sabato 29 settembre 2012

Omelia 30 settembre 2012

Ventiseiesima domenica del T.O.

Forse avete sentito.La Samsung, azienda sudcoreana di telefonia mobile, dovrà risarcire la concorrente americana Apple per un miliardo di dollari per aver rubato le tecnologie innovative legate all’iphone e all’ipad, la cui produzione comporta fatturati da capogiro. Un brevetto va tutelato, specie se può portare a casa ricchezza, prestigio, leadership planetaria.
Anche i discepoli di Gesù oggi sono preoccupati dei diritti d’autore del loro maestro. Hanno visto qualcun altro che esercita un’attività taumaturgica imitando Gesù e si premurano di bloccarlo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Se adesso tutti si mettono a fare miracoli, tu puoi chiudere bottega! Il vangelo di oggi ci fa riflettere sui confini della realtà cristiana che si presenta più vasta di quanto immediatamente appare e manifesta una forza evangelica anche se non è sotto l’ombra del campanile.

1.    Gesù ci invita innanzitutto alla fiducia. Non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlar male di me. È più quello che ci unisce agli uomini che quello che ci divide. Chi non è contro di noi è per noi. È interessante il fatto che quando Gesù si rivolge direttamente ai suoi avversari, dice esattamente il contrario: Chi non è con me è contro di me (Mt 12,30). Ma quando deve dare indicazioni ai suoi discepoli su come devono comportarsi con chi sembra un antagonista della causa cristiana, li invita alla pazienza e alla fiducia. Il giudice è lui: tu intanto vedi nell’altro un alleato della sua azione di salvezza. Provate a pensare al mondo laico del volontariato, a Medici senza frontiere, a Emergency: l’elemento confessionale non caratterizza queste organizzazioni. Eppure il miracolo avviene. Il nome di Gesù significa in ebraico: Dio salva. E dove ci si schiera dalla parte della salute, della vita, della lotta all’ingiustizia, quel nome viene proclamato e Dio misteriosamente agisce, anche fuori dei confini del sacro. Anche per un semplice bicchiere d’acqua. Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!

2.    In questo contesto di fiducia, però, Gesù mette in guardia i discepoli. Ma non dagli altri, bensì da se stessi e dagli atteggiamenti scandalosi che possono produrre. Lo skandalon è un sasso insidioso sul quale si inciampa lungo il cammino e anche i credenti lo possono diventare. Su tre fronti: mano, piede, occhio.
-       La mano scandalosa è quella che rimane rattrappita di fronte a chi chiede. Su La Vita del Popolo di questa settimana è riportata la vicenda di un parroco della nostra diocesi che provocatoriamente ha scritto fuori di chiesa: “Non cani, ma opere di bene”, manifestando ai suoi fedeli il disagio di fronte a certe spese di “benessere canino” a fronte di gravi situazioni di disagio presenti sul territorio. “Spesso in tv appaiono la Brambilla o Limiti a perorare la causa dei cani, io mi sono tassato per aiutare tre famigliole che volevano tenersi un figlio e non ne avevano i mezzi”. Ciò che sorprende è la reazione indignata che si è scatenata, non contro l’assurdità di certi comportamenti, ma contro il sacerdote che secondo qualcuno “avrebbe perso un’occasione per tacere”. Forse bisogna far tacere anche Giacomo che, nelle parole ascoltate poco fa, richiama responsabilità che non sono certo dell’assistenza animali: Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. La mano scandalosa che non si apre.
-       E poi il piede. Dove ci porta quel piede? Sembrano incredibili alcune scene che abbiamo visto questa settimana, con la gente in fila a mezzanotte nei centri commerciali per l’apertura straordinaria e la promozione dell’iphone 5. C’è un’Italia che lotta per il posto di lavoro, che fa la fila per chiederti una spesa e c’è un’Italia in fila di notte per comprarsi un telefono. Ti serve quel telefono? Te lo puoi comprare. Quello che indigna è la modalità dell’operazione che costituisce una sfrontata esibizione e una sfida a chi la crisi non la vede in televisione ma la patisce. Ha fatto il giro del mondo una foto di un mani-festante e di un poliziotto in Portogallo che si abbracciano in un gesto di chi pur su opposti fronti vuole percorrere la stessa strada. Ecco i piedi di cui abbiamo bisogno.
-       E infine gli occhi. Il Presidente della Repubblica ci ha invitati ad aprirli ancora una volta sul carcere. Nei 45mila posti stanno 66mila detenuti, e dunque 21mila in più, in una situazione di grande precarietà. O, come ha detto Napolitano: incivile. Forse i nostri occhi sono malati della persuasione che alla sicurezza non giovi la clemenza e che in tal modo si possa dividere i buoni dai cattivi. Eppure, tra le sette opere di misericordia, la chiesa ha sempre ricordato di visitare i carcerati e non solo per la carità nei loro confronti, ma anche per rieducare lo sguardo di chi pensa di concentrare il male tutto da una parte.
I diritti d'autore che Gesù intende salvaguardare sono quelli dell'amore. Se provengono dagli altri siamo invitati a riconoscerli e ad accoglierli. Se sono i nostri, siamo invitati a custodirne le misure piene, per non essere di skandalon. Ne va della verità di Dio, ma anche della nostra autenticità, perchè di quell'amore siamo fatti e mani, piedi e occhi non possono che vivere di tale divina energia.

sabato 22 settembre 2012

Omelia 23 settembre 2012

Venticinquesima domenica del T. O.

Ogni tanto capita: un allenatore, un cantante, un premier, un critico d’arte, un capo settore, un sindaco: “Io sono il migliore”. È un’estensione dell’io per cui una persona tende a collocare se stessa su un ideale piedistallo di perfezione e a rivendicare una certa grandezza agli occhi del mondo. Proprio come i discepoli di Gesù che lungo la via discutevano su chi fosse il più grande. Un discorso che deve averli animati parecchio, tanto che Gesù se ne accorge e riprende con loro la questione. Di che cosa stavate discutendo lungo la strada? Una domanda che imbarazza i discepoli, messi a nudo nelle loro ambizioni.

1.    È proprio questo l’aspetto su cui iniziamo a riflettere. I cristiani non sono esenti da sogni di grandezza. Per quanto siamo consapevoli di essere i discepoli di colui che ci invita a prendere la croce, la tentazione di servirci della croce anziché di portarla è sempre in agguato. Gesù non rimprovera i discepoli, anzi riapre per loro il cammino con lui. Ma li invita ad essere consapevoli di quel fermento velenoso che talvolta anima l’esistenza, le carriere, i rapporti con i colleghi di lavoro, i confronti tra fratelli, le relazioni nella comunità cristiana. La consolidante persuasione di essere i migliori può avvenire in due modi: o prendendo tutte le occasioni di arrampicata, talora anche spericolata, o bloccando e respingendo l’affermazione degli altri. Nel primo caso siamo insoddisfatti: la vita sta sempre oltre; diventa ansia e rincorsa perché l’io ipertrofico non è mai appagato. Nel secondo siamo sempre sospettosi: l’altro diviene una minaccia e diventiamo distruttivi. Pensate ai giudizi svalutativi e canzonatori che talvolta esprimiamo. Di che cosa stavate discutendo lungo la strada? La nostra strada a volte percorre logiche che tradiscono il vangelo e sono fatte di mondo.

2.    Gesù riprende con pazienza le sue indicazioni: poco prima aveva parlato della necessità di portare la croce, ora ne chiarisce il significato: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». La grandezza cristiana sta verso la fine della classifica perché quando sei sopra in realtà c’è sempre qualcuno che ti limita, che ti taglia la strada, che ti impedisce di diventare grande come vorresti. E se non c’è qualcuno, c’è qualcosa: c’è la tua ambizione, c’è il tuo orgoglio che ti conducono in una sorta di circolo vizioso in cui ti perdi. Vuoi essere grande e invece sei piccolo, a volte molto piccolo! Viceversa, se ti metti all’ultimo posto e indossi il grembiule del servizio, c’è spazio per crescere: primo perché quei posti non hanno molti concorrenti, secondo perché l’energia dell’amore non è quella dell’ambizione e non ti toglie la vita. Pensate ai fatti di questi giorni che per l’ennesima volta ci restituiscono il volto di una politica che mai vorremmo vedere. La disinvolta gestione del denaro pubblico da parte di alcuni politici e amministratori, ci pone di fronte ad una logica clientelare dalla quale non riusciamo ad uscire. Denaro pubblico che consolida la propria posizione e consente di custodire il favore di chi ti sostiene a destra e a sinistra Di fronte a questo scenario avvertiamo l’attualità delle parole di Gesù e il bisogno di una politica che sia a servizio del Paese e non che di esso si serva. Un politico che diventi grande perché ha promosso l’uomo e il bene comune e non i privilegi di una cerchia.

3.    E infine Gesù addita le misure della grandezza, indicando un bambino: Chi accoglie uno solo di questi bambini accoglie me. Se vuoi essere grande, ogni tanto abbraccia un bambino perché ti aiuta a capire tante cose: ti aiuta a capire che la vita, anche nella più grande intraprendenza, rimane sempre dipendenza; ti aiuta a capire che la tua vita cresce se cresce la sua, ti aiuta a capire che non vale solo l’efficienza, ma anche la tenerezza e il sorriso. E ti aiuta a capire che quelle stesse dinamiche che vivi con lui le puoi attivare con tutti i piccoli e i poveri della terra. E allora diventi grande, non perché sei a capo di un impero finanziario ma perché sei diventato uomo secondo le misure di Gesù e un po’ più somigliante a lui. Chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me…

sabato 8 settembre 2012

Omelia 9 settembre 2012

Ventitreesima domenica del T. O.

La voce. C’è una famosa poesia di Pascoli che porta questo titolo e in essa il poeta ricorda che nei momenti tragici della sua esistenza, quando si addensa addirittura la possibilità del suicidio, quella voce sommessa si fa sentire e bisbiglia il suo nome: mi sentii d'un tratto daccanto quel soffio di voce... Zvanî... Zvanî era il nome con cui il poeta veniva chiamato da piccolo. Ci sono momenti della vita in cui siamo sordi, prigionieri dei nostri pensieri e delle preoccupazioni, ma una voce ci libera e ci riconsegna alla vita.
Così avviene anche oggi per quel sordomuto guarito da Gesù. Effatà. Un miracolo di comunicazione mediante il quale un uomo si apre ad una nuova possibilità di vita. Una Parola che libera parole. Che cosa ci suggerisce questa vicenda?

1.    Ci dice innanzitutto che le due patologie sono collegate. Un uomo che nasce con problemi di udito fa molta fatica a parlare e talvolta non parla proprio. Sul piano clinico oggi ci sono buone speranze di guarigione, ma la sindrome non appartiene solo al piano fisiologico dell’esistenza: interessa anche quello relazionale. Siamo muti perché siamo sordi. Pensate alla fatica che facciamo ad ascoltare qualcuno. E, di conseguenza,le parole che gli diciamo, quando gliele diciamo, dicono ben poco o dicono quello che non dovrebbero dire. Ne abbiamo esempi interessanti anche nella nostra città tra i giovani che scrivono all’istituzione e l’istituzione che risponde in maniera svalutativa e tendenzialmente canzonatoria. Nel clima di disaffezione e di contrapposizione che riguarda il rapporto dei giovani (e non solo!) con la politica, oggi è chiesto l’ascolto attento di ogni istanza partecipativa: le parole che si dicono devono sempre incoraggiare l’apertura costruttiva. Alcune posizioni possono essere irrequiete, ma si tratta anche di capire se l’inquietudine è dovuta a superficialità, a maleducazione o a un vuoto di prospettive che ipoteca il futuro delle giovani generazioni. Ascoltarsi per imparare a parlare correttamente.

2.    La guarigione del sordomuto avviene in disparte, lontano dalla folla. A volte noi conviviamo con blocchi di comunicazione che rischiano di diventare fisiologici. Una persona si blocca e non riesce più a parlare. Un figlio o il coniuge che a scuola o al lavoro parla normalmente ma a casa si chiude. Chi poi si blocca in corrispondenza di particolari discorsi. A volte ce ne facciamo una ragione, concludendo: sono fatto così o quel tale è fatto così. Vieni in disparte, dice Gesù, che cosa sta succedendo? C’è modo di guarire? Pensate ad esempio al blocco della comunicazione in famiglia. A volte questo può avvenire perché una persona può sentirsi non compresa o ferita. Ma a volte il silenzio può diventare anche un’arma terribile per far pagare qualcosa a qualcuno o per difendere dei territori. Non parlo e ti rendo la vita impossibile; non parlo e tengo nascosti i miei traffici. Gesù vuole tirarti fuori da questi circuiti malati per riconsegnarti a una comunicazione vera, perché anche tu possa diventare un po’ più vero, oltre a quello che possono pensare o vuoi far credere agli altri.

3.    Un altro aspetto importante è quel contatto fatto di gesti che Gesù stabilisce. La comunicazione non è riattivata solo dalle parole, ma anche dalla vicinanza effettiva: gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua. L’altro trova la possibilità di udire e di parlare se comprende il senso di tale funzione, se sente oltre la voce una presenza su cui può contare. I 79 morti del mare di questi giorni sono l’icona di una comunicazione che ha bisogno di trovare il linguaggio delle parole e quello dei gesti. Perché la parola che guarisce è quella incarnata che fa quello che dice e non si limita a dichiarare degli intenti o degli auspici. È questa parola che rende fluida la comunicazione, anche quella ecclesiale, perché un cristianesimo testimoniato ci rende più credibili e può dilatare la stessa esclamazione di chi anche oggi dice: Ha fatto bene ogni cosa, fa udire i sordi e parlare i muti.