domenica 28 ottobre 2018

Omelia 28 ottobre 2018


Trentesima domenica del Tempo Ordinario

Questa settimana è stata funestata dalla terribile notizia di Desirée, la sedicenne di Latina ripetutamente violentata in un contesto di droga, criminalità, degrado. Troupe televisive che si addentrano nei meandri oscuri di uno stabile fatiscente che per qualcuno costituisce la dimora abituale e che per molti è crocevia di spaccio, di ricettazione, di fughe di fronte alla legge. In questa vicenda siamo tutti un po’ ciechi: lo sono i violentatori assassini, gente prigioniera del proprio vuoto e priva di ogni traccia di umanità, lo è il padre di Desirée, a capo del traffico di droga di Cisterna, che accusa chi gli ha ammazzato la figlia ma che non esita a distribuire morte ai figli degli altri, lo è anche Desirée che si è lasciata attrarre in questo vortice oscuro dimenticando la bellezza della sua giovinezza e le speranze che la vita consegna ad ogni ragazzo. E ciechi lo siamo anche noi, società che vorrebbe risolvere il problema con le ruspe, dimenticando che tutti quegli sbandati si trovano in quel luogo perché già altre ruspe li hanno fatti partire da altrove. Siamo ciechi anche noi quando pensiamo che questi problemi appartengano solo a contesti lontani, senza considerare che le sostanze sono alla portata anche dei nostri ragazzi. Non le ruspe bisogna muovere, ma le gru, quelle che portano a costruire, a educare, a offrire speranza e forse anche luoghi di aggregazione e d’incontro. L’emergenza educativa non è più in agenda e, in questo Paese che ama gli slogan di piazza più dei suoi ragazzi, non c’è una voce di bilancio che consenta di realizzare un ambiente per poterli mettere insieme e suggerire loro che vita non è equivalente allo sballo. L’oratorio per il quale invano cerchiamo finanziamenti ne è la prova.  

Gesù oggi guarisce un cieco e vuole guarire anche noi, bisognosi di trovare la sua luce, il suo modo di vedere le cose. Come avviene la guarigione?

1.    Anzitutto gridando e vincendo quelli che ti vorrebbero zittire. Quando il cieco sente che sta arrivando Gesù, non si trattiene e inizia a chiamarlo a gran voce, tanto che molti lo rimproveravano perché tacesse. Ma egli gridava ancora più forte. Il cieco ricorda che un tempo ci vedeva e per quanto la sua situazione sembri inguaribile, lui non si rassegna: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. Non rassegnarti mai all’oscurità; esci da quello che ti rende tenebroso, che oscura la vita. Come quell’autista di Parigi che ad una fermata del suo autobus doveva far salire François, un disabile in carrozzella. L’elevatore l’ha tirato su, ma la gente era pigiata, infastidita e non voleva lasciarlo entrare. E l’autista ha fermato l’autobus e ha gridato: “Capolinea”. Così tutti sono scesi, François è salito e l’autobus ha ripreso la corsa. Non essere vittima del silenzio, della penombra, della mediocrità. E grida quando scendono le tenebre.

2.    C’è un altro gesto molto importante che il cieco compie: butta via il mantello e si reca da Gesù. Il mantello non è solo un vestito. Nella mentalità palestinese di allora è la casa del povero, è tutto ciò che uno possiede, tanto che se uno prendeva in pegno il mantello del povero glielo doveva restituire prima del tramonto del sole. Questo cieco invece butta via anche questa garanzia perché si sente ormai accolto in un’altra dimora, uno spazio più luminoso di quello che pensa di avere. Ecco, per trovare luce dobbiamo buttare il mantello che ci copre, che ci dà sicurezza ma anche ci imprigiona. Pensate ai lavoratori della Breton che hanno regalato 120 giorni di lavoro al papà di quel bambino di S. Martino di Lupari, che è morto sotto lo scuolabus. Hanno rinunciato a un giorno delle loro ferie, per poter permettere al loro collega di stare più vicino alla sua famiglia. Uno potrebbe pensare solo al suo mantello, a starsene in ferie tranquillo dove meglio gli pare e invece getta via le sue sicurezze per far entrare un po’ di luce in più, nella vita di una famiglia segnata da una grave perdita e forse anche nella loro vita. Perché quando fai del bene, il bene fatto ti torna indietro.

3.    Infine, ci dice l’evangelista che il cieco guarito seguiva Gesù lungo la strada. La guarigione funziona se la mantieni attiva, se Gesù diventa la tua strada. Fa’ in modo che la luce non sia uno sfarfallio momentaneo, ma un chiarore che ti accompagna. Ci sono ad esempio dei ragazzi che misteriosamente appaiono a catechismo e altrettanto misteriosamente spariscono, salvo ripresentarsi a particolari scadenze. E se interpelli la famiglia, ti guardano con sufficienza, come se non ti rendessi conto di dove porta la vita. Solo quattro, cinque volte, poi viene. Certo, puoi giocare al ribasso, come quando aspetti i saldi di fine stagione: chiediti però se siano le svendite a dare struttura alla personalità di tuo figlio o la perseveranza, l’incoraggiamento, il valore che tu adulto attribuisci o meno a certe esperienze. Lo seguiva lungo la strada. La strada è la vita: vedi un po’ con chi la vuoi percorrere, perché i meandri oscuri non sono finiti ed è meglio essere in compagnia della Luce.

lunedì 8 ottobre 2018

Omelia 7 ottobre 2018


Ventisettesima domenica del Tempo Ordinario

Un giornale locale in questa settimana dava con una certa enfasi la notizia che a Castello di Godego l’amore è eterno, dato che nella Regione Veneto, il Comune ha il minor numero di divorzi. I dati si riferiscono al 2016 e appartengono all’Istat. L’1,2% su circa settemila abitanti significa, però, pur sempre un’ottantina di casi; si tratta di divorzi, cui si vanno aggiunte separazioni e relazioni problematiche che interessano parecchie altre persone. Culturalmente, poi, lo sappiamo, le scelte definitive sono messe in discussione più dello stesso matrimonio: sembra che ogni decisione possa essere sempre soggetta ad un ribaltamento legato al sentire momentaneo, al “non sento più niente per te” che trascura impegni presi, storia vissuta insieme, figli che nel frattempo sono nati. Ciliegina sulla torta: Temptation island, specchio di questa nostra realtà che fa di tentazione e separazione uno spettacolo, come se la variazione di partner fosse il modo per diventare interessanti. Cosa ci dice Gesù sull’amore umano e sul matrimonio? Il vangelo di oggi ci aiuta a scoprirlo.

1.    Anzitutto c’è un contesto di ambiguità: i farisei che si avvicinano a Gesù per metterlo alla prova. È lecito a un marito ripudiare la propria moglie? I farisei sanno che la questione è insidiosa perché c’è un comando divino che prescrive la fedeltà e una disposizione legislativa successiva che riconosce il divorzio. Uscirne non è facile: o si smentisce il piano divino o si smentisce quello che la stessa Legge ha codificato. È la stessa cosa che capita anche oggi, rispetto ai tentativi alle rotture famigliari. C’è il tentativo di forzare la mano, sia nel senso di difendere la verità del vangelo, come se nella verità non fosse compresa la misericordia, sia nella ricerca di una legittima-zione di un riconoscimento, anche quando francamente di riconoscibili ci sono solo l’egoismo e l’ormone galoppante. Gesù prima di dare risposte, invita a misurarsi con la durezza del cuore: per la vostra sclerocardia Mosè vi ha permesso di scrivere un atto di ripudio. E la sclerocardia può riguardare chi osserva la coppia dall’esterno che a volte tiene le parti dell’uno senza valutare le ragioni dell’altro, ma anche uno dei partner che tranquillamente lascia moglie e figli per trasferirsi su una casa poco più in là con un’altra compagna, teorizzando che ormai è tempo delle famiglie allargate. Famiglie allargate, ma cervelli ristretti. E cuori induriti.

2.    Gesù invita poi a scoprire un progetto più grande e più antico. Mosè vi ha permesso di scrivere l’atto di ripudio, ma all’inizio, Dio aveva fatto le cose diversamente. Di che inizio si tratta? È quello del disegno creazionale, del tentativo di Dio di sciogliere la solitudine umana. Ma è anche l’inizio della propria storia di coppia, la bellezza dell’innamoramento. Quando una coppia va in crisi, in genere scende un virus sul disco fisso che cancella la memoria, la rende inservibile. L’unico modo è fare quello che ogni tanto si fa a computer; il backup. Fermati a ricordare, a risvegliare fatti e parole, emozioni vissute perché questo piccolo tesoro non vada perduto. Perché in tali eventi c’è la notizia che quello che è nato è qualcosa di più grande di due che si incontrano, qualcosa che accende la vita. Ma attenzione agli inizi vuol dire anche curare gli inizi della vita di coppia senza approssimazione, superficialità, presunzione. Vuol dire sentire un corso di preparazione al matrimonio non come una minaccia, ma come un’opportunità. E vuol dire non fingere. Perché non inganni il prete o l’animatore, ma inganni il futuro e inganni te stesso. Se c’è un altro o un’altra lo devi riconoscere, anche se hai fissato le nozze e hai già mandato gli inviti, se hai un figlio in giro lo devi dire perché non è un Cicciobello in soffitta, se fai uno di sostanze o di alcol non è un particolare trascurabile. Come non è trascurabile l’intesa da un punto di vista religioso, dal punto di vista economico, dal punto di vista delle famiglie di origine. In principio. La casa ha bisogno di fondamenta, altrimenti si colloca un prefabbricato.

3.    Infine Gesù conclude con un avvertimento: Non osi separare l’uomo ciò che Dio ha congiunto. Qui c’è qualcosa di interessante per la vita di coppia: un monito certo, a custodire l’indissolubilità, perché ci si sposa in ...tre: c'è anche Dio e qualche volta, nella fretta di andarsene e ricominciare altrove, ci si dimentica di chiedere aiuto a Lui. Ma non osi l’uomo separare ciò che Dio ha congiunto può voler dire anche: Dio ha davvero congiunto? Papa Francesco invita a un attenta valutazione, abbreviando le strade della nullità, ma anche offrendo la possibilità di vivere cristianamente vicende di l’irregolarità, perché, dice: è vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Ciò che Dio ha congiunto. A volte ha congiunto la seconda unione e non la prima. E ci vuole la pazienza di capire per la coppia e per chi la osserva. Ci vuole il cuore del bambino, come quelli che ritornano in braccio a Gesù anche in questa domenica, per imparare  nuovamente la fiducia, la tenerezza e la semplicità. E se ascoltassimo i bambini e quello che spesso patiscono per le follie dei grandi, forse impareremmo anche che a volte ci si può riprendere, ci si può perdonare, si può ricominciare. 

sabato 6 ottobre 2018

Omelia 30 settembre 2018


Ventiseiesima domenica del T. O.

Nelle discoteche e nei locali alla moda  ci sono i privé, spazi riservati e spesso ben in vista, che consentono di garantire una zona esclusiva, invidiata dagli altri, dove inevitabilmente viene ad affermarsi una distanza tra chi occupa tale ambita delimitazione e il resto del mondo. Ebbene, anche i discepoli di Gesù oggi sono preoccupati di assicurarsi il loro privé. Hanno visto qualcuno che occupa posizioni non autorizzate e subito ne parlano con Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Qua, se tutti si mettono a far miracoli, il nostro privè non vale più niente, i tuoi diritti d’autore sono insidiati. C’è una tentazione che non riguarda solo i discepoli di ieri, ma anche quelli di oggi: chi sono questi immigrati che insidiano la nostra religione? Questi ci tolgono il crocifisso. Questo papa che apre a tutti, che non prende posizione neanche contro gli omossessuali e dice: "Chi sono io per giudicarli"… Dove vanno a finire la fede e la verità cristiana? E i divorziati, risposati e i conviventi che vengono a messa e qualche volta fanno anche la comunione? Dove andremo a finire! Poco importa che anche fuori delle nostre rotte ci sia una strada percorsa da Dio. Siamo come Giosue che quando scopre che due Israeliti si sono messi a fare i profeti, grida: Mosè, mio signore, impediscili! Mettiamo dei limiti! Gesù non sembra molto preoccupato per questa invasione di campo: i privè non gli piacciono granché e invita i suoi discepoli a ragionare in maniera diversa.

1.    Anzitutto afferma una logica di inclusione: chi non è contro di noi è per noi. Guarda il mondo con fiducia a partire dal più piccolo gesto di carità di cui un uomo è capace. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. La differenza sostanziale non è tra chi va a messa e chi non va a messa ma tra chi investe nell’amore e chi chiude il cuore. A volte trovo gente con qualche conto sospeso per quanto riguarda fede, perché ne dice di tutti i colori della chiesa ed è allergica al fumo delle candele. Ma la loro generosità non è venuta meno e magari assistono un anziano donandogli non solo il bicchiere d’acqua ma anche le loro giornate, il tempo libero, i loro risparmi. Non perderanno la ricompensa.

2.    Un secondo aspetto che Gesù mette in luce è l’attenzione ai piccoli. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Cosa sta dicendo Gesù? Sta dicendo: sta attento a quello che dici, a quello che fai, a come ti comporti, perché rischi di alimentare un cristianesimo poco cristiano e di distruggere la fede dei piccoli. Per loro diventi uno scandalo, un sasso su cui inciampano. Quando pensiamo agli scandali della chiesa, in questo tempo ci viene in mente la pedofilia del clero, fortemente combattuta da Papa Francesco e di cui abbondantemente parla la stampa. Certo, è un crimine e un peccato di cui noi preti ci vergogniamo. Ma mi chiedo se talvolta non ci siano altri scandali che non appar-tengano solo ai preti, bensì ad una testimonianza poco convincente di vita cristiana. I ragazzi di Casale sul Sile che hanno lanciato la campagna: per dialogare non serve bestemmiare, sono il segnale che forse qualche responsabilità scandalosa in questo senso ce l’abbiamo.

3.    E proprio per questo Gesù dice: Taglia! Se la tua mano, il tuo piede, il tuo occhio è motivo di scandalo …taglialo. Non si tratta di tagliare fuori gli altri, ma di tagliare quei modi di fare che alterano i contorni della fede. Abbiamo sentito poco fa il richiamo durissimo di Giacomo contro chi confida unicamente nella ricchezza e si arricchisce alle spalle dei poveri: Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore onnipotente. Pensate al caporalato al sud, a come sono sfruttati i ragazzi negli stage o nei contratti a chiamata; ma anche al reddito di cittadinanza in cui uno stato preferisce dare soldi piuttosto che opportunità di lavoro. Lo ha detto chiaramente anche Papa Francesco: “È il lavoro che conferisce la dignità all’uomo, non il denaro… Il lavoro crea dignità, i sussidi, quando non legati al preciso obiettivo di ridare lavoro e occupazione, creano dipendenza e deresponsabilizzano”. Taglia quello che tradisce la tua umanità, la tua verità e ritrova il vangelo anche nelle tue scelte.

I discepoli prima di vedere le minacce altrui, vedono quelle che si annidano nel proprio cuore e nei propri pensieri. E non hanno paura di qualche taglio se si tratta di salvaguardare la vita. È meglio entrare nella vita con un piede solo che saltare con due nella Geenna. Mettiti dalla parte della vita e cammina con fiducia con ogni uomo di buona volontà sulle strade di Dio.


Omelia 23 settembre 2018


Venticinquesima domenica del T. O.

Nel giornale dell’altro giorno c’era una notizia interessante: i fiori di Bach per aumentare la pazienza dei genitori. Le famose gocce floreali per aumentare la resistenza, per accettare la personalità del bambino, per sviluppare l’empatia… Non so se sia la soluzione ma a volte di fiori di Bach ne servirebbero quintali. Anche Gesù oggi ne ha bisogno perché i suoi discepoli, nonostante abbia appena detto loro che sta andando a Gerusalemme per essere messo in croce, non entrano in quel registro. Anzi, lungo la strada hanno sogni di segreta grandezza: Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Gesù non si arrabbia: li chiama a sé e spiega loro ancora una volta cosa significa essere discepoli.

1.    Essere discepoli vuol dire mettersi sulle tracce del crocifisso risorto. «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Vuol dire che essere cristiani non ti colloca sotto una campana di vetro. Sei il discepolo del crocifisso e anche tu a volte vieni crocifisso. Ma quella strada di morte, rimanendo uniti a lui, diviene una strada di vita. Dopo tre giorni risusciterà. Perché questo passaggio, questa strettoia angosciante? Perché Dio vuole che impariamo a fidarci di lui, come il Figlio si è fidato del Padre, per non coltivare segretamente l’idea di essere noi gli artefici della nostra salvezza senza esserlo affatto, perché ci sono alcune vicende da cui puoi uscire da solo, ce ne sono altre dove solo il Signore ti salva. E ti serve ricordare che te l’ha detto e che l’ha vissuto prima di te. Dio non ti toglie la croce: la vita cristiana non è un film di maghi e magie, ma la trama di chi cammina con Gesù e si fida di lui e del Padre. Nei giorni scorsi a Roma è stata aperta la causa di beatificazione di Chiara Corbella, giovane madre morta a 28 anni e che decise di rinviare le terapie oncologiche per non danneggiare il figlio che portava in grembo. Ora Dio ci ha chiesto di continuare a fidarci di Lui nonostante un tumore che ho scoperto poche settimane fa e che cerca di metterci paura del futuro, ma noi continuiamo a credere che Dio farà anche questa volta cose grandi. Le cose grandi non sono state la guarigione, ma il cammino della santità e la processione che continua a raggiungere la tomba di questa santa della porta accanto. Dopo tre giorni. Fidati di Dio: lui vede più in là.

2.    Essere discepoli vuol dire non farsi ingannare da false grandezze. Chissà cosa avevano in mente i discepoli… Ma anche noi corriamo questo rischio. Essere uno scalino più in alto, superare la fila, farsi valere, contare di fronte agli altri, diventare violenti e velenosi perché responsabilità politiche, amministrative, professionali …parrocchiali sono cambiate e qualcuno non si è accorto di noi, di quanto valiamo. Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra! È la guerra del “lei non sa chi sono io” e che ci porta a volte ad essere aggressivi e arroganti, a volte a essere patetici, in ogni caso a sprecare la vita dietro a un riconoscimento che non ci viene dai tappeti rossi che calpestiamo, ma dall’effettiva disponibilità che diamo agli altri, come servi. Perché se sei servo non hai problemi: sei all’ultimo posto, non puoi cadere e puoi solo essere d’aiuto a qualcuno. «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

3.    Infine il discepolo oltre a farsi piccolo riparte dai piccoli: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». Di chi prendi le difese, chi ti sta a cuore? Lascia perdere quelli che contano: hanno già il loro Dio e qualche volta lo sono a loro stessi. Prova a vedere quanto puoi essere importante invece per i piccoli della terra, che ti benediranno perché in te scopriranno la mano di Dio. Pensate a quei volontari della croce rossa che mentre trasportavano un anziano da Carrara a Ivrea, dove vivevano i suoi figli, ha chiesto di poter vedere per l’ultima volta il mare. E loro si sono dati da fare per raggiungere il litorale tirrenico, forse per l’ultima volta. Un servizio a un piccolo della terra, ad un bambino di 88 anni che in questo modo ha trovato la mano di Dio. Ma anche quei volontari hanno trovato quella mano, anzi, ne hanno visto il volto: nell’anziano che hanno soccorso. Piccoli diventati grandi, non secondo le misure del mondo, ma secondo le proporzioni evangeliche. Quelle stesse che oggi il Signore raccomanda anche a noi.

Omelia 16 settembre 2018


Ventiquattresima Domenica del T. O.

«Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio». Queste sono le parole pronunciate ieri da papa Francesco a Palermo, a venticinque anni dalla morte di don Pino Puglisi, prete che combatteva la mafia, che offriva nuove possibilità ai ragazzi catturati dalle cosche e che prendeva posizione netta contro la pretesa dei mafiosi di ritenersi buoni cristiani, di incoraggiare e sostenere devozioni e processioni, di fare del bene alla gente, non importa con che soldi e a prezzo di quali favori. Anche un mafioso è convinto di essere un cristiano, ma discepolo di chi? Quale Dio ha conosciuto? «Convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo, cari fratelli e sorelle! Io dico a voi, mafiosi: se non fate questo la vostra stessa vita andrà persa e sarà la peggiore delle sconfitte». Questo messaggio ci aiuta a comprendere la duplice domanda che Gesù rivolge ai discepoli: Chi dice la gente che sia il Figlio dell’Uomo? Voi chi dite che io sia? Che non vi capiti di farmi corrispondere al pensiero della gente, che non vi capiti di ritenervi cristiani mentre seguite le vostre idee o un cristianesimo accomodante a vostro uso e consumo. Come si verifica il nostro incontro con il Signore, la verità della fede in lui?

1. Anzitutto riconoscendo una parolina rivoluzionaria, una congiunzione avversativa: ma. Ma voi, chi dite che io sia? La gente dice molte cose, ma voi che siete stati con me, che mi incontrate ogni domenica, che dite di volermi bene… chi sono per voi? Gesù non vuole essere per le definizioni, per i libri, per le mode, le opinioni asettiche e innocue che non fanno male a nessuno. Gesù vuole essere per te, per noi. Ma voi. Allora la prima verifica è proprio qui: penso al Signore con la mia testa e il mio cuore o ho affittato il pensiero altrui, l’accettabilità condivisa di un rapporto neutro? Quando partecipi a un matrimonio e in chiesa taci, perché tutti tacciono e ti confondi in quella situazione politicamente corretta dove non hai più neanche il coraggio di pregare, chi stai seguendo? Stai seguendo la gente che dice che al matrimonio non è il caso di apparire troppo religiosi, altrimenti che figura ci fai?

2.    Altro aspetto importante è accogliere tutto il vangelo e non solo quello che ti fa comodo. Dopo che Pietro ha dato a Gesù la sua risposta piena di fede, Tu sei il Cristo, Gesù fa capire che essere il Cristo non vuol dire fare una passeggiata o ricevere onori, ma dare la vita. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. A quel punto Pietro non ci sta più e comincia a reagire in maniera accesa contro Ge sù:  lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ti insegno io, Signore, il mestiere. In questi giorni ho ricevuto un messaggio, uno di quelli che si inoltrano pensando di trovare condivisione. Più o meno diceva così: Vi siete mai chiesti da dove vengono tutti questi virus che circolano nelle nostre città? Vengono da tutti questi extracomunitari che si aggirano nelle nostre città come un tumore maligno. E giù a dire che portano tubercolosi, scabbia, aids. Queste malattie invece secondo i dati diffusi dalle organizzazioni sanitarie e non dai social raccontano una realtà differente. Ci sono casi di scabbia, che non è la peste: si cura con una pomata. Le malattie dei profughi sono invece quelle legate ai barconi, ai traumi della prigionia e di un viaggio massacrante. Sono le malattie dell’anima, la loro e la nostra quando la verità è sostituita da fake allarmistiche e la carità ha smesso di toccare le nostre scelte. Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Attenzione a non mortificare il vangelo, a pensare a una fede senza la carità. Non c’è più Gesù Cristo, non c’è più il cristiano. Va’ dietro a me, Satana. Vuol dire: ritrova il tuo posto, al seguito del maestro, non davanti a lui.

3.    Infine le considerazioni sulla croce: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Vuol dire: guarda che questa strada di vita ha un costo, passa attraverso i patimenti, il coinvolgimento personale, l’esigenza di pagare di persona e talvolta di soffrire. Vivere il vangelo non ti espone agli applausi, ma alle critiche. È quello che ricordava ieri Papa Francesco ai giovani di Palermo: «Dio non ti vuole dietro le quinte a spiare gli altri o in tribuna a commentare, ma in scena. Mettiti in gioco! Hai paura di fare qualche figuraccia? Pazienza, perdere la faccia non è il dramma della vita. Il dramma della vita è non metterci la faccia, è non donare la vita!». Continua a esserci, a lottare, anche quando diventi impopolare: quello che importa non è essere inattaccabili ma operare per il vangelo, non è quello che pensano gli altri, ma la domanda di Gesù: Voi, tu… chi dite che io sia?