sabato 25 agosto 2012

Omelia 26 agosto 2012

Ventunesima domenica del T.O.

Ricordate da dove eravamo partiti? Da Gesù che spezza i pani tra gente entusiasta che lo acclama come re. Ed ecco la conclusione della vicenda: Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Cos’è successo nel frattempo? Gesù ha fatto un lungo discorso dove ha cercato di far capire il senso di gesto che aveva compiuto. Cibo distribuito per interrogare, perché ciascuno possa chiedersi: che cosa mi nutre veramente? Cibo dalla provenienza misteriosa per riconoscere la fame di assoluto che ogni uomo porta con sé e per capire che a tale fame risponde lui stesso, Gesù, Pane di vita.
Ebbene prima se ne vanno le folle: non si mangia più; poi i giudei: chi crede di essere costui; poi i discepoli: questi discorsi sono difficili. Rimangono solamente i Dodici per i quali non ci sono sconti e ai quali Gesù chiede: Volete andarvene anche voi? In questo episodio c’è una vicenda che accompagna il cristianesimo di ieri e di oggi perché anche noi, di fronte ad una fede che va oltre immediati appagamenti o ciò di cui già siamo convinti, facciamo fatica a seguire Gesù e siamo tentati di andarcene. Me ne vado da un impegno e una testimonianza cristiana perché non me ne viene niente e il mondo va in un'altra maniera, me ne vado dalla chiesa e dalle sue indicazioni perché sono anacronistiche, me ne vado da una frequentazione abituale perché è meglio esserci solo se si è convinti. Come risponde Gesù a questa situazione? Scomponiamo la sua provocatoria domanda.

1.    Volete. Non è una mandria quella che ha in mente il Signore ma un uomo capace di collocarsi sulla scena del mondo e dunque anche su quella della fede con l’esercizio della volontà e della libertà. Giosuè, mentre Israele sta entrando nella terra promessa, chiede: Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire. Di fronte a Dio l’uomo sta sempre in piedi anche con la possibilità di dirgli di no, come provocatoriamente affermano i messaggi diffusi da qualche atea associazione: Dio probabilmente non esiste. Smettila di preoccuparti e goditi la vita. Ci sarebbe da chiedersi che vita ti godi in assenza di prospettive assolute e se la rinuncia a servire Dio non conduca di fatto ad essere asserviti ad altri padroni.
Ora, stiamo assistendo a livello culturale non solo e non tanto all’affermazione del no opposto all’esistenza di Dio, quanto alla stigmatizzazione di quanti si professano credenti e desiderano manifestarlo. In Inghilterra ad esempio, in nome di un principio di convivenza che cerca di combattere ogni fondamentalismo si sta combattendo ogni pubblica manifestazione credente, tanto che nell’ambiente di lavoro non puoi neppure mettere al collo una catenina con un crocifisso. In nome della tolleranza viene abolita la tolleranza. Nessuno deve essere obbligato a farsi cristiano ma neanche a vivere secondo la nuova religione secolare. Volete. Che cosa vogliamo per la nostra fede?

2.    Andarvene. Nella fede c’è anche la possibilità di andarsene. Non è solo la distanza formale dal cristianesimo ad altre religioni o a nessuna religione. È anche uno spostamento interno al cristianesimo stesso, rispetto a quello che il vangelo chiede, in termini di presenza e permanenza. Pietro infatti risponde: Verso chi andremo, tu hai parole di vita. Il pericolo è di andarsene seguendo altre parole che non sono la parola di vita. Pensate a tutte le volte che la suggestione di fuoriuscire ci cattura. Abbiamo letto nei giornali la vicenda di quel padre che andando al parco con due figli è rientrato con quello di tre anni dimenticando l’altro di cinque tra le giostrine. Forse quel papà ha delle difficoltà ma il desiderio di andarsene da una responsabilità educativa qualche volta può prenderci tutti: padri e madri, sposati e non. Specie quando un figlio di subissa di pretese e non è facile né popolare fargli capire che alla pretesa corrisponde un giudizio, un esercizio, un impegno. Secondo alcuni sondaggi i ragazzi italiani sono i più viziati dell’UE e ce ne accorgiamo quando, magari al mare, osserviamo come si vestono bambini e adolescenti italiani e come appaiono i ragazzi stranieri e i loro genitori. Tu hai parole di vita, ma noi quale vita indichiamo?

3.    E infine: anche voi. Quell’anche sembra dirla lunga: sembra che il caso di chi se ne va non interessi pochi, ma si diffonda. E sembra che questo non disturbi molto Gesù, preoccupato non dall’adesione di massa ma dall’adesione consapevole. Pietro infatti risponde: noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo di Dio. Ecco quello che importa a Gesù: che tu, fidandoti di lui, impari a conoscerlo e ad accoglierlo, partecipando dei suoi desideri e dei suoi progetti, anche se altri continueranno a vedere le cose diversamente. E il cristianesimo di oggi trova qui forse la sfida più grande: quella di uscire dalla massificazione e di ritrovare l’adesione personale, libera e consapevole.

Volete andarvene anche voi? Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.

sabato 18 agosto 2012

Omelia 19 agosto 2012

Ventesima domenica del T.O.

La vicenda di Schwazer alle olimpiadi ha gettato un’ombra triste sullo sport del nostro Paese, facendoci capire che anche quando gli atleti salgono sul gradino più alto del podio, dietro ci possono essere storie di smarrimento, di confusione, di sovvertimento dei piani dell’esistenza dove la droga più pericolosa non è l’Epo ma le aspettative degli altri, la ricerca del successo ad ogni costo, il pensiero coincidente tra quello che sei e la gara che vinci. La conferenza stampa dell’atleta ha avuto il tono di una liberazione interiore, come se le conseguenze del gesto che chiudevano la sua esaltante carriera fossero più leggere del peso che si portava dentro. Un peso fatto di bugie, di paura, di solitudine. Ora Alex afferma: Posso dire solo agli altri di non doparsi. La vita è tutt'altro. Volevo tutto e ora ho perso tutto. Io a questo punto spero di essere un esempio per chi non dovrà compiere il mio stesso errore.

1.    Questa vicenda ci fa riflettere e ci fa capire che bisogna ricercare la sapienza del vivere, la capacità di distinguere ciò che nutre e fa crescere da ciò che promette e non mantiene, ciò che fa stare in piedi da ciò che illude e delude. Nel vangelo di oggi per otto volte Gesù ripete: chi mangia la mia carne vivrà in eterno. E questa insistenza ci fa capire che abbiamo continuamente il bisogno di sentircelo dire perché il rischio di inseguire altre sapienze è sempre in agguato. Quel ragazzo di 26 anni morto per lo sballo di ferragosto, tra alcol e droga, in un rave party organizzato sul greto del Tagliamento è l’icona della fallimentare ricerca di vita che noi adulti vorremmo assicurare stigmatizzando questi eventi ma aprendo le strade alla legalizzazione di alcune sostanze, le cosiddette droghe leggere. Peccato però che le droghe secondo i neurologi non siano mai leggere, anche se una certa mentalità vorrebbe farcelo credere. “Ma così si pone un freno al narcotraffico delle cosche”, dice qualcuno, dal pensiero più evoluto. Peccato però che non ci sia in gioco solo la lotta al crimine ma anche la preoccupazione per un consumo di cannabis, ecstasy e anfetamine in aumento tra gli adolescenti che forse vanno aiutati a capire un pericolo anche con un divieto. Depenalizzare vuol dire effettiva-mente ridurre l’uso o incoraggiarlo in base all’implicito messaggio: “Vai tranquillo, non costa e non ti succede niente?”.

2.    È interessante anche l’insistenza rivolta al mangiare, a questa dimensione umana intrisa di vita. Gesù non dice: chi capisce, chi legge, chi ragiona ha la vita …  ma chi mangia. E l’Eucaristia ce lo ricorda di continuo. Perché questa preferenza? Perché nel cibo ci sono due dimensioni che stanno a cuore a Gesù: il nutrimento e la relazione. Da un lato egli vuole dirci: non dimenticare di corrispondere pienamente a quello che sei; non dimenticarti della tua vita interiore: nutrila poiché ci può essere un’anoressia spirituale che si impossessa di te senza che neppure te ne accorga. Diventi come le riviste che leggi sotto l’ombrellone: belle e senz’anima. Vanno bene due ore, ma ti rendi conto che in un uomo c’è qualcosa di più. Dall’altro lato ci fa capire che il nutrimento vero è una relazione, proprio come quando stai a tavola e ti nutri della presenza dell’altro. Gesù vuole che ci nutriamo di lui: Chi mangia la mia carne rimane in me e io in lui. Perché se ti nutri di lui, lui ti trasforma e finisci per assomigliargli. Proprio come quelle due suore che ho incontrato a Tarso in questi giorni, uniche due cristiane in una vastissima area geografica a prevalenza islamica. Non possono parlare di Gesù ma i musulmani che le incontrano le chiamano entrambe Maria, un nome che ricorda loro un’appartenenza divina e una testimonianza di carità. Ecco quello che succede quando ti nutri di Gesù: rimani in lui e diventi come lui. Come Maria sua Madre. Chi mangia di me, vivrà per me.

3.    E infine: Chi mangia ha la vita eterna. È interessante questo presente che Gesù utilizza. Ha la vita, già fin subito e risurrezione nell’ultimo giorno. Se ti nutri del Vivente non puoi che avere vita. Questi giorni estivi sono stati funestati da tante pagine di morte: morte lontana in Siria, in Sudafrica e morte sulle nostre strade, sulle nostre montagne. Tu puoi anche vivere cercando il successo, la celebrità, ma quando la pagina della morte giunge improvvisa comprendi che il caso serio dell’esistenza ti dà appuntamento qui. Ebbene, dice Gesù: fa’ in modo che quello che mangi sia più forte della morte. E lui diventa Pane perché questo sia possibile. E ogni volta che la vita è attraversata da scenari di morte lui continua ad assicurarci: la vita di cui ti nutro è più forte. Ed è questa la persuasione che i cristiani custodiscono e continuano ad affermare ogni volta che la ricerca di vita è travisata dai tanti doping che la cultura dominante vorrebbe proporci e ogni volta che la vita ci sembra strappata di mano.

La vita è tutt’altro dice ora Schwazer. E in queste parole riconosciamo la ricerca di una sapienza nuova, nella quale il vangelo ha qualcosa da dire e il Signore qualcosa da donare.