sabato 24 ottobre 2015

Omelia domenica 25 ottobre 2015


Trentesima domenica del T.O.


Ho scoperto che a cinquant’anni gli occhiali da lettura sono necessari. Togli, metti… vorresti evitare questa alternanza, ma scopri con un certo realismo che non ne puoi fare a meno. Così è anche nella vita: tu sei di fronte a determinate situazioni, ma per vedere di serve un’occhiale in più, altrimenti vedi sfuocato, vedi solo a metà. Ebbene, Gesù vuole restituirci oggi un po’ di vista, quella che viene dall’incontro con lui, quella di chi accosta la vita con gli occhiali della fede. Alla fine, infatti, questa sarà la dichiarazione che Gesù rilascia a Bartimeo, il cieco guarito: La tua fede ti ha salvato. Come si accede a questo sguardo nuovo? Come si recuperano queste diottrie?

  1. Anzitutto osserviamo la situazione. Bartimeo è a Gerico, città di confine e, seduto ai margini di una strada, chiede l’elemosina ai passanti. Egli non è cieco dalla nascita: una volta ci vedeva e per questo chiede di avere di nuovo la vista. Quali sono le situazioni che una volta ci pareva di conoscere e che attualmente ci trovano incapaci di vedere? Il matrimonio: una volta ci si vedeva bene, poi qualcosa si è oscurato. L’approccio all’ambiente di lavoro: una volta si vedeva un’etica; oggi timbri tre-quattro badge, magari anche in mutande, e poi te ne vai per i fatti tuoi. Oppure pensate all’approccio più generale alla vita: una certa serenità lascia spazio al pessimismo, alla tristezza, al rammarico o al rimpianto. E ci pare che la vita ci debba qualcosa che, con la ciotola delle recriminazione, andiamo a chiedere. Quando succede questo, siamo a Gerico, in una terra di passaggio. Puoi rimanere prigioniero della tua situazione o puoi tornare a vederci. Come?
  2. Altro aspetto importante è il grido di Bartimeo: «Figlio di Davide, abbi pietà di me». “Figlio di Davide”: in questo termine c’è l’eco di una storia antica. Una storia di fedeltà tra Dio e il suo popolo. Il cieco sta dicendo: “Signore, fammi vedere dove sono finite le tue promesse. Aiutami a riconoscere la tua presenza”. Ma a questa richiesta corrisponde un’azione dissuasiva di qualcun altro. Molti lo rimproveravano perché tacesse. È quello che capita anche oggi quando tentiamo di gridare a Dio o quando tentiamo di affermare le ragioni di Dio e di riacquisire i suoi disegni. Qualcuno ci vuole zittire. Ci zittisce la fretta che ci impedisce di pregare. Ci zittisce una preghiera sfiduciata che dubita del reale ascolto da parte di Dio. Ci zittiscono i consigli altrui che talora ci suggeriscono atteggiamenti che non sono quelli del vangelo. Pensate all’incrinatura di un rapporto di coppia: “Perché devi credere nella recuperabilità di una relazione? Rassegnati! Mollalo. Hai fatto bene!”. Cosa fa il cieco? Gridava ancora più forte. Non mollare la presa, sembra dirci. A volte il Signore aspetta proprio questo, che gridi ancora di più, non perché non sappia ciò di cui abbiamo bisogno, ma perché attende che riconosciamo la nostra insufficienza e impariamo a fidarci di lui. Perché ci rendiamo conto che non tutto passa attraverso la nostra contabilità: «Coraggio, alzati, ti chiama».
  3. Bartimeo si trova di fronte a Gesù: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». Ma quella fede che salva qui produce un altro cambiamento: mentre prima il cieco stava presso la strada (parà ten odón) alla fine sta nella strada (en ten odón). Se vuoi che qualcosa cambi nella tua vita, se vuoi tornare a vedere devi inoltrarti sulla strada di Gesù e del vangelo. Non rimanere ai bordi. Pensate alle polemiche di questa settimana sull’ora di religione. C’è nuovamente qualcuno che cavalca il cavallo della polemica e che dice che certe  risorse della scuola bisognerebbe impiegarle non per la religione, ma per gli insegnanti di sostegno. E continuiamo ad alimentare una  impostazione scolastica pretestuosa che continua a marginalizzare l’insegnamento della religione e chi lo frequenta. Rimani su quella strada. Non te ne allontanare. Non c’è solo l’insegnante di sostegno, ma ci sei anche tu che hai bisogno di sostegno, per capire e per capirti, per comprendere l’arte e la storia di questo paese, ma anche per poter capire che la dimensione religiosa è vitale per l’uomo e proprio questo tempo insegna che, cacciata dalla porta sta rientrando dalla finestra. Basta osservare la scena internazionale. Segui Gesù sulla strada, anche quella di un’ora alla settimana a scuola. Forse puoi tornare a vedere meglio. E forse qualche beneficio lo potrà avere anche questo nostro paese.
    Non aver paura degli occhiali. Mettiti però quelli giusti e lascia che Gesù ti conduca a vedere.  

Omelia funerale Bruno Furlan

Funerale Bruno Furlan (21 ott. 2015)
1Cor 15, 51-57 Gv 14,1-6

La parrocchia è fatta di molta gente, ma alcune persone ti consentono di riconoscerne il volto. Sono quelle che vediamo con maggior regolarità e che sono diventate parte di un appuntamento o di un rito che si rinnova. Bruno era tra queste.
Lo vedevamo a messa, anche due volte al giorno, tre se c’era un funerale: i suoi commenti, i suoi canti con qualche strafalcione, le offerte, l’elemosina, i rimproveri ai ragazzi che disturbavano in chiesa… E così capivi che eri a Godego, in questa nostra vicenda comunitaria! 
  1. Bruno ci ricorda che la vita cristiana ha un luogo nel quale trova la sua più chiara visibilità: la chiesa parrocchiale. La chiesa non esaurisce la vita cristiana, come una casa non esaurisce la vita famigliare. Ma la chiesa e la casa sono un riferimento per identificarci, per ritrovare un volto, un’imma-gine sulla quale specchiarci e capire chi siamo. E se non entriamo in questo spazio, finiamo per perderci, per confondere la nostra stessa realtà. Bruno frequentava questa casa: per lui era importante. Da una decina d’anni aveva lasciato la sua vecchia casa dei Prai e si era trasferito in centro. Un passaggio non facile per uno come lui tenacemente radicato nelle tradizioni agresti. E forse, in questa costosa dislocazione, la chiesa – che era ancora quella di sempre – costituiva una sorta di garanzia per non smarrirsi. Ma vederlo in chiesa consentiva anche a noi di ritrovarci, di contare su un riferimento, di capire che nei nostri andirivieni c’è qualcuno che resta al suo posto. Bruno ci ha ricordato che la fede è un’avventura in comunione, che ogni presenza è un dono. Non trascurare mai quella casa nella quale il Signore ha dato inizio alla tua fede, guarda con gratitudine chi la frequenta e cerca di essere anche tu riferimento per la fede dell’altro. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti, ci ha assicurato Gesù, Io vado a prepararvi un posto. Bruno rimanendo al suo posto ci ha ricordato che Gesù tiene in serbo un posto per ciascuno di noi e già in questa vita esso ci viene donato. 
  2. Il mondo di Bruno era fatto anche di terra e di animali. La sua casa nuova era stata ben presto organizzata come quella antica e chi la visitava ne rimaneva un po’ impressionato: galline, conigli, mais... un’arca di Noè! Ognuno di noi è quello che è, con i suoi limiti, le sue fisse, i suoi modi di fare e anche Bruno non era esente da una certa …originalità! Però ad un certo punto ha accettato una trasformazione. Mettendosi di fronte a sua moglie malata, ha capito che le cose dovevano cambiare e ha accettato che il tempo della fattoria fosse concluso. Sapendo quanto gli era costato tale passaggio mi pare una decisione non da poco, testimonianza di una disponibilità a lasciarsi mettere in discussione e aprire nuovi varchi tenendo conto non solo delle proprie propensioni o simpatie, ma anche del bene dell’altro. Non rimanere prigioniero di te stesso, delle tue idee, ci dice Bruno. Non credere che il cambiamento sia impossibile. Quali sono le tue impostazioni che incatenano la tua vita e la vita di chi ti vive accanto? Guarda che ci si può liberare: non solo dalle galline e dai conigli, ma anche da abitudini che generano malcontento, fraintendimenti, appesantimenti nelle relazioni. La morte non è solo la conclusione dell’esistenza, quanto la partecipazione a scelte velenose che minacciano vita. Il pungiglione della morte è il peccato, ci ha ricordato Paolo, e qualche volta ne siamo artefici. Ma il Signore ce ne può liberare: Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria. Lascia che Gesù ti liberi dalle scelte di morte che compromettono l’eterno. 
  3. Bruno però, insieme a sua moglie, è passato anche attraverso la grande sofferenza. La morte tragica di suo figlio ha lasciato un marchio indelebile nella sua esistenza. Lui a volte si intratteneva con noi e scherzava, ma nei suoi occhi c’era sempre un velo di tristezza. E tuttavia questo non gli ha fatto perdere la fede e la speranza che sono in Dio. A messa, durante la comunione, Bruno spesso intonava il canto che immancabilmente era: Il Signore è il mio pastore. Pur se andassi per valle oscura, non avrò a temere alcun male: perché sempre mi sei vicino, mi sostieni col tuo vincastro. La vita a volte ci riserva momenti di grande difficoltà e ci mette alla prova. E allora ci si può chiudere e incattivire. Ma si può anche guardare all’oltre di Dio nella persuasione che lui non ci perde. Lui è il Buon Pastore che non teme la valle oscura.
Bruno ci ha creduto. Era una persona semplice, non esente da limiti che noi del resto abbiamo conosciuto. Ma era un credente che si metteva nelle mani di Dio e che oggi ci lascia in eredità un po’ della sua fede e della passione per questa comunità.
Raccogliamo tale dono. Diventi responsabilità nello stare accanto a Gelinda e Denis perché mancando un marito e un padre trovino dei fratelli e diventi fiducia il quel Dio che sempre ci accompagna e fa nuove tutte le cose.

martedì 13 ottobre 2015

Omelia 11 ottobre 2015


Ventottesima domenica del T.O.


Henry David Thoreau, filosofo statunitense, per sperimentare una vita più semplice nel 1845 si ritirò in una piccola capanna da lui stesso costruita presso il lago di Walden. E Walden divenne anche un famoso suo libro dove descriveva il senso della sua scelta. 

Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita, sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire in punto di morte che non ero vissuto”. Ecco, da sempre l’uomo porta nel cuore un desiderio di vita autentica, sottratta a tutto ciò che la compromette e la mortifica. Anche nel vangelo di oggi c’è un tale che cerca vita, capace addirittura di resistere alle sfide del tempo: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Qual è la strada della vita per il cristiano? Gesù non ti chiede di andare nei boschi, ma ugualmente ti chiede di fare attenzione a chi promette e non mantiene, a chi dice di darti vita mentre in realtà la sta soffocando.

  1. La prima garanzia di vita appartiene a una strada ben nota: «Tu conosci i comandamenti». Gesù ricorda la seconda parte di questa antica legge, quella che ha a che fare con gli altri. La pienezza che cerchi è fatta di alcuni riferimenti fondamentali che ti ricordano che la tua vita non è mai scollegabile dalla vita dell’altro. Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre. Non pensare di trovare vita da solo, di privatizzare l’esistenza. Essa ti è sempre donata in una trama di relazioni che, se dimentichi o ne alteri il valore, compromettono anche il tuo equilibrio, la tua stabilità. Pensate alla scelta delle Suore di Madre Teresa che, opponendosi ad una nuova legge indiana, hanno sospeso le adozioni per non consegnare i bambini orfani a single, affermando il diritto di un bambino ad avere un padre e una madre. Non uccidere la speranza dell’altro, non adulterare l’amore umano, non rubare la bellezza di una famiglia. Ecco i comandamenti che ti ricordano che la tua vita è sempre vita nella direzione di qualcun altro. Non perdere il fratello.
  2. Quel tale di cui parla il vangelo sembra però già convinto di queste cose: Che mi manca ancora? Ed ecco allora il rilancio di Gesù. «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; ». Per avere vita, la seconda attenzione è il monitoraggio di ciò che la risucchia. Sta’ attento perché rischi di non trovare più niente. È l’inganno della ricchezza, realtà alla quale quel tale del vangelo ha già consegnato i suoi giorni: Se ne andò rattristato: possedeva infatti molti beni. I beni che ti impediscono di vedere il bene, il tuo e quello degli altri, i beni che diventano una sorta di carcere che ti toglie la libertà. Il risparmio che diventa spilorceria, tanto che eviti chi potrebbe chiederti qualcosa, famigliari compresi. La casa che diventa una sorta di santuario dove per custodire gli ambienti nuovi continui a vivere nei vecchi. Ma può capitare anche il contrario: ho tanti soldi e devo far vedere che li ho. Allora mi devo muovere con determinate vetture, vestirmi in certo modo, esserci in alcune occasioni, sparire in altre: tutto per mantenere un certo standard di rispettabilità. Vedi che la ricchezza sta mangiando la tua libertà?  Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio! Il povero che Gesù indica è la grande opportunità che la vita ci consegna per scuoterci dall’inganno e restituirci alla verità di quello che siamo. Per ricordarci che siamo dei poveri, tutti, e che la ricchezza vera è essere vita per qualcuno. È dare la vita. 
  3. Infine Gesù dice: «Vieni! Seguimi!». Trovi vita se segui lui, se entri in una nuova economia fatta di sorpresa, di centuplo. In questi giorni il Presidente Mattarella ha insignito alcuni italiani di un’onorificenza al merito. Mi colpiscono molto queste storie, in particolare di quell’insegnante di Cavarzere che ha speso una vita per l’inclusione scolastica di ragazzi disabili. Un segno ben diverso da quella madre che, in Francia, ha ritirato la figlia da scuola perché riteneva sconveniente la presenza di un’ausiliaria down. Ritiri tua figlia, l’altro è un pericolo, occhio alle minacce, filo spinato… e la tua vita, anziché il centuplo, si impoverisce. Chi stai seguendo? Quale progetto?

    Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza. Domandiamo anche noi la sapienza della vita e la capacità di cercarla sempre in grande, secondo le misure dell’eterno.

domenica 4 ottobre 2015

Omelia 4 ottobre 2015




 
Ventisettesima domenica del T.O.
Si sta avvicinando il Sinodo sulla Famiglia e non mancano le attese e le provocazioni. Il matrimonio è indissolubile, ricorda qualcuno: il Sinodo non può cambiare la dottrina! Ma altri ricordano che il quadro culturale oggi è più complesso e ci si deve misurare con situazioni inedite che non rientrano con semplicità nel Codice di diritto canonico. C’è poi la forte pressione del mondo gay che rivendica nuovi spazi di considerazioni e la pretesa di fare famiglia come ogni famiglia. L’uscita di quel monsignore romano che ha dichiarato la sua omosessualità e il fatto di condividerla con un compagno è una chiara provocazione tempisticamente molto calcolata. In questo dibattito a volte non è importante la verità ma la legittimazione delle proprie idee che qualche volta vengono barattate come vangelo. È la stessa situazione di fronte alla quale oggi si trova Gesù: alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova. E la prova è proprio su un terreno in cui gli uomini sono parecchio vulnerabili, quello della stabilità degli affetti famigliari: È lecito a un marito ripudiare la propria moglie? Se Gesù avesse detto di no avrebbe smentito la legge di Mosè che in alcuni casi prevedeva il ripudio. Se avesse detto di avrebbe smentito il suo massaggio di amore. Cosa dice Gesù, come ne esce?
  1. Gesù smaschera innanzitutto una resistenza che impedisce di accogliere l’iniziativa di Dio. Per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse questa norma. A volte anche noi scriviamo norme che non vanno a salvaguar-dare un progetto ma a legittimare un presunto diritto. Il diritto a rifarsi una vita: oggi sull’onda di una certa indifferenza si smentiscono scelte fatte in precedenza inseguendo momentanee emozioni. Non importano i diritti di chi abbandoni, magari dei tuoi figli. Così il diritto ad avere un figlio, anche nell’ambito di un’unione omosses-suale: e il diritto ad un padre e uno madre? Oppure il diritto a convivere, senza troppi problemi ritenuti formalità. Sicuro che il matrimonio sia tale? Com’è allora che quando arrivi a dire quel sì ti emozioni e  ti viene il nodo alla gola? Vuol dire che non era formalità: vuol dire che il cuore era indurito. Non ti nascondere: occhio a non fare dei tuoi sistemi discutibili la legge che regola il mondo.
  2. Gesù però non si limita a visitare il cuore dell’uomo: invita a trovare un’origine generante: Dall’inizio della creazione non fu così. Bisogna tornare al principio, altrimenti sopravvengono tanti principi che non stanno in piedi. Il principio è custodito in quel racconto che abbiamo udito: Dio crea l’uomo e la donna. È un principio di somiglianza: Non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Dove colmi la tua solitudine? Col cane? Hai bisogno di qualcuno che ti corrisponda non di qualcuno che ti scodinzoli! È un principio fatto di mistero: quando Dio crea, l’uomo dorme. Fermati alle soglie dell’azione creatrice: c’è qualcuno di più grande all’opera. Non è il gioco del piccolo chimico! E un principio carico di stupore e di gioia: Questa volta è ossa dalle mie ossa e carne dalla mia carne! All’inizio c’è sorpresa non adeguamento: ti sei perso lo stupore per strada? Come guardi tua moglie/marito? È un principio che implica il lasciare: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre… Se vuoi vivere qualcosa di inedito devi mollare gli ormeggi! La carne sola non è più il cordone ombelicale che ti lega a tua madre! Ecco, trovare le origini della creazione, trovarle sempre. Il matrimonio reca con sé il principio d Dio non delle nostre alchimie.
  3. Infine c’è quel monito: Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto. Attento a ciò che offusca il disegno di Dio. Certo, ci sono spinte culturali che oggi costituiscono una minaccia per la coppia e la famiglia, a partire dal fatto che si parli più dei diritti dei gay che di quelli di una famiglia che mette al mondo dei figli e talvolta non ce la fa ad andare avanti. Ma ci sono anche delle minacce più sotto casa che colpiscono l’unità. La mancanza di rispetto nella coppia, un umorismo che si trasforma in ironia e sarcasmo, la prevalenza del fare che ci rapisce e rende gli sposi estranei l’uno all’altra. Non lasciarti rapire da quel progetto che il Signore ha inaugurato. Se sei sposato custodiscilo e se non lo sei promuovilo ugualmente perché una famiglia ricorda a tutti gli uomini che sono famiglia e che la chiamata alla comunione riguarda tutti.
Il Sinodo che stiamo per iniziare è l’occasione per ritrovare il grande disegno di Dio sull’amore e per vederne ancora la necessità e la bellezza. Non è la provocazione che cambia le cose ma la vocazione ad amare, senza sconti e senza sotterfugi.