sabato 28 giugno 2014

Omelia 29 giugno 2014


Solennità dei SS. Pietro e Paolo 2014
 
L’altra sera davano ancora una volta Forrest Gump, la storia di quel ragazzotto un po’ strano che ad un serto punto inizia a correre. Una corsa che incrocia persone, fatti situazioni, che suscita interrogativi. Una corsa che finisce al capezzale di una madre morente che in poche parole consegna l’esito di una vita. La morte fa solo parte della vita, Forrest. È un destino che appartiene a tutti: io non lo sapevo, ma ero destinata a diventare la tua mamma. Sono dell’idea che ognuno fa il suo destino: tu devi fare del tuo meglio con quello che Dio ti ha concesso. Qual è la nostra corsa, il destino che Dio ci affida?

Anche Paolo oggi ci parla di una corsa della quale è giunto al termine. Siamo nel 62, l’apostolo è a Roma agli arresti domiciliari che preludono al suo martirio e, scrivendo al suo collaboratore Timoteo, rivela il senso del suo viaggio. Ho combattuto la buona battaglia, sono giunto al termine della mia corsa, ho conservato la fede.

La vita per un motivo o per l’altro ci consegna continuamente dei fine corsa. Il verbo giungere (teléo) dice la ricerca di un fine: cerca di non correre per niente ma sappi che i motivi per cui corri li comprenderai pienamente quando arrivi. Combatti la buona battaglia. La battaglia è ágon e combattere è agonízomai, termini che contengono l’agonia e l’agonismo. Quella battaglia non è solo buona: è kalós, bella. Fa’ in modo che quello per cui lotti sia anche qualcosa di bello, che ti piace. Il vangelo non solo come bontà ma anche come bellezza, fascino, avventura, creatività. E poi custodisci la fede. Qui il verbo teréo vuol dire serbare un rapporto. La fede non è un codice di procedura ma un legame vivo. Paolo ha mantenuto acceso il suo legame con il Signore tanto che lo sente accanto anche di fronte alla morte. 

Ecco, dove corri Forrest? Fa’ in modo, ci dice Paolo, che la tua corsa sia così: aperta ai disegni di Dio, appassionata e creativa, salda nell’amicizia con il Signore. E perché questo si realizzi, Pietro ci dà qualche altro suggerimento, anzi ci consegna la strumentazione che Gesù stesso gli dà. È il carisma di Pietro, lasciato al suo successore e a tutta la chiesa. Che c’è in questa strumentazione? Tre azioni: edificare, aprire, legare e sciogliere.

1.    Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa. Sii una persona che costruisce, sempre. Mai che distrugge. A volte le potenze degli inferi sono in agguato, montano e confondono: non schierarti dalla loro parte. Non prevarranno. Abbiamo seguito in questi giorni le polemiche intorno alla morte di Ciro Esposito, tifoso napoletano morto a 30 anni per un colpo di pistola sparato alla schiena in una partita di calcio. Erano state lanciate minacce di ritorsione, di vendetta. Come sono state dirompenti le parole della fidanzata ai funerali: «Basta con la violenza perché così Ciro lo uccidete due volte. Ciro era un ragazzo, non un ultras. Il suo è un tifo pulito, sotterrate la violenza». Ecco le pietre che edificano e che ci introducono nella bella battaglia, non in quella che uccide. Le tue parole, i tuoi gesti, le tue scelte… prova a costruire umanità, perché questa è la chiesa di Pietro: segno di un’umanità nuova che splende della luce di Dio.

2.    Altra azione a custodia della fede: aprire. A te darò le chiavi del regno dei cieli. Pietro ha in mano chiavi che aprono il mondo di Dio, quelle chiavi invisibili che lui ha visto in azione quando misteriosamente è stato liberato dal carcere. Ecco: custodire la fede vuol dire dischiudere varchi di libertà. È uscito venerdì l’Instrumentum laboris che accompagnerà la preparazione del Sinodo sulla famiglia. Con molta lucidità e realismo si parla di numerose situazioni che attraversano il mondo familiare. E poi si aggiunge: Per tutti costoro, “serve una pastorale capace di offrire la misericordia che Dio concede a tutti senza misura”. Si tratta, dunque di “proporre, non imporre; accompagnare non spingere; invitare, non espellere; inquietare, mai disilludere”. Sentite come le chiavi del regno siano liberanti! Ma non sono semplici salvacondotto: sono varco verso la carità di Dio che non è mai separabile dalla sua verità. E queste chiavi sono ora proprio nelle mani di Pietro.

3.    Infine legare e sciogliere. La fede si costudisce anche in questo intreccio di fili tra la terra e il cielo. Come quando si tesse un arazzo. Stringi su quello che è importante, molla su ciò che è d’impaccio. C’è una bella devozione cara all’attuale papa: la Madonna dei Nodi. La si invoca perché li sciolga. Rabbia, rancore, ostilità, supponenza… E mi pare che questo papa di nodi bellici, esistenziali, ecclesiastici ne stia sciogliendo tanti. Ecco puoi conservare la fede se annodi quello che le appartiene e sciogli tutto il resto, perché altrimenti ne esce un groviglio che chiami fede, ma è qualcos’altro.

Corri, Forrest, corri… Dove va la nostra corsa? È la corsa della fede? Ci aiuti il Signore a custodirla con lo slancio di Paolo e la tenacia di Pietro.

 

sabato 14 giugno 2014

Omelia 15 giugno 2014

SS. Trinità 2014
Non recidere, forbice, quel volto, 
solo nella memoria che si sfolla, 
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.

È la prima quartina di una poesia di Montale. Il poeta è di fronte ad un’acacia che gli ricorda un volto amato e prega la lama del potatore di non recidere quelle fronde capaci di rammentare l’immagine struggente. La forbice è, metaforicamente, quella del tempo che passa, che attenua i ricordi e li disperde nella nebbia della lontananza. Non recidere, forbice, quel volto. Non so se dovremmo dirlo anche di Dio, perché si ha l’impressione che cesoie invisibili intervengano a modificare la percezione che abbiamo di lui e ci consegnino ad una sorta di nebbia che oscura le coscienze e uccide la speranza. Mentre in questi giorni il Dio del calcio ci chiede i suoi tributi e i suoi sacrifici, fa riflettere la testimonianza di Prandelli apparsa l’8 giugno su Credere. A chi gli chiede per che cosa preghi un allenatore alla vigilia del suo primo mondiale, lui risponde: «Di non andar fuori di senno, di non perdere la testa, di non prendersi troppo sul serio. Si prega proprio perché la preghiera può aiutare a mantenere il senso del tuo limite umano». Ecco il volto ritrovato di Dio che diviene anche riscoperta di quello che siamo perché la nebbia non ci avvolga e ci imprigioni. Il dialogo tra Gesù e Nicodemo è apertura sul mistero di Dio, quello che ogni uomo segretamente cerca. Che cosa gli dice Gesù?

1.    Anzitutto la più sorprendente delle rivelazioni. Dio ha tanto amato il mondo. Parole che illuminano la notte di Nicodemo. Il Dio cristiano ama. E ama a tal punto da strutturarsi nell’unica forma che può garantire l’amore: la relazione. Il Dio cristiano è relazione d’amore perenne tra il Padre, il Figlio e lo Spirito. Dio si è pensato così! Non recidere, forbice, quel volto. Ma il Dio cristiano non solo si ama, ma ha tanto amato il mondo. È un amore esuberante che fuoriesce, che permea l’uomo e il creato. Pensate novità di questo volto di Dio rispetto a quello delle suscettibili divinità greche o delle distaccate divinità orientali. Dio ha considerato il mondo più importante di sé e riversa su di esso un fiume di amore, di stima, di benedizione: non c’è nulla di quello che Dio ha creato che sia sotto il segno della condanna, poiché, come dice Tommaso d’Aquino: Aperta la mano dalla chiave dell'amore, le creature vennero alla luce. Ancor prima di essere battezzato, catechizzato, comunicato, Dio fa il tifo per ogni uomo. Perché quell’uomo gli consente di poter essere se stesso, di amare. Ecco perché difendiamo ogni uomo che viene a questo mondo, fin dai suoi primi istanti, ecco perché non ci rassegniamo a sperimentazioni sugli embrioni umani anche se la Commissione europea non ne vuole saperne di due milioni di firme raccolte per mettere in discussione una legislazione che prevede tale intervento sul quale anche la comunità scientifica è spaccata. Dio ha tanto amato il mondo. Guarda con tenerezza ogni uomo, come un padre e una madre che si recano insieme a fare l’ecografia del figlio in arrivo.

2.    Ma Gesù continua. Da dare il suo figlio. Fino a questo punto Dio ha amato il mondo. La Trinità è la festa di un Dio che si fa conoscere mentre si dona. Il verbo allude al dono radicale di Gesù, dal suo farsi uomo al suo morire sulla croce, al dono dello Spirito; come dire: ha dato proprio tutto. A volte abbiamo la sensazione che Dio si sia risparmiato, che si sia tenuto solo per sé qualcosa che ci serviva. E invece non ci manca niente di lui e se qualcosa manca all’appello è perché non vogliamo lui ma vogliamo noi, le nostre attese e pretese, il Dio con il volto compiacente dei nostri desideri. Trovi Dio se cerchi il Figlio che ti ha dato, il suo cammino, il suo progetto. Provate a pensare alle situazioni in cui ci pare che ci manchi qualcosa: salute, lavoro, benessere, riconoscenza, attenzione… E se Dio volesse donarti qualcos’altro? E se attraverso la tua precarietà volesse donare qualcos’altro a qualcun altro? Pensate al dramma delle carrette del mare che approdano nelle nostre coste. Dove sono Dio e il suo dono? Sono nell’esperienza della solidarietà, nel volto del buon samaritano. Ecco Dio che continua a dare il suo Figlio.

3.    E infine: perché chi crede abbia la vita eterna. Notate che in greco non viene adoperato il termine bíos che comunemente indica la vita biologica, ma zoé aiónios che è la vita di Dio, la vita dell’eterno che è definitiva e non è toccata dalla morte biologica. Con il battesimo noi siamo stati generati a questa vita e Dio si manifesta quando questa condizione dell’esistenza si manifesta, quando la zoé sottrae spazio a logiche di morte. Avete sentito di quei ragazzi che hanno concluso l’anno scolastico in discoteca con una festa a base di ketamina. E quando sono arrivati i carabinieri, come spesso accade, si camminava sulle sostanze disperse sul pavimento. Questa non è zoé e non è neanche bios! È una cultura di morte barattata come normalità. E mentre a scuola sembra importante fare battaglia all’omofobia, di altre battaglie, specie se toccano il divertimento e gli interessi connessi, non c’è traccia. Dov’è Dio? Dove l’eterno vince. E dove l’uomo pensa in grande la vita.
 
Non recidere, forbice, quel volto.
Il Signore ce lo regala ancora una volta quel volto, ad immagine del quale è stato fatto anche il nostro. In esso ci rispecchiamo perché quei tratti ci sorprendano e la nebbia non ci avvolga.