Quarta domenica del Tempo Ordinario
Lord
Richard Layard è un economista inglese formatosi a Cambridge, che ha messo in
relazione la percezione della vita da parte delle persone e lo sviluppo del
paese. E ha elaborato quella che oggi viene chiamata l’economia della felicità, teoria in cui si dimostra che l’impegno
nel migliorare il modo con cui i cittadini leggono la loro vita e il futuro
migliora anche le condizioni del paese. E in Inghilterra la teoria si è
trasformata in un programma di accompagnamento e di sostegno a persone che
attraversano momenti di incertezza e di fragilità.
Ebbene,
anche Gesù oggi presenta la sua economia
della felicità, un discorso programmatico in cui descrive la sua visione
dell’uomo e del mondo, il presente e il futuro e soprattutto le condizioni che
rendono un uomo felice.
1. Partiamo
proprio da questa parola: beati. In
ebraico essa risuona col termine ‘shr che
significa camminare, andare avanti. Come dire: Avanti i poveri in spirito, avanti gli affamati di giustizia, avanti i misericordiosi…
L’economia della felicità divina appartiene a gente disposta a camminare. Ieri
sera un giovane animatore, raccontando la sua esperienza di fede, ha detto che
ad un certo punto ha preso le distanze dai suoi genitori che gli martellavano
di andare a messa. «Voglio essere io a decidere cosa fare e dove andare. Però –
ha concluso con disincanto – dopo cinque anni ho visto che la mia vita non era andata da
nessuna parte».
La beatitudine di Gesù è un cammino. Il cristianesimo è
un cammino dato che ancora prima di chiamarsi così si chiamava semplicemente “la via”. Lasciati scomodare dalla vita,
dal Signore. Forse c’è qualcosa in più del sistema che ti sei creato.
2. Altro
aspetto della felicità divina è nei suoi contenuti. Sembra che i beati del
regno dei cieli siano gente cui manca qualcosa o che vive un certo scarto
rispetto alla felicità del mondo. Dove sta allora la felicità? La felicità ha
bisogno di vuoti da riempire e di lotte da esercitare: se hai già tutto o tutto
è scontato, che te ne fai di Dio? Il beato che lui ha in mente è un uomo che
patisce la mancanza di qualcosa di vitale, che lotta per averlo, che non teme i
giudizi del mondo per affermarlo. In questi giorni a Ferrara è stato inaugurato
il Museo delle domande. Si tratta di un luogo dedicato alla tragedia delle
deportazioni nei lager nazisti. Nella vita di ogni giorno noi cerchiamo
risposte, magari immediate e convenienti. Lo sterminio nazista invece è il
luogo delle domande. E un luogo dove ci si svuota e si cerca una verità diversa
da quella del buon senso, da quella dei potenti della storia, da quella dei
discorsi di circostanza. Ecco, sembra dirci Gesù, la mia beatitudine la trovi
quando ti metti dalla parte dei poveri, quando non acconsenti alla violenza,
quando senti nel tuo cuore la stretta della compassione e della misericordia,
quando non smetti di lottare per la giustizia. Ma lo sai che sta succedendo a
Belgrado? Hai visto il dramma di quei disperati racchiusi in una morsa di gelo
nella vecchia stazione della città? Primo Levi scrisse Se questo è un uomo a partire dalla sua esperienza nel campo di
concentramento di Monowitz, ma le parole di quel libro interpretano anche i
drammi di questo nostro tempo:
«Considerate se questo è un uomo / Che
lavora nel fango
Che non conosce pace / Che lotta per
mezzo pane
Che muore per un sì o per un no».
La beatitudine è nuovamente nascosta nella capacità di
esserci con i sentimenti di Dio, di interrogare la nostra superficialità, di stabilire
vicinanza e di liberare.
3. Infine
la beatitudine è un dono ridistribuito. Vedendo
le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi
discepoli. Vedendo le folle Gesù chiama i discepoli e li rende espressione
della sua beatitudine. La tua felicità è essere felicità per qualcun altro.
Prova a decentrarti da te stesso e dalla tua pretesa di felicità. Mi fa
riflettere ad esempio il modo con cui i diciottenni ultimamente festeggiano la
maggiore età. Stessa festa nello stesso locale con la stessa gente, lo stesso
abbigliamento, le stesse pose nei selfie. E la sensazione che si faccia di
tutto per apparire felice ma senza esserlo davvero. Prova a vedere se diventare
grande non può aprirti strade diverse: prova a vedere se riesci a far felice
qualcuno. Forse è anche quello che noi adulti dobbiamo e possiamo indicare
aiutando un figlio a fare questo passaggio. Pensate a quella vicenda, di quel
ragazzo che supportato da un avvocato e dalla sua famiglia, cita in giudizio la
scuola perché gli ha sequestrato il cellulare. Prova a supportare tuo figlio
nell’apertura agli altri e alla vita non nella difesa di discutibili diritti
cui non corrispondono i doveri. Beati! Non perdere un appuntamento importante,
perché ne va della tua vita e della tua felicità.