggendo gli altri. Pagine tragiche che ogni tanto ritornano, perché l’imperatore è ancora in agguato. L’imperatore è il terrore scatenato sulla scena del mondo da uomini che in nome di Dio hanno perso Dio e se stessi, ma imperatore è anche quella logica che estromette le ragioni di Dio e ci fa credere che al suo posto può regnare la ritorsione armata, le regole dell’economia, una società laicista che estromette ogni riferimento all’assoluto e alla questione religiosa. L’imperatore tenta sempre di arrampicarsi sul trono e di dettare le sue regole.

Oggi c’è un’altra regalità da riconoscere: quella di Gesù. Una regalità un po’ strana, ma che viene affermata con decisione davanti a Pilato: «Dunque tu sei re?». «Tu lo dici. Io sono re». Che re è Gesù? Quale regalità ci insegna?

  1. Una regalità che non è di questo mondo. Di che mondo sei? In che modo intendi regnare? Come sono state efficaci le parole di Antoine Leiri, l’uomo che ha perso sua moglie al Bataclan e che ha scritto ai terroristi: Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. Noi vogliamo regnare con l’odio, la ritorsione. Ci pare che rispondere con i dispetti ai dispetti sia il modo di vincere. Ma quando ci comportiamo così regnano il rancore e la cattiveria, non noi. Siamo prigionieri di logiche di questo mondo dalle quali Gesù ci invita a prendere le distanze. Il mio regno non è di quaggiù. Fai vedere che sei più forte di ciò che sembra forte, fai vedere che c’è un regno più grande di quelli del mondo.
  2. Una regalità capace di rispondere, di rimanere in piedi di fronte ai suoi interlocutori e accusatori. «Dunque tu sei re?». «Tu lo dici. Io sono re». Gesù non arretra di fronte a Pilato, ha il coraggio di rispondere. Sei re se non fuggi, se non stai in silenzio quando ti è chiesto di parlare. Il silenzio infatti non è sempre una virtù: può essere un nascondiglio, un alibi. Perché in questi giorni pretendiamo che i musulmani parlino, si facciano sentire? Perché le parole sono importanti! Perché se loro non si dichiarano estranei ai fatti capitatati c’è il rischio che i fatti regnino su di loro, con il loro carico di morte. Ma questo chiede ragione anche dei nostri silenzi. Quando ci è chiesto di dire fede e glissiamo, quando l’altro ci interpella e non vogliamo incontrarlo, quando le parole devono assumere responsabilità ma preferiamo impegnarci a metà. Sei re o stai scappando?
  3. Però la regalità non è fatta solo di parole. È fatta di parole vere. Per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Tu regni se ti metti dalla parte della verità. Ora però la verità non sta in tasca a nessuno. La verità è Gesù e il suo vangelo. Chi è dalla verità ascolta la mia voce. A volte nelle nostre affermazioni siamo un po’ sbrigativi: “Io dico la verità!”. Chi sei? L’oracolo di Delfi? Pensate a quel tipico intercalare che contagia i godigesi da una generazione all’altra: ghetu capio? E tu? Cosa hai capito? A volte le nostre comprensioni sono fatte di interesse personale, amor proprio, egoismo. È stato molto bello osservare martedì la nutrita partecipazione alla serata dedicata al tema dell’emigrazione. Vuol dire che abbiamo riconosciuto il nostro bisogno di capire per non essere vittime di pregiudizi, di chi ragiona con la pancia e poco con la testa e il cuore. Vuol dire che le strade della verità sono diventate un po’ più nostre! Ecco tu regni se ascolti e accogli questa verità, perché tutto il resto se ne va via veloce ma chi ascolta il vangelo rimane e regna.

domenica 15 novembre 2015

Omelia 15 novembre 2015


TRENTADUESIMA DOMENICA T.O.



In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo chiarore. E ieri notte la luna sembra essersi spenta a Parigi. I fatti capitati ci mettono di fronte a un disegno oscuro e minaccioso che sembra chiudere i nostri orizzonti e affermare la presenza di una invincibile logica di morte e di terrore. E le ombre si allargano sulla nostra vita, sui rapporti con gli altri, sulle frontiere generando chiusure, sospetti, distanze, divisione. Come vivono i discepoli di Gesù questa situazione?



  1. Anzitutto ristabilendo i giusti confini della storia. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi. Se lo scenario del terrore è grande, ce n’è uno di più grande ancora, che appartiene a Dio. Guarda che il gioco delle tenebre è quello di far credere che siano invincibili, è quello di chi vuol uccidere la speranza. Il cristiano invece vive nell’attesa del Signore e sa che se i giorni umani sono oscuri essi dovranno misurarsi con il giorno in cui Qualcuno verrà squarciando le nubi che generano scompiglio e oscurano la visuale. Dio è più grande dei terroristi. Non lasciarti prendere dall’idea che Dio sia impotente e neppure dall’idea che qualcuno possa farla franca. Perché questa sensazione non ci prende solo in rapporto all’Isis, ma anche di fronte ai sotterfugi della vita, ai tradimenti dell’onestà, della giustizia. Viene il giorno del Signore. Ed è un giorno di giudizio. Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.

  2. Un altro invito che Gesù ci rivolge è nella verifica delle promesse. Le stelle cadranno dal cielo. Le stelle sono il segno di una vita che appare splendente, di successo. Parla il ricco, tutti tacciono e portano alle stelle il suo discorso (Sir 13,23). Sta attento alle stelle che insegui, perché potrebbero precipitare. Ora noi ci confrontiamo con gli eventi drammatici di queste ore, ma se scorrevi Facebook fino a ieri, cosa trovavi? Centinaia di post che difendevano Valentino Rossi dal suo rivale. E se leggete l’inchiesta dell’Espresso di questa settimana vedete che negli adolescenti 14/18 sport e spettacolo hanno soppiantato ogni altro riferimento dell’universo giovanile, insieme all’aspirazione di essere scoperti da un talent show. A volte sul nostro quotidiano si accendono stelle molto fugaci e passeggere. Sta attento alle immagini che vedi, alle luci che brillano, alle parole che senti. Sta attento ai modelli che interpreti, perché c’è il rischio di sbagliare appuntamento con la vita. E il monito vale per tutti, anche per quell’abate di Montecassino che prima di aver tradito la chiesa ha tradito se stesso, precipitando come quelle stelle mondane che voleva inseguire. Mentre tutto passa, c’è una sola cosa che resta, assicura Gesù: la sua Parola. Investi sul vangelo e vedrai che la tua vita sarà salda. Sulla roccia.

  3. Infine Gesù ci affida ai segni di vita.   Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Se c’è un mondo prigioniero della morte, ce n’è un altro che fa sbocciare la vita. E questo avviene senza attirare l’attenzione, con semplicità. Cerca il ramo che germoglia e mantiene ciò che promette. Nell’inchiesta dell’Espresso c’è un dato significativo. Mentre Nel 1983 la famiglia era al sesto posto della scala dei valori, ora è al primo ed è considerata molto importante dal 96% dei ragazzi. Forse è proprio qui il germoglio da indicare, da custodire. Comincia da casa tua: la presenza e l’educazione alla fine pagano, l’affetto di un padre e una madre non è insignificante, i tuoi valori e i tuoi richiami non passano inosservati. Fa’ crescere il germoglio… e questo aiuta a trasformare i giorni umani, spesso minacciosi e cupi, nel giorno di Dio. Chissà che la notte di Parigi sia rischiarata e vediamo il mondo con un briciolo di speranza in più.

lunedì 9 novembre 2015

Omelia 8 novembre 2015


TRENTADUESIMA DOMENICA DEL T.O.



Finché rimane uno sport, l’arrampicata in bici o sulla falesia è qualcosa di avvincente e spettacolare. Problema nasce quando dallo sport si passa alla vita, alla professione, alla collocazione sociale. Anche qui ci si arrampica allo scopo di affermare se stessi, di ottenere visibilità, prestigio, considerazione da parte degli altri. E le cronache di questa settimana dimostrano che nessuno è esente da tale tentazione, neppure preti e monsignori, colpiti da quella che possiamo definire la “sindrome dei farisei”. Quali sono i sintomi? Apparire: amano passeggiare in lunghe vesti, pregano per farsi vedere. Dominare: amano avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Possedere: Divorano le case delle vedove. Ecco, dice Gesù, quando vivi così non hai capito niente. Cerchi una visibilità esteriore, ad essa attribuisci la tua riuscita e non ti accorgi di un’altra ricchezza che invece sostiene la vita. Una ricchezza che ama nascondersi, che è frutto di una ricerca che va al di là di quello che immediatamente appare. E così Gesù rovescia i farisei dalla cattedra e ci fa salire una vedova che entra furtivamente nel tempio e lascia una piccola offerta. Qui, afferma Gesù, c’è la ricchezza della vita. Ed essa è racchiusa in tre parole: povertà, totalità e gratuità.



  1. POVERTA’ - Intanto si tratta di una vedova povera (ptoké=pitocca). Ptokoi sono i primi beati di domenica scorsa. Sta attento che le misurazioni di Dio non seguono i criteri del mondo. E c’è il rischio di sbagliare appuntamento con la vita, di investire dove l’esistenza non sta in piedi. Certo, i preti attaccati al denaro, che vivono come faraoni, come ha detto papa Francesco. Ma pensate anche alla logica del matrimonio e dei suoi standard che intacca anche la decisione di sposarsi, al punto che se non hai il lampadario appeso ti pare che la casa non stia in piedi. Che cosa tieni in piedi una famiglia? Il frullatore Bimbi o il bene che vi volete?

  2. TOTALITA’ - La vedova consegna molto poco nel tesoro del tempio: spiccioli. Ma, osserva Gesù, essa ha dato tutto quello che aveva per vivere ólon ton bìon autés. Ha dato tutta la sua vita. Pensate a quei ragazzi che questa settimana si sono messi in fila ancor prima dell’alba per assicurarsi alcune collezioni trendy messe a disposizione negli store H&M, anche a Treviso. Sono frutto di questa società regolata dalle apparenze, dove sei ciò che indossi. Guarda che la grandezza della vita sta nel dare la vita: quando oltre ad alzarti presto per i vestiti di Balmain lo farai anche per assistere qualcuno, per andare al lavoro, per dire che ci sei davvero, non solo come comparsa. Inizia a regalare vita non il superfluo, tempo non frettolose apparizioni, servizio affidabile non le intermittenze, gioco e non giocattoli. Perché alla fine trovi quello che hai versato!

  3. GRATUITA’ - Altro aspetto interessante è di natura sonora. Nel tempio di Gerusalemme vi erano tredici cassette di offerte destinate a vari scopi ed erano fatte in bronzo a forma di tromba (shofarot). Quando si gettavano le monete il suono metallico che accompagnava il gesto era indice dell’importo versato. Per questo Gesù dice in un’altra pagina: quando fai un’offerta non suonare la tromba, proprio come nel caso della vedova le cui monetine manco si percepiscono. Il bene non ha bisogno di essere sbandierato.  A volte noi siamo molto preoccupati che gli altri si accorgano di quello che facciamo. E suoniamo la tromba: dell’autocompiacimento (che bravo che sono) o della recriminazione (non ti accorgi di quello che faccio). Non ne hai bisogno. Primo perché il gesto dell’amore autentico basta a se stesso: dice infatti che quella è la modalità normale per vivere l’esistenza, per essere uomini. Secondo, perché c’è qualcun altro che guarda quello che fai: Dio stesso, che si compiace nel vedere che i suoi figli vivono della sua stessa logica e dilatano nel mondo il suo amore.
    Ecco, come vivi la vita? Guarda che non devi arrivare all’alba delle offerte H&M, ma all’alba di Dio, a quel giorno in cui scopri che non sono le sceneggiate che contano ma solo quello che hai costruito nella verità e nell’amore. 

domenica 1 novembre 2015

Omelia 1 novembre 2015


Santi 2015



Il Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone ha affermato nei giorni scorsi che se a Roma dilaga il malaffare è perché mancano degli anticorpi capaci di combattere l’incuria, superare l’immoralità e sanare il degrado. Una città che si rassegna ai suoi amministratori e che forse ha perso il ricordo di un modo differente di vivere adeguandosi, in fondo, allo stesso stile. Rubi tu e rubo anch’io. Sei assente tu e mi assento anch’io. Una provocazione che ha suscitato non poche polemiche ma che ci aiuta a capire che se si diffondono certe malattie è perché l’intero organismo manca delle difese necessarie.

Ebbene, i Santi ci vengono dati proprio per recuperare questo patrimonio immunitario, per ricordarci una bellezza con cui Dio ha pensato l’uomo, la vita, il mondo.



  1. Beati. Ecco il primo invito che risuona nel vangelo di oggi. Una parola ripetuta per nove volte perché non ci rassegniamo di fronte ai compromessi, alle ambiguità, alle degenerazioni e cerchiamo sempre l’orizzonte di Dio. Dio pensa al meglio, per te e per ogni uomo. Oggi ad esempio tra i ragazzi sembra esserci una gara del peggio dove la scuola diventa il crocevia del gioco al ribasso: “Io ho preso tre!”. “Io ho preso due!”. E si ride. quasi che la popolarità non dipenda dalla bravura, ma dalle cretinate che inventi e riprendi. Bravo se svacchi. Come bravo se bevi e se sballi. Beati! Non perdere le prospettive grandi della vita, il meglio che ancora ti può appartenere.

  2. I santi però ci ricordano che la felicità passa attraverso la debolezza e conti che non tornano sulle calcolatrici umane: beati i poveri, quelli che piangono, quelli che hanno fame e sete… Gli anticorpi che ci guariscono dai mali d’oggi sono assimilabili in queste esperienze di precarietà. Perché? Perché in esse non corri il rischio di sentirti a posto, arrivato. Qual è il dramma con cui oggi spesso ci misuriamo? Quello per cui non ci manca niente. Ieri è venuta una coppia di futuri genitori. Erano sconcertati perché erano andati in un negozio a prendere una carrozzina. Ma non è più come un tempo che ne individui una e l’acquisti. Oggi devi scegliere i pezzi, proprio come quando acquisti una macchina: colore, ruote, telaio, tessuto. Il tuo bambino mica è come gli altri! E questo stile continua: non deve mancare niente. Carrozzina, ovetto, seggiolone: pronto il pacchetto. Giochi: non sappiamo più dove metterli. Capricci: subito accontentati, tanto che i bambini divengono presto sovrani e genitori e nonni i loro sudditi. Il problema degli adolescenti difficili e maleducati non è l’adolescenza, ma il modo con cui hai gestito l’infanzia riempendoli di cose e vuotandoli di attesa. Privandoli anche degli anticorpi che li aiutano a reggere nella vita, a capire che non tutto è scontato e che se non incontra subito qualche no sarà la vita a presentarglielo, con un conto molto salato. Ecco perché Gesù si ostina a dire: Beati i poveri, perché quando ti manca qualcosa stai trovando te stesso!

  3. E infine i santi ci consegnano l’audacia di una profezia che lotta, paga di persona, indica i confini di un mondo diverso da quello che sembra prevalere. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia. Mi viene in mente quello che patiscono i genitori di ragazzi disabili alle prese con istituzioni che liquidano sbrigativamente la loro situazione. Un papà ieri mi diceva: l’azienda sanitaria è stata più sorda di mio figlio che non ci sente. Ma mi viene in mente anche la loro tenacia: “Non è per me, ma per loro. E per loro si va avanti”. Avete sentito anche la denuncia di Papa Francesco rispetto alle donne licenziate non appena dichiarano di aspettare un figlio. In alcune aziende sottoscrivono già all’assunzione la lettera di dimissioni, qualora l’ipotesi si realizzasse. Il papa ha parlato di un duplice diritto: al lavoro e alla maternità. Qui dobbiamo fare le lotte, giocarci e scendere in piazza: a difesa della famiglia e della natalità. Questi sono anticorpi buoni. Che difendono l’uomo e gli consentono di nascere ancora.
    È possibile essere santi? La prima lettura ci ha presentato una moltitudine immensa che nessuno poteva contare. Il battesimo che abbiamo ricevuto non è stato uno scherzo. Esso produce novità nella nostra vita, al di là anche della nostra osservazione. I santi del calendario, ma anche tanti altri santi più vicino ci indicano la strada.

sabato 24 ottobre 2015

Omelia domenica 25 ottobre 2015


Trentesima domenica del T.O.


Ho scoperto che a cinquant’anni gli occhiali da lettura sono necessari. Togli, metti… vorresti evitare questa alternanza, ma scopri con un certo realismo che non ne puoi fare a meno. Così è anche nella vita: tu sei di fronte a determinate situazioni, ma per vedere di serve un’occhiale in più, altrimenti vedi sfuocato, vedi solo a metà. Ebbene, Gesù vuole restituirci oggi un po’ di vista, quella che viene dall’incontro con lui, quella di chi accosta la vita con gli occhiali della fede. Alla fine, infatti, questa sarà la dichiarazione che Gesù rilascia a Bartimeo, il cieco guarito: La tua fede ti ha salvato. Come si accede a questo sguardo nuovo? Come si recuperano queste diottrie?

  1. Anzitutto osserviamo la situazione. Bartimeo è a Gerico, città di confine e, seduto ai margini di una strada, chiede l’elemosina ai passanti. Egli non è cieco dalla nascita: una volta ci vedeva e per questo chiede di avere di nuovo la vista. Quali sono le situazioni che una volta ci pareva di conoscere e che attualmente ci trovano incapaci di vedere? Il matrimonio: una volta ci si vedeva bene, poi qualcosa si è oscurato. L’approccio all’ambiente di lavoro: una volta si vedeva un’etica; oggi timbri tre-quattro badge, magari anche in mutande, e poi te ne vai per i fatti tuoi. Oppure pensate all’approccio più generale alla vita: una certa serenità lascia spazio al pessimismo, alla tristezza, al rammarico o al rimpianto. E ci pare che la vita ci debba qualcosa che, con la ciotola delle recriminazione, andiamo a chiedere. Quando succede questo, siamo a Gerico, in una terra di passaggio. Puoi rimanere prigioniero della tua situazione o puoi tornare a vederci. Come?
  2. Altro aspetto importante è il grido di Bartimeo: «Figlio di Davide, abbi pietà di me». “Figlio di Davide”: in questo termine c’è l’eco di una storia antica. Una storia di fedeltà tra Dio e il suo popolo. Il cieco sta dicendo: “Signore, fammi vedere dove sono finite le tue promesse. Aiutami a riconoscere la tua presenza”. Ma a questa richiesta corrisponde un’azione dissuasiva di qualcun altro. Molti lo rimproveravano perché tacesse. È quello che capita anche oggi quando tentiamo di gridare a Dio o quando tentiamo di affermare le ragioni di Dio e di riacquisire i suoi disegni. Qualcuno ci vuole zittire. Ci zittisce la fretta che ci impedisce di pregare. Ci zittisce una preghiera sfiduciata che dubita del reale ascolto da parte di Dio. Ci zittiscono i consigli altrui che talora ci suggeriscono atteggiamenti che non sono quelli del vangelo. Pensate all’incrinatura di un rapporto di coppia: “Perché devi credere nella recuperabilità di una relazione? Rassegnati! Mollalo. Hai fatto bene!”. Cosa fa il cieco? Gridava ancora più forte. Non mollare la presa, sembra dirci. A volte il Signore aspetta proprio questo, che gridi ancora di più, non perché non sappia ciò di cui abbiamo bisogno, ma perché attende che riconosciamo la nostra insufficienza e impariamo a fidarci di lui. Perché ci rendiamo conto che non tutto passa attraverso la nostra contabilità: «Coraggio, alzati, ti chiama».
  3. Bartimeo si trova di fronte a Gesù: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». Ma quella fede che salva qui produce un altro cambiamento: mentre prima il cieco stava presso la strada (parà ten odón) alla fine sta nella strada (en ten odón). Se vuoi che qualcosa cambi nella tua vita, se vuoi tornare a vedere devi inoltrarti sulla strada di Gesù e del vangelo. Non rimanere ai bordi. Pensate alle polemiche di questa settimana sull’ora di religione. C’è nuovamente qualcuno che cavalca il cavallo della polemica e che dice che certe  risorse della scuola bisognerebbe impiegarle non per la religione, ma per gli insegnanti di sostegno. E continuiamo ad alimentare una  impostazione scolastica pretestuosa che continua a marginalizzare l’insegnamento della religione e chi lo frequenta. Rimani su quella strada. Non te ne allontanare. Non c’è solo l’insegnante di sostegno, ma ci sei anche tu che hai bisogno di sostegno, per capire e per capirti, per comprendere l’arte e la storia di questo paese, ma anche per poter capire che la dimensione religiosa è vitale per l’uomo e proprio questo tempo insegna che, cacciata dalla porta sta rientrando dalla finestra. Basta osservare la scena internazionale. Segui Gesù sulla strada, anche quella di un’ora alla settimana a scuola. Forse puoi tornare a vedere meglio. E forse qualche beneficio lo potrà avere anche questo nostro paese.
    Non aver paura degli occhiali. Mettiti però quelli giusti e lascia che Gesù ti conduca a vedere.  

Omelia funerale Bruno Furlan

Funerale Bruno Furlan (21 ott. 2015)
1Cor 15, 51-57 Gv 14,1-6

La parrocchia è fatta di molta gente, ma alcune persone ti consentono di riconoscerne il volto. Sono quelle che vediamo con maggior regolarità e che sono diventate parte di un appuntamento o di un rito che si rinnova. Bruno era tra queste.
Lo vedevamo a messa, anche due volte al giorno, tre se c’era un funerale: i suoi commenti, i suoi canti con qualche strafalcione, le offerte, l’elemosina, i rimproveri ai ragazzi che disturbavano in chiesa… E così capivi che eri a Godego, in questa nostra vicenda comunitaria! 
  1. Bruno ci ricorda che la vita cristiana ha un luogo nel quale trova la sua più chiara visibilità: la chiesa parrocchiale. La chiesa non esaurisce la vita cristiana, come una casa non esaurisce la vita famigliare. Ma la chiesa e la casa sono un riferimento per identificarci, per ritrovare un volto, un’imma-gine sulla quale specchiarci e capire chi siamo. E se non entriamo in questo spazio, finiamo per perderci, per confondere la nostra stessa realtà. Bruno frequentava questa casa: per lui era importante. Da una decina d’anni aveva lasciato la sua vecchia casa dei Prai e si era trasferito in centro. Un passaggio non facile per uno come lui tenacemente radicato nelle tradizioni agresti. E forse, in questa costosa dislocazione, la chiesa – che era ancora quella di sempre – costituiva una sorta di garanzia per non smarrirsi. Ma vederlo in chiesa consentiva anche a noi di ritrovarci, di contare su un riferimento, di capire che nei nostri andirivieni c’è qualcuno che resta al suo posto. Bruno ci ha ricordato che la fede è un’avventura in comunione, che ogni presenza è un dono. Non trascurare mai quella casa nella quale il Signore ha dato inizio alla tua fede, guarda con gratitudine chi la frequenta e cerca di essere anche tu riferimento per la fede dell’altro. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti, ci ha assicurato Gesù, Io vado a prepararvi un posto. Bruno rimanendo al suo posto ci ha ricordato che Gesù tiene in serbo un posto per ciascuno di noi e già in questa vita esso ci viene donato. 
  2. Il mondo di Bruno era fatto anche di terra e di animali. La sua casa nuova era stata ben presto organizzata come quella antica e chi la visitava ne rimaneva un po’ impressionato: galline, conigli, mais... un’arca di Noè! Ognuno di noi è quello che è, con i suoi limiti, le sue fisse, i suoi modi di fare e anche Bruno non era esente da una certa …originalità! Però ad un certo punto ha accettato una trasformazione. Mettendosi di fronte a sua moglie malata, ha capito che le cose dovevano cambiare e ha accettato che il tempo della fattoria fosse concluso. Sapendo quanto gli era costato tale passaggio mi pare una decisione non da poco, testimonianza di una disponibilità a lasciarsi mettere in discussione e aprire nuovi varchi tenendo conto non solo delle proprie propensioni o simpatie, ma anche del bene dell’altro. Non rimanere prigioniero di te stesso, delle tue idee, ci dice Bruno. Non credere che il cambiamento sia impossibile. Quali sono le tue impostazioni che incatenano la tua vita e la vita di chi ti vive accanto? Guarda che ci si può liberare: non solo dalle galline e dai conigli, ma anche da abitudini che generano malcontento, fraintendimenti, appesantimenti nelle relazioni. La morte non è solo la conclusione dell’esistenza, quanto la partecipazione a scelte velenose che minacciano vita. Il pungiglione della morte è il peccato, ci ha ricordato Paolo, e qualche volta ne siamo artefici. Ma il Signore ce ne può liberare: Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria. Lascia che Gesù ti liberi dalle scelte di morte che compromettono l’eterno. 
  3. Bruno però, insieme a sua moglie, è passato anche attraverso la grande sofferenza. La morte tragica di suo figlio ha lasciato un marchio indelebile nella sua esistenza. Lui a volte si intratteneva con noi e scherzava, ma nei suoi occhi c’era sempre un velo di tristezza. E tuttavia questo non gli ha fatto perdere la fede e la speranza che sono in Dio. A messa, durante la comunione, Bruno spesso intonava il canto che immancabilmente era: Il Signore è il mio pastore. Pur se andassi per valle oscura, non avrò a temere alcun male: perché sempre mi sei vicino, mi sostieni col tuo vincastro. La vita a volte ci riserva momenti di grande difficoltà e ci mette alla prova. E allora ci si può chiudere e incattivire. Ma si può anche guardare all’oltre di Dio nella persuasione che lui non ci perde. Lui è il Buon Pastore che non teme la valle oscura.
Bruno ci ha creduto. Era una persona semplice, non esente da limiti che noi del resto abbiamo conosciuto. Ma era un credente che si metteva nelle mani di Dio e che oggi ci lascia in eredità un po’ della sua fede e della passione per questa comunità.
Raccogliamo tale dono. Diventi responsabilità nello stare accanto a Gelinda e Denis perché mancando un marito e un padre trovino dei fratelli e diventi fiducia il quel Dio che sempre ci accompagna e fa nuove tutte le cose.

martedì 13 ottobre 2015

Omelia 11 ottobre 2015


Ventottesima domenica del T.O.


Henry David Thoreau, filosofo statunitense, per sperimentare una vita più semplice nel 1845 si ritirò in una piccola capanna da lui stesso costruita presso il lago di Walden. E Walden divenne anche un famoso suo libro dove descriveva il senso della sua scelta. 

Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto”. Ecco, da sempre l’uomo porta nel cuore un desiderio di vita autentica, sottratta a tutto ciò che la compromette e la mortifica. Anche nel vangelo di oggi c’è un tale che cerca vita, capace addirittura di resistere alle sfide del tempo: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Qual è la strada della vita per il cristiano? Gesù non ti chiede di andare nei boschi, ma ugualmente ti chiede di fare attenzione a chi promette e non mantiene, a chi dice di darti vita mentre in realtà la sta soffocando.

  1. La prima garanzia di vita appartiene a una strada ben nota: «Tu conosci i comandamenti». Gesù ricorda la seconda parte di questa antica legge, quella che ha a che fare con gli altri. La pienezza che cerchi è fatta di alcuni riferimenti fondamentali che ti ricordano che la tua vita non è mai scollegabile dalla vita dell’altro. Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre. Non pensare di trovare vita da solo, di privatizzare l’esistenza. Essa ti è sempre donata in una trama di relazioni che, se dimentichi o ne alteri il valore, compromettono anche il tuo equilibrio, la tua stabilità. Pensate alla scelta delle Suore di Madre Teresa che, opponendosi ad una nuova legge indiana, hanno sospeso le adozioni per non consegnare i bambini orfani a single, affermando il diritto di un bambino ad avere un padre e una madre. Non uccidere la speranza dell’altro, non adulterare l’amore umano, non rubare la bellezza di una famiglia. Ecco i comandamenti che ti ricordano che la tua vita è sempre vita nella direzione di qualcun altro. Non perdere il fratello.
  2. Quel tale di cui parla il vangelo sembra però già convinto di queste cose: Che mi manca ancora? Ed ecco allora il rilancio di Gesù. «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; ». Per avere vita, la seconda attenzione è il monitoraggio di ciò che la risucchia. Sta’ attento perché rischi di non trovare più niente. È l’inganno della ricchezza, realtà alla quale quel tale del vangelo ha già consegnato i suoi giorni: Se ne andò rattristato: possedeva infatti molti beni. I beni che ti impediscono di vedere il bene, il tuo e quello degli altri, i beni che diventano una sorta di carcere che ti toglie la libertà. Il risparmio che diventa spilorceria, tanto che eviti chi potrebbe chiederti qualcosa, famigliari compresi. La casa che diventa una sorta di santuario dove per custodire gli ambienti nuovi continui a vivere nei vecchi. Ma può capitare anche il contrario: ho tanti soldi e devo far vedere che li ho. Allora mi devo muovere con determinate vetture, vestirmi in certo modo, esserci in alcune occasioni, sparire in altre: tutto per mantenere un certo standard di rispettabilità. Vedi che la ricchezza sta mangiando la tua libertà?  Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio! Il povero che Gesù indica è la grande opportunità che la vita ci consegna per scuoterci dall’inganno e restituirci alla verità di quello che siamo. Per ricordarci che siamo dei poveri, tutti, e che la ricchezza vera è essere vita per qualcuno. È dare la vita. 
  3. Infine Gesù dice: «Vieni! Seguimi!». Trovi vita se segui lui, se entri in una nuova economia fatta di sorpresa, di centuplo. In questi giorni il Presidente Mattarella ha insignito alcuni italiani di un’onorificenza al merito. Mi colpiscono molto queste storie, in particolare di quell’insegnante di Cavarzere che ha speso una vita per l’inclusione scolastica di ragazzi disabili. Un segno ben diverso da quella madre che, in Francia, ha ritirato la figlia da scuola perché riteneva sconveniente la presenza di un’ausiliaria down. Ritiri tua figlia, l’altro è un pericolo, occhio alle minacce, filo spinato… e la tua vita, anziché il centuplo, si impoverisce. Chi stai seguendo? Quale progetto?

    Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. Domandiamo anche noi la sapienza della vita e la capacità di cercarla sempre in grande, secondo le misure dell’eterno.

domenica 4 ottobre 2015

Omelia 4 ottobre 2015




 
Ventisettesima domenica del T.O.
Si sta avvicinando il Sinodo sulla Famiglia e non mancano le attese e le provocazioni. Il matrimonio è indissolubile, ricorda qualcuno: il Sinodo non può cambiare la dottrina! Ma altri ricordano che il quadro culturale oggi è più complesso e ci si deve misurare con situazioni inedite che non rientrano con semplicità nel Codice di diritto canonico. C’è poi la forte pressione del mondo gay che rivendica nuovi spazi di considerazioni e la pretesa di fare famiglia come ogni famiglia. L’uscita di quel monsignore romano che ha dichiarato la sua omosessualità e il fatto di condividerla con un compagno è una chiara provocazione tempisticamente molto calcolata. In questo dibattito a volte non è importante la verità ma la legittimazione delle proprie idee che qualche volta vengono barattate come vangelo. È la stessa situazione di fronte alla quale oggi si trova Gesù: alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova. E la prova è proprio su un terreno in cui gli uomini sono parecchio vulnerabili, quello della stabilità degli affetti famigliari: È lecito a un marito ripudiare la propria moglie? Se Gesù avesse detto di no avrebbe smentito la legge di Mosè che in alcuni casi prevedeva il ripudio. Se avesse detto di avrebbe smentito il suo massaggio di amore. Cosa dice Gesù, come ne esce?
  1. Gesù smaschera innanzitutto una resistenza che impedisce di accogliere l’iniziativa di Dio. Per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse questa norma. A volte anche noi scriviamo norme che non vanno a salvaguar-dare un progetto ma a legittimare un presunto diritto. Il diritto a rifarsi una vita: oggi sull’onda di una certa indifferenza si smentiscono scelte fatte in precedenza inseguendo momentanee emozioni. Non importano i diritti di chi abbandoni, magari dei tuoi figli. Così il diritto ad avere un figlio, anche nell’ambito di un’unione omosses-suale: e il diritto ad un padre e uno madre? Oppure il diritto a convivere, senza troppi problemi ritenuti formalità. Sicuro che il matrimonio sia tale? Com’è allora che quando arrivi a dire quel sì ti emozioni e  ti viene il nodo alla gola? Vuol dire che non era formalità: vuol dire che il cuore era indurito. Non ti nascondere: occhio a non fare dei tuoi sistemi discutibili la legge che regola il mondo.
  2. Gesù però non si limita a visitare il cuore dell’uomo: invita a trovare un’origine generante: Dall’inizio della creazione non fu così. Bisogna tornare al principio, altrimenti sopravvengono tanti principi che non stanno in piedi. Il principio è custodito in quel racconto che abbiamo udito: Dio crea l’uomo e la donna. È un principio di somiglianza: Non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Dove colmi la tua solitudine? Col cane? Hai bisogno di qualcuno che ti corrisponda non di qualcuno che ti scodinzoli! È un principio fatto di mistero: quando Dio crea, l’uomo dorme. Fermati alle soglie dell’azione creatrice: c’è qualcuno di più grande all’opera. Non è il gioco del piccolo chimico! E un principio carico di stupore e di gioia: Questa volta è ossa dalle mie ossa e carne dalla mia carne! All’inizio c’è sorpresa non adeguamento: ti sei perso lo stupore per strada? Come guardi tua moglie/marito? È un principio che implica il lasciare: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre… Se vuoi vivere qualcosa di inedito devi mollare gli ormeggi! La carne sola non è più il cordone ombelicale che ti lega a tua madre! Ecco, trovare le origini della creazione, trovarle sempre. Il matrimonio reca con sé il principio d Dio non delle nostre alchimie.
  3. Infine c’è quel monito: Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto. Attento a ciò che offusca il disegno di Dio. Certo, ci sono spinte culturali che oggi costituiscono una minaccia per la coppia e la famiglia, a partire dal fatto che si parli più dei diritti dei gay che di quelli di una famiglia che mette al mondo dei figli e talvolta non ce la fa ad andare avanti. Ma ci sono anche delle minacce più sotto casa che colpiscono l’unità. La mancanza di rispetto nella coppia, un umorismo che si trasforma in ironia e sarcasmo, la prevalenza del fare che ci rapisce e rende gli sposi estranei l’uno all’altra. Non lasciarti rapire da quel progetto che il Signore ha inaugurato. Se sei sposato custodiscilo e se non lo sei promuovilo ugualmente perché una famiglia ricorda a tutti gli uomini che sono famiglia e che la chiamata alla comunione riguarda tutti.
Il Sinodo che stiamo per iniziare è l’occasione per ritrovare il grande disegno di Dio sull’amore e per vederne ancora la necessità e la bellezza. Non è la provocazione che cambia le cose ma la vocazione ad amare, senza sconti e senza sotterfugi.