domenica 27 aprile 2014

Omelia 27 aprile 2014


Seconda domenica di Pasqua

Porte chiuse / confine invalicabile

attese frustrate / parole contro un muro di gomma

Porte chiuse / mondo sconosciuto

macigno sulla strada / direzione vietata.

Sono versi di Alda Merini, donna che con la poesia ha cercato di varcare le numerose porte chiuse che la vita le ha riservato, attanagliata dalla fragilità e dalla solitudine, internata in manicomio. Porte chiuse è la vicenda che sperimenta ogni uomo, almeno una volta nella vita, nei sogni che non si realizzano, nelle delusioni che seguono le illusioni, nei quotidiani muri di gomma che anche noi incontriamo.

Ebbene, il vangelo di oggi inizia proprio da qui: dal Risorto che arriva mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei. Non è stato facile affrontare la morte di Gesù ma neppure accettare la notizia della risurrezione. Dubbi, inquietudine, paura di fare la stessa fine. Ma il Risorto passa a porte chiuse e aiuta i discepoli a individuare nuovi varchi, anche quando le strade sembrano ostruite. Come avviene questo passaggio? Come si riaprono le porte della vita?

1.    Anzitutto il saluto di Gesù: Pace a voi. Le porte si riaprono se accogli l’invito alla pace. Ce lo ricorda oggi Papa Giovanni il cui pontificato è stato accompagnato da questo anelito, tanto da dedicarvi l’enciclica Pacem in terris. E questo papa sapeva che non era solo questione di scongiurare il conflitto tra le due superpotenze di allora. Era uno stile da ricercare, fatto di dialogo, di fiducia, di rispetto. E proprio perché è una questione di stile devi fare attenzione, perché il conflitto non è scatenato solo dall’aggressività aperta; a volte nasce anche da quella indiretta ma altrettanto devastante, dove tu potresti mascherarti addirittura da buono. Aggressività indiretta può essere il silenzio quando ti è chiesto di parlare, la disaffezione alle cose costringendo l’altro a farle al tuo posto, la distanza e l’assenza, l’indifferenza che porta ad affermare un velenoso “tu non esisti” o uno strategico “io non esisto”. Il cattivo non è sempre l’altro che si incavola, che non è paziente, che non capisce che sei stanco, immigrato, snervato, ma anche chi ha elaborato una fine strategia per ecclissarsi e scaricare le responsabilità. Il Risorto non dice “pace a te”, ma “pace a voi” ed è solo in questa condivisione di intenti “pacifici e pacificatori” che si aprono le porte chiuse che qualche volta rendono la vita poco vivibile.

2.    Un secondo aspetto è legato all’azione dello Spirito e al perdono dei peccati. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati. A volte le porte sono sbarrate da questa esperienza oscura che agisce più di quanto riconosciamo o riusciamo a immaginare. Non si parla più del caso di quella donna che ha perso la vita in seguito all’assunzione della pillola abortiva RU486. E forse è meglio così. Ma che cosa si annida nel cuore di una donna quando arriva ad un gesto del genere? Che succede mentre agisce una sostanza che dentro di lei spegne la vita e lo fa un po’ alla volta, tanto che c’è bisogno di assumere una seconda dose alcuni giorni dopo perché l’effetto sia assicurato? Sono esperienze che si inscrivono per sempre nella vita: uccidono la fiducia, la speranza, l’interiorità, perché appena osi guardare dentro di te sei sopraffatta dalla colpa. Porte chiuse che solo Gesù risorto riesce ad oltrepassare, perché lui conosce bene l’oscurità. L’ha raggiunta negli abissi della morte e l’ha vinta. E non solo l’oscurità che piomba su una madre che fa un gesto sconsiderato, ma anche l’oscurità che ci rende estranei gli uni agli altri, prigionieri di noi stessi, sordi agli appelli altrui. L’oscurità di chi ha interrotto i rapporti con un famigliare convincendosi che le proprie ragioni possano legittimare ogni distanza. Abbiamo bisogno dello Spirito del Risorto e del suo perdono perché le porte della vita si aprano.

3.    E infine la vicenda di Tommaso ci ricorda che le porte si aprono in relazione all’esperienza del credere. A volte la nostra vita è prigioniera di una mentalità quantificatrice dove vorremmo calcolare ogni evento con i criteri di una mentalità scientifica che alla fine rischia di essere solo scientista, paladina di una verità che crede di essere frutto della libertà ma che in realtà è retta dal pregiudizio: quello che stabilisce i limiti di Dio. Giovanni Paolo II nella famosa Enciclica Fides e ratio ci ha parlato di fede e ragione come di due ali mediante le quali si eleva lo spirito umano. Con un’ala sola non si vola. Tommaso ad un certo punto mette da parte le sue pretese e comprende che c’è una verità più grande di quella che vorrebbe dimostrare. Quella che appare dalle ferite di Cristo: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani. La fede passa attraverso i segni dell’amore nei quali Tommaso è invitato a gettare la sua vita. Si diventa credenti quando si comincia a far posto a questa prospettiva, quando ti lasci convincere non da percorsi intellettuali, ma da quelli dell’amore, perché sono gli unici che ti portano a inginocchiarti e a dire: Mio Signore e mio Dio. Perché c’è un milione di persone che arriva a Roma oggi? Perché due papi credenti hanno creduto all’amore e forse anche perché un terzo papa sta percorrendo la medesima strada. Capisci, non capisci, Dio ti sembra strano, lontano… Prova a vedere quali segni d’amore ti sta mostrando, comincia a chiederti se sia proprio un caso e, se riesci, prova a dire: Mio Signore e mio Dio. Credendo all’amore e correndone il rischio.

sabato 5 aprile 2014

Omelia 6 aprile 2014


Quinta domenica di quaresima

L’altro giorno in macchina passavano l’ultima canzone del Vasco nazionale: Dannate nuvoleMi viene in mente che non esiste niente, dice il cantante, solo del fumo, niente di vero. Niente dura niente, dura e questo lo sai. Però tu non ti arrenderai. Chissà perché? Ecco, di fronte al proclama del nulla, l’uomo non si arrende. Cerca. Cerca sfidando il vuoto che sembra inghiottire il destino dell’uomo; cerca oltre le dannate nuvole di valori anche importanti che potrebbero però diventare una finta consolazione o l’ennesima illusione: vivere per l’esempio che si lascia… ma intanto muori!

La visita di Gesù in casa di Lazzaro, Marta e Maria, il risveglio di Lazzaro dalla morte, le considerazioni che accompagnano l’evento sono l’occasione per riflettere su come accostiamo la morte, come la pensiamo e ne accompagniamo la presenza. Perché forse anche a noi è rivolto il monito di Vasco: Non ti arrenderai. 
                                                                                                                                   
1.    Anzitutto fa riflettere la pagina dell’amicizia. Quando le due sorelle mandano a chiamare Gesù, gli dicono: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». Quando si recava a Gerusalemme, Gesù scendeva in casa di questi amici cui era legatissimo: l’ospitalità della casa e l’intimità degli affetti. È l’amore la grande sconfitta della morte e se qualche volta si giunge a invocare la morte o a stringere con essa sinistri contratti, molto spesso è proprio perché non si percepiscono i legami: quelli di cui ha bisogno il morente, ma anche quelli che il morente può continuare a stabilire. Oggi c’è il rischio di credere che affrontare la morte corrisponda a scendere a patti con essa, dimenticando che Gesù Cristo non ha siglato un’intesa, ma ha riportato vittoria. Ed è la vittoria generata dall’amore. Dio ti ama e non ti perde. Il patto da stabilire non è con la morte ma con chi da essa ti libera. Con chi ti può stare vicino in quel momento: con Gesù Cristo ma anche con tutti i legami forti dell’esistenza. «Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto». In questa recriminazione di Marta c’è una professione di fede: se c’è Gesù, se ci siamo e non fuggiamo, il fratello non muore. Guarda come lo amava!

2.    La vicinanza però da sola non basta. Dev’essere una vicinanza efficace. Com’è che Gesù vince la morte? Con l’amore, s’è detto. Ma Gesù ama a tal punto da entrare nell’antro della morte e di fare dell’amore l’antidoto della morte stessa. E questo non lo fa nessun altro: solo lui. Io sono la risurrezione e la vita. Credi tu questo? Qui c’è un problema di fede che riguarda l’originalità del cristianesimo, la bella notizia che esso contiene. La vita insegna ad ogni uomo un passaggio essenziale: quello dal grembo della madre alla nascita e alla crescita dell’individuo. E dentro al grembo come fai ad immaginare e a desiderare una vita differente? E se i passaggi non fossero finiti? Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio». «Togliete la pietra», dice Gesù. E quella pietra dobbiamo toglierla dalle nostre persuasioni e sensazioni prive di fede: quelle che ci riempiono di spavento e ci allontano dalla malattia e dai malati, quelle che ci portano a ignorare le modalità cristiane per rimanere accanto a un morente, quelle che fanno dei funerali dei momenti di desolazione o di “mondanità spirituale”, nell’uno e nell’altro caso senza speranza. Nel brano che abbiamo letto ci sono due verbi che indicano il pianto. Il primo è klàio ed è quello di Maria dei Giudei. È il pianto disperato, scomposto, di chi urla, si tratta i gestiti, si butta addosso la polvere e la cenere. È il pianto di chi pensa che i fratelli scompaiano per sempre, che la pietra ha vinto. Anche Gesù piange, ma il verbo è dakrýo. Dákry è la lacrima; vuol dire: gli scorrevano lacrime dagli occhi. La morte va vissuta con molto rispetto, con amore solidale; anche il cristiano, come Gesù, sente la lacerazione, ma nel dono delle lacrime: una sorta di lente che Dio ci regala per vedere oltre! «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno».

3.    C’è un’altra dinamica da recuperare. Mentre Gesù agisce, non agisce da solo. Aperto il sepolcro dice al morto: Lazzaro, vieni fuori! E il morto esce. La morte è vinta se accetti di uscire dal sepolcro che ti imprigiona. E il sepolcro non è solo quello del cimitero: è la partecipazione a logiche di morte che giorno per giorno ci trattengono. La risurrezione per noi è dono già fatto con il Battesimo, ma puoi startene su vecchie posizioni. Vieni fuori! Un dodicenne in campo a Campigo ha tirato pugni e calci all’arbitro e il padre, dirigente della squadra, difende il ragazzo. Vieni fuori. Tuo padre è anziano e vuole vederti. Ma tu sei troppo impegnata con la psicologa a elaborare il tuo passato e così ti sta sfuggendo l’occasione per fare pace con lui e con te. Vieni fuori. Sai che c’è la crisi e che anche l’azienda in cui operi potrebbe fare dei tagli, ma finché nessuno dice niente approfittiamo: ho un vecchio a casa è ho diritto di accudirlo. Legge 104. Fatalità nei weekend e nei ponti. Lavoreranno i colleghi. Vieni fuori. Perché c’è il rischio di mettere casa nel sepolcro e di non rendersi più conto della puzza dei tre giorni. Ecco la risurrezione: comincia oggi. Quando ascolti il Signore, lo lasci agire e agisci con lui. E allora le dannate nuvole iniziano a dissolversi e vedi qualcosa in più.

 

Omelia 30 marzo 2014


Quarta domenica di quaresima

L’apertura degli occhi è una cerimonia rituale del buddismo. Quando viene collocata una statua in un tempio, il culto viene aperto da un momento in cui un ministro dipinge gli occhi dell’immagine, quasi ad attribuirle una sorta di vita e la capacità di vedere. Il cristianesimo non è estraneo a questa sensibilità, ma più che degli occhi delle statue si è preoccupato degli occhi della gente, perché vedessero davvero e perché si aprissero alla luce di Dio. La fede rappresenta questa sfida e l’episodio del cieco guarito ce lo ricorda. Guarda che gli occhi te li apre il Signore e finché non guardi con la sua luce vedi solo a metà. Come si apre lo sguardo della fede? L’episodio del vangelo ci pone di fronte a tre tappe dove, accanto ad un uomo che recupera la vista, ce ne sono altri che, pur vedendo, rimangono ciechi. Attenzione dunque, perché si può essere miopi pur credendo di vederci. Anche se si è cristiani.

1.    Il primo confronto infatti è col gruppo dei discepoli. Mentre Gesù passando vide un uomo cieco, i discepoli vedono un caso da discutere, una disputa teologica. Chi ha peccato: lui o i suoi genitori perché sia nato cieco? La fede riguarda innanzitutto la percezione di Dio e i discepoli, in questo caso, gli attribuiscono il volto del giusto giudice. Giusto secondo i loro criteri, giusto secondo l’idea che a constatazione di un male corrisponda una colpa, una sentenza e un’espiazione. Dio prende la forma di un codice cui il suddito deve ottemperare. Gesù non vede un suddito, vede un uomo. E vede un uomo come Dio lo vede. I gesti che Gesù compie per la guarigione del cieco, che a noi sembrano un po’ ributtanti, in realtà sono importanti, prova ne sia il fatto che vengono ricordati per cinque volte. La saliva nella mentalità semitica del tempo era l’espressione dell’alito umano, l’alito concentrato. Da un lato, quindi, la terra, dall’altro l’alito, il soffio: un forte richiamo alla pagina della creazione. È l’uomo nuovo che nasce alla luce di Dio, l’uomo interlocutore di Dio secondo quell’antico progetto che in Gesù trova nuova chiarezza e nuova possibilità. Ecco la fede: tu puoi farne una disputa in base alle tue precomprensioni ideologiche o teologiche o puoi aprirti ad un incontro di cui sei “impastato”. Su D, la rivista femminile di Repubblica, Umberto Galimberti scriveva sabato scorso: «A che serve avere un Dio? Non mi chiedo se Dio esiste o no, ma come è venuta al mondo l'idea di Dio». Ecco, puoi ritenere che Dio sia un’idea, ma anche questa può essere una tua idea. La fede non è ragione che si spegne, ma ragione che si affida, che grazie a un soffio trova altre ragioni.

2.    Ma dopo la guarigione, i problemi del cieco non sono finiti. Deve sostenere tutta una serie di obiezioni che riguardano la sua identità. Ma chi è? È proprio il cieco che chiedeva l’elemosina? No, è uno che gli assomiglia! Il cieco non è più riconosciuto. È quello che capita al credente. Aprire gli occhi vuol dire accogliere una nuova identità: non sei più quello di prima, tanto che gli altri non ti riconoscono. Qualche volta ti possono ammirare, specie se la fede apre cammini di conversione, di verità. Qualche altra volta ti fuggono, ti ostacolano, ti lasciano solo. Anche i genitori: Ha l’età chiedetelo a lui. In una parrocchia vicino a Treviso un ragazzino di quinta elementare ha chiesto di ricevere il battesimo. I suoi genitori non l’avevano battezzato da piccolo pensando che la scelta l’avrebbe fatta il figlio una volta maggiorenne. Ma il figlio lo chiede ora e loro sono a disagio perché il bene che il figlio intuisce non è quello che loro avevano pensato e perché la scelta del figlio non può avvenire senza il loro coinvolgimento, senza il sostegno chiesto ai propri genitori. La fede può creare incomprensioni, imbarazzi, distanze: vuoi insegnare a noi? Il cieco ascolta tutte le perplessità ma quel che ha sperimentato ha il sopravvento sulle obiezioni: una cosa so, che prima ero cieco e ora ci vedo. Non è la ricerca delle argomentazioni che decide della fede ma la trasformazione che hai fatto.

3.    La fede però ha bisogno di un ulteriore elemento: la proclamazione. Chi ti ha aperto gli occhi? La domanda che accompagna l’intero brano trova progressiva risposta nelle parole del cieco che riconosce il suo guaritore come: l’uomo che si chiama Gesù, un profeta, il Signore. Tre nomi che proclamano un’identità sempre più delineata e compresa. Tu apri gli occhi se proclami, se dici quello che hai scoperto, anche se si tratta di una tappa, anche se non hai capito tutto. Però il coraggio di dire e quello che dici ti guidano. C’è qualcosa che puoi dire di Dio intorno a te? Matthew McConaughey, vincitore dell'Oscar come migliore attore nel film Dallas Buyers Club, ha colpito la platea non solo per il premio ricevuto, ma per le parole che ha pronunciato dopo la consegna della celebre statuetta. Voglio ringraziare Dio perché è a Lui a cui guardo. Ha reso più bella la mia vita con delle opportunità che riconosco non essere opera mia o di chiunque altro essere umano. Dio è stato solo un peso o ha reso un po’ più bella anche la tua vita? Puoi dirlo a qualcuno anche se non hai la platea di Hollywood?

Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce.