domenica 10 dicembre 2017

Omelia 10 dicembre 2017


Seconda domenica d’avvento

Marco Dolfin è un giovane chirurgo di Torino; rientrando dal viaggio di nozze è coinvolto in un tragico incidente che lo costringe su una sedia a rotelle. Con grande tenacia però il medico ha ricominciato ad operare rimanendo seduto. Ma siccome certi interventi complessi non li poteva fare, in questi giorni è stato dotato di una speciale apparecchiatura che gli consente di stare in piedi e di tornare ad operare come prima. Quest’uomo poteva deprimersi, arrabbiarsi, prendersela con Dio e con chi lo ha investito e invece è ripartito. Un nuovo inizio della sua vita. Ebbene, anche nel vangelo di oggi risuona questa parola. Inizio del vangelo di Gesù Cristo. Dio ci dà continuamente la capacità di iniziare da capo, di tirare fuori la parte migliore di noi, di essere parte della bellezza che egli ha deciso di diffondere nel mondo. Com’è che si ricomincia, com’è che si torna a vivere?

1.    Anzitutto ascoltando la voce di uno che grida nel deserto. Il deserto per Israele è il luogo dei grandi inizi: dell’esodo, del rientro da Babilonia. È il luogo che sancisce la necessità di stabilire un nuovo contatto con Dio e di ascoltarne la voce che finalmente ritorna udibile. Nella confusione della città quando sei travolto da occupazioni e preoccupazioni non sempre odi la voce. Senti solo notizie che si sovrappongono, chiacchiere e gossip, comunicazioni prevaricanti o abilmente gestite da chi tiene ben salda l’informazione e il potere che ne deriva. E così certe notizie non ci raggiungono o sono pesantemente condizionate dall’opinione prevalente. Pensate al dibattito sullo ius soli in relazione alle elezioni ormai vicine. Chi se ne fa interprete è bruciato in partenza, nonostante il riconoscimento che il disegno di legge ipotizza non sia una liberalizzazione degli ingressi e nonostante vi siano migliaia di ragazzi che non possano neanche praticare uno sport perché, non avendo cittadinanza, non si possono neppure iscrivere in una squadra. Chi ascolti, di chi ti fai interprete? Dei rumori della panca o della voce che grida nel deserto? Guarda che gli inizi di Dio a volte sovvertono lo status quo.

2.    Altro aspetto che decide il nuovo inizio è la conversione: si facevano battezzare da Giovanni confessando i loro peccati. Se vuoi essere nuovo devi smetterla con ciò che ti invecchia, con le logiche di sempre, con quel male che ti seduce, promette e non mantiene, ti assicura vittoria ma ti toglie la vita. C’è qualcosa da cambiare? C’è qualcosa da cui prendere le distanze? Quell’uomo che a Treviso ha sfasciato le slot gridando che sono truccate è un problema di macchinette manomesse o è la tua vita che è manomessa, magari anche a motivo delle slot su cui prosperano anche i guadagni dello Stato? Il problema della violenza femminile è circostanziato alle donne abusate o l’abuso è anche nell’idea della sessualità a cui oggi segretamente ammicchiamo? Il Giordano è un fiume che racconta la storia di Israele, la storia di Dio con quel popolo. Prova a vedere dove è andata a finire la tua storia con Dio e prova a reimmergerti nell’acqua in cui sei stato battezzato. Altre acque rischiano di essere pozze acquitrinose.

3.    Infine la novità vuol dire guardare anche oltre se stessi. Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale non sono degno di slacciare i sandali. Si è nuovi quando non ci si identifica con la totalità ma si comprende il proprio limite. Smetti di sentirti onnipotente! Perché è un grande inganno, perché ci sarà anche un dopo di te, in mano a colui che è alfa e omega. Tu, quando va bene sei una virgola… Prova a riconsegnare la storia a Dio. Ti fa bene per tutte le vicende che vorresti cambiare e non puoi, ma anche per quelle che potrebbero cambiare e non vuoi. Perché a volte siamo più attaccati alle nostre ragioni più di quanto non lo siamo al vangelo. E si arriva ad andarsene da questo mondo senza dare o ricevere perdono attaccati alle proprie ragioni più di quanto non lo siamo al vangelo. Noi aspettiamo cieli nuovi e terra nuova, ci ricordava S. Pietro. Come può esserci questa novità ultima e definitiva se non siamo stati in grado di esprimere la novità di un sorriso, di un saluto, di un abbraccio? Come ti presenti al Signore o come vivrai i giorni che ti restano? Inizio del vangelo di Gesù Cristo. Forse queste parole sono lì non solo per segnalare l’incipit di un libro, ma per ricordarci che inizio sei tu se il vangelo ti appartiene e con la tua vita diventi vangelo.

domenica 3 dicembre 2017

Omelia 3 dicembre 2017


Prima domenica di Avvento

Abbiamo assistito nei giorni scorsi a Como all’irruzione di un gruppo di giovani skineads nella sede di un’associazione che si occupa di migranti, per leggere un comunicato farneticante contro l’accoglienza. Parole piene di boria e di retorica sulle quali anche il portavoce neofascista sembrava incespicare. Una scena grottesca e patetica , dove i volontari di Como senza frontiere, più che con paura, guardavano con smarrimento e pietà quelli che potevano essere loro figli e nipoti, mentre recitavano una parte di cui neanch’essi sembravano persuasi.

Di fronte a questi fatti, tuttavia, non si può essere indifferenti: la storia ci insegna che spesso le più sinistre ideologie, anche se arrivano da ...destra, hanno preso forma da segnali trascurati, da movimenti marginali e sotterranei che poi si sono trasformati in un fiume in piena.

Ecco allora l’invito che l’avvento ci rivolge. Vegliate. Un imperativo che nel vangelo di oggi risuona per tre volte. Attento a non addormentarti, perché c’è il rischio di perdere l’appunta-mento con Dio e l’appuntamento con la vita.

Che significa vegliare?

1.    È come un uomo che è partito lasciando la sua casa ai servi. Vegliare significa custodire una casa che ci è affidata. Ma bisogna fare attenzione perché non è detto che il nemico venga da fuori. Il nemico può essere anche dentro di noi. Gli skineads credono che i nemici siano gli immigrati, che la casa sia travolta dal loro arrivo. Invece il nemico più grande è annidato nel loro cuore e porta il nome della paura, della presunzione, della cattiveria, dell’egoismo. Chi è che vuole usurpare casa tua? Noi tutti siamo avvizziti come foglie diceva il profeta Isaia. Che cosa ci avvizzisce? L’assenza di Dio, la sensazione di poter fare anche senza. Mi ha colpito e un po’ rattristato la scarsa partecipazione all’incontro sull’educazione religiosa dei bambini. Qualcuno ha detto che l’ora era infelice. Ma lo scorso anno, stessa ora e stesso relatore registravano il pienone. Quando parli di abilità, di competenze, di metodo di studio si crea subito molto interesse. Quando si parla di Dio, la questione sembra facoltativa. A volte però c’è bisogno di aprire il cielo e non solo i libri di scuola. E le domande vere non sono i quiz dell’Eredità. Se tu squarciassi i cieli e scendessi.

2.    A ciascuno il suo compito. Vegliare vuol dire assumere una personale responsabilità. A ciascuno la propria. Ora, mi pare che ci sia uno sconfinamento di competenze dove ognuno fa il mestiere dell’altro. E lo si fa con una sicumera e una carica di presunzione che non ammettono repliche. Oggi frequentiamo spesso la facoltà di internettologia che rilascia lauree veloci in tutti i campi. Ha ragione quel medico che ha scritto in sala d’attesa: Coloro che si sono già diagnosticati da soli tramite Google, ma desiderano un secondo parere, per cortesia controllino su yahoo. E dove non c’è internet c’è whatsapp e il gruppo mamme dove le insegnanti si trasformano in mostri, si ingenerano faide, si crea divisione non solo tra il corpo docente, ma anche tra genitori e i ragazzi a scuola. È giusto essere consapevoli di quello che avviene a scuola; magari non sempre un insegnante agisce o reagisce nel migliore dei modi. Ma prova a valutare gli interventi e l'opportunità di una gradualità. Prima provo a vedere se sia attendibile quello che mi racconta mio figlio, poi parlo con il docente interessato, poi mi recherò dal preside. E sempre nel rispetto reciproco. Perché altrimenti siamo come i naziskin che se ne vanno dicendo: Nessun rispetto per voi. A ciascuno il suo compito. Di genitore, di insegnante, di allenatore, di catechista. Veglia sul tuo operato e non solo su quello degli altri.

3.    Infine i turni della veglia. Nel mondo ebraico erano quattro: la sera, mezzanotte, al canto del gallo, al mattino. Le prime due veglie sono fatte di resistenza, le seconde due, mentre sorge il sole, sono fatte di speranza. Ecco una bella ricetta per la vita: resistenza e speranza. Domenica scorsa in un supermercato bolognese la gente si è messa in coda per due ore per mangiare una fetta di torta per il compleanno del centro commerciale. C’è qualche speranza migliore per sostenere la nostra resistenza? Se la resistenza fosse un po’ di assistenza in ospedale? O fosse pensare che il proprio matrimonio possa essere migliore di ogni altra compagnia o solitudine? Vegliare vuol dire attraversare qualche volta anche la notte, sapendo che la nostra speranza è abitata da Dio. L’avvento che inizia ci aiuti a ricordarlo, a liberarci dal torpore, ad accogliere ancora una volta l’iniziativa di Dio.