sabato 29 dicembre 2012

Omelia 25 dicembre 2012

Natale 2012

Sono sempre struggenti i film che ridestano la memoria dell’Olocausto e, nei giorni scorsi, quando la TV ci ha riproposto Il bambino con il pigiama a righe, mi ha fatto riflettere la scena di Bruno, il figlio dell’ufficiale nazista che entra nel campo di concentramento. Non un lager qualsiasi, ma quello a pochi metri dal giardino di casa, raggiunto nonostante i perentori divieti dei genitori e luogo in cui si sviluppa un’amicizia intensissima con un bambino internato, Shmuel. Il filo spinato che divide questi due ragazzi non ostacola il dialogo e neppure il gioco, finché un giorno Shmuel comunica a Bruno che suo padre non c’è più. E allora, la grande decisione: «Vengo di là e lo andiamo a cercare». La scena avvincente è quella di Bruno che scava un passaggio sotto il filo spinato e di Shmuel che consegna il pigiama a righe, lo stesso che lui indossa, perché l’amico si possa confondere con gli internati. I due bambini ritroveranno il padre, ma passando per la stessa tragica morte che ha subito. Il film dice il mistero del Natale. C’è un Dio che si avvicina, che si fa compagno di giochi dell’umanità, che stringe amicizia e che ad un certo punto dice: «Supero il filo spinato, ti vengo accanto, ti aiuto a cercare quanto di più importante ti sta a cuore».

1.    Questa immagine ci riconsegna il volto più autentico del Dio cristiano. È un Dio vicino, partecipe delle nostre vicende, anche quando presumiamo di far senza di lui. Nei prossimi giorni il Comitato delle Costituzioni dello Scoutismo mondiale è chiamato a pronunciarsi su un’istanza tanto singolare quanto dolorosa: quella di togliere il riferimento a Dio nella promessa degli scout. Con l’aiuto di Dio, prometto di fare del mio meglio. Qualcuno sta sottraendo gli spazi di Dio in un’esperienza educativa che è nata e cresciuta con un forte riferimento religioso. È un segnale in piena sintonia con una deriva laicista e secolarizzata con cui ci misuriamo ormai da tempo, quella stessa che toglie il nome stesso di Cristo dal natale anglofono e ne fa l’X-mas anziché il Christmas. Baden-Powel, nel suo testamento, raccomanda ad ogni scout di lasciare il mondo un po’ migliore di come l’ha trovato. Siamo così sicuri che il mondo senza Dio che stiamo consegnando alle giovani generazioni sia davvero il meglio che possiamo regalare? E tuttavia, Dio non si dà per vinto e ogni anno alza il reticolato del lager culturale nel quale viviamo per starci accanto, per aiutarci a reagire all’appiattimento, per riprendere la ricerca di quanto ci fa uomini. Ecco il Natale: è Dio che ci sottrae alla follia di fare senza di lui e ci ricorda che terra e cielo sono uniti nell’abbraccio divino e non c’è pace vera se cancelliamo l’orizzonte della gloria di Dio.

2.    Come Dio ci fa capire queste cose? Lo fa con un Bambino. Pensate, poteva parlare attraverso i sapienti o i potenti del tempo, poteva affidare la sua rivelazione a un intelligente raggio cosmico… e invece Dio appare sulla scena del mondo con i vagiti di un bambino. Un paio di giorni fa, passando sotto la Loggia dei Cavalieri, mi sono imbattuto nelle immagini del reparto di neonatologia del nostro ospedale. Un’esposizione salutare in un’Italia attraversata da un inverno demografico che non solo interroga il nostro futuro, ma rende inquieto il nostro presente privandoci di partecipare al miracolo della vita e a quello che la vita porta con sé, a chi nasce e a chi l’accoglie. Perché quando stringi un bambino tra le braccia scopri un mistero del quale sei partecipe ma non sei l’artefice, scopri che la verità non appartiene solo ai ragionamenti ma anche ai sentimenti, scopri che nella vulnerabilità c’è una forza che libera un’altra parte di te. E questo è anche il Dio cristiano: si fa bambino per dirti che è alleato della vita, per riguadagnare la tua parte migliore, per risvegliare il fascino di un rapporto con l’Assoluto che è fatto di un cuore che batte e non solo di vecchie fotografie o di inaccessibili teoremi. Dio si fa bambino per poter essere accolto con fiducia e, nel realismo della sua incarnazione, non si nasconde solo nel segno del presepe, ma in ogni bambino della terra: per nascere e rinascere, come uomini e come credenti.

3.    Ed infine quel Bambino ci ricorda l’oscura vicenda di una notte che non è solo quella poetica descritta dai canti natalizi, ma è quella che corrisponde ai motivi dell’incarnazione. La notte del cuore umano, segnato da un male che sembra invincibile, come quello che spinge il piccolo Bruno e l’amico Shmuel nella camera a gas. Dio viene per strapparci da questa realtà, per dirci: la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. A volte la camera a gas è quella cui condanniamo la nostra e l’altrui esistenza con le nostre chiusure, le pretese indebite, i risentimenti. Camera a gas è quella che porta un figlio a mettere in casa di riposo la madre per affittarne l’appartamento, è quella che ci rende irremovibili di fronte a chi ci chiede perdono, è quella di chi condiziona pesantemente i rapporti familiari imponendo se stesso. Se a Natale intuiamo che c’è qualcosa che può andare diversamente, forse questo non è solo un attimo di emozione, ma è la novità di Dio che sta giungendo, la sua luce che ti vuole condurre fuori dal gas e restituirti al respiro di Dio. Per questo quel Bambino è venuto e per questo si fa compagno di tutti i tuoi giorni: perché sia sempre aperta la possibilità di ritrovare la tua dignità. A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio a quelli che credono nel suo nome. Fa’ del Natale la possibilità di rinascere in quella novità con cui Dio ti ha pensato e non lasciare che l’oscurità abbia la meglio. Questo sarà il Buon Natale: che Dio ha in mente e che oggi, ancora una volta, rende possibile.

domenica 23 dicembre 2012

Omelia 23 dicembre 2012

Quarta domenica di Avvento

In Turchia, il governo incoraggia una politica di sviluppo del settore tessile mediante la quale insegna alle donne l’arte del tappeto e le avvia al lavoro impegnandosi ad acquistare i loro prodotti. E i turisti sono invitati a visitare i laboratori artigianali dove, su telai di antica fattura, le giovani tirocinanti, con grande perizia, sui fili dell’ordito intrecciano trame di vario colore. Il senso di quel gioco velocissimo sfugge all’occhio inesperto, ma solo finché il pettine non compatta la lana e robuste forbici non ne tagliano l’eccedenza. Ecco allora il disegno, in tutta la sua bellezza. Anche nella nostra vita funziona così. A volte vorremmo scorgere un disegno, ma vediamo solo dei nodi confusi che ci deludono o ci pongono di fronte alla tentazione di andarcene. Anche Maria di Nazaret oggi vive un simile disagio. L’angelo l’ha resa partecipe di un disegno che non solo sembra improbabile, ma addirittura la espone al sospetto e alla condanna altrui: attendere un figlio illegittimo corrispondeva infatti alla lapidazione. Come ne esce la Vergine Madre? Come individua il progetto complessivo?

1.    Anzitutto, Maria deve fare chiarezza. L’angelo, il Figlio dell’Altissimo, lo Spirito Santo… Da dove partire? In mezzo a tanta solennità c’è un luogo conosciuto, un segno che può trovare verifica: Elisabetta, tua parente, nella vecchiaia ha concepito un figlio ed è al sesto mese. Maria si mette in cammino per scorgere gli inizi di qualcosa di inedito su esperienze già note. C’è stata una parola che ha indicato una novità e Maria si mette su quella traccia. E quando arriva dall’anziana parente, ecco che Maria inizia a capire: capisce che Dio è al lavoro, capisce che è il Dio della vita, capisce che di quella parola detta e ascoltata ci si può fidare. Così funziona anche nella nostra vita. A volte vorremmo che Dio ci sorprendesse con segni eclatanti, miracolistici. Ma il segno da cercare è quello della novità su esperienze già conosciute, dalle quali Dio riparte. Pensate ad esempio alla crisi. I regali di Natale non sono più quelli spensierati di un tempo, almeno per alcune persone. E pensate a com’è difficile non fare un regalo se lo si è sempre fatto. Ma questo ci fa capire l’esigenza di invertire alcune logiche fatte di consumo, ci fa capire che il regalo è già custodito a casa nostra, ci apre a gesti di sobrietà e di solidarietà. Ecco dove Dio ci aspetta: su un terreno conosciuto sta liberando qualcosa di nuovo.

2.    Maria però non compie un percorso solitario. Cerca la cugina Elisabetta che vive una situazione analoga alla sua. Due madri in attesa. E ciascuna percepisce il fremito di vita che l’altra porta con sé. Saluti, benedizioni, bambini che esultano nel seno. Se vuoi trovare i segni di Dio devi parlarne con chi è in grado di coglierli e di condividerli. A volte oggi noi perdiamo le prospettive evangeliche dell’esistenza proprio per questo deficit interpretativo. Non c’è difficoltà nel parlare delle nostre cose, neanche di quegli aspetti che domanderebbero riserbo. Ma com’è difficile parlarne da cristiani. Pensate ad esempio ai momenti in cui viviamo dissapori o tensioni con qualcuno. Parlarne può esserci di aiuto, ma non è detto che l’interlocutore che troviamo ci suggerisca le strade di Dio. A volte può indicarci quelle della rivalsa, della ripicca, dell’abbandono. Pensate a come nelle tensioni coniugali stia sparendo, ad esempio, la parola perdono. Certo, non è sempre facile trovare un interlocutore che ci indichi le strade di Dio, ma qualche volta, siamo anche noi a non volerle intravvedere, rivolgendoci a chi la pensa come noi, a chi può essere un facile alleato, a chi ci dà ragione. Ma la ragione in greco ha un nome: logos e il logos cristiano è Gesù Cristo. Cerca qualcuno che ti aiuti a trovare questa ragione. Altrimenti l’esistenza diventa un talk-show. Abbiamo dato spettacolo per un’oretta ma la nostra vita non è cambiata. Cerca un confronto capace di suggerirti parole di vangelo, la posta di Dio e non solo C’è posta per te.

3.    Infine i segni di Dio recano con sé il sussulto gioioso in chi incontri: Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. Quando Dio è in azione, la vita di chi ci è affidato diviene una danza. E questo è un segno che il suo progetto si sta compiendo. Per chi diventi danza? Ieri, il Parlamento ha chiuso i battenti senza giungere all’approvazione di quel decreto che doveva favorire la conversione della detenzione carceraria in altre pene. E non solo non si è approvato il decreto, ma la Legge di stabilità ha tagliato anche l’esiguo fondo destinato al lavoro nelle carceri, una delle poche possibilità di riscatto. Inneggiamo a Benigni che parla di costituzione ma ci dimentichiamo l’art. 27 che dichiara: Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Vedere le diverse misure con cui determinati raggruppamenti politici sono garantisti con chi è fuori e manettari con chi è dentro, ti porta a chiedere se non abbiamo confuso la danza di Dio con un balletto opportunista molto lontano dai suoi disegni. Anche Maria di lì a pochi versetti, nel Magnificat, ci comunicherà la sua danza, ma essa parte dalla persuasione di esserlo innanzitutto per altri. Fa’ danzare gli altri secondo il vangelo e un po’ alla volta vedrai danzerà anche la tua vita.

domenica 9 dicembre 2012

Omelia 9 dicembre 2012

Seconda domenica di Avvento

L’analisi logica è importante. Ti costringe a riconoscere bene com’è organizzato il discorso: soggetto, verbo, complemento... Non è solo un esercizio letterario, ma un accesso alla realtà per non confondere gli elementi, per non attribuire valore a chi non ne ha e dimenticare ciò che invece è fondamentale. Anche Luca, che padroneggia bene il greco, costringe i suoi lettori all’analisi logica, per abilitarli a riconoscere il vero soggetto che misteriosamente agisce, per non finire vittime della confusione e di un grande inganno. I nomi altisonanti, con cui si apre il vangelo di oggi, non devono trarre in inganno. Mentre si evocano l’imperatore, il procuratore romano, i re giudei insofferenti a Roma, i sommi sacerdoti, il soggetto unico e indiscusso è la Parola di Dio. Non lo dimenticare, non confondere il tempo con l’eterno, le logiche momentanee con l’orizzonte. Cerca il disegno più grande: quello che Dio ha in mente. La sua Parola: l’unica che non cambia, non tergiversa, non viene meno. Non si tratta di analisi logica, ma di far posto alla logica di Dio, al suo logos che ormai irrompe sulla scena del mondo. Di che parola si tratta? 

1.    La Parola di Dio venne. Il verbo greco egheneto ha il sapore dei grandi accadimenti: non indica solo un movimento di luogo ma qualcosa che nasce, che dà vita a una sorpresa, che irrompe sulla scena. La Parola di Dio, quella stessa che egli ha adoperato per creare il mondo ora agisce in mezzo agli uomini, rivela i progetti di Dio, il suo modo di vedere le cose. Dio non se ne sta chiuso in se stesso ma si fa conoscere, dice il suo punto di vista. E mentre lo fa la sua novità è in azione. Quale parola viene nella nostra vita? A quale consegniamo la nostra possibilità di cambiamento? Mentre le forze politiche si stanno ormai orientando alla prossima legislatura, ascoltando molti dei loro discorsi, comprendiamo che le scelte dei cristiani non potranno prescindere dall’unica Parola capace di generare novità. Siamo chiamati ad aderire non agli slogan ad effetto e neanche alle strategie delle alleanze e degli equilibri, ma a chi sa assecondare il divenire della Parola, a chi consente varchi al vangelo e ai valori imprescindibili con cui il cristiano si colloca sulla scena del mondo: in primo luogo a un principio di verità, per non perdere il contatto con la realtà e con quanto questi mesi ci hanno aiutato a capire e al principio della solidarietà, per non dimenticarci che il bene nostro è legato a quello degli altri.

2.    Ma la Parola ha un destinatario: venne su Giovanni Battista. E quando la Parola va da qualcuno, ecco che quel tale diventa voce. Dio resta muto se non ha qualcuno che gli presta la voce. Voce per dire di lui, della sua presenza, del suo modo di vedere le cose. In questi giorni una persona ci ha chiesto di far conoscere un’iniziativa: metti un drappo con l’immagine di Gesù Bambino sul balcone di casa per ricordare il senso del Natale, per essere voce del Natale cristiano. Ci si interrogava sull’opportunità di questo gesto. C’è bisogno, non ce n’è bisogno? Cristianesimo della visibilità o del mistero nascosto? E qualcuno, citando S. Ignazio, osservava: “Meglio essere cristiani senza dirlo che dirlo senza esserlo”. Certo, ma Ignazio stabilisce una priorità non un’esclusione. E in questo tempo in cui parcheggiare un discorso cristiano lontano da intenti polemici, sembra impossibile, forse ci è chiesto di far sentire nuovamente la voce, come Giovanni Battista. Voce della Parola. Magari semplicemente esponendo un drappo e rendendo ragione di tale gesto.

3.    Il coraggio di parlare, però, ci conduce considerare un’altra situazione nella quale la Parola risuona: Venne su Giovanni Battista nel deserto. Il deserto ti fa pensare al vuoto, all’assenza di interlocutori. Ma il deserto è anche il tempo dei grandi ricominciamenti biblici e Dio non lo teme, anzi ne fa la via di accesso nel mondo. Oggi su Avvenire è pubblicata una lettera che Asia Bibi scrive dal Pakistan dove sta scontando un’ingiusta detenzione. Perché questa donna, madre di cinque figli, è cristiana ed è stata condannata all’impiccagione per blasfemia contro Maometto. Sentite che dice in un passaggio: Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta onestà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana. «Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui». Voce di uno che grida nel deserto. E quella voce, uscita da una cella senza finestre, forse più di ogni altra, ci sta dicendo come la Parola possa fortificare una persona, sconfiggere l’odio tra i popoli e le religioni, abbattere anche il muro di indifferenza che ci rende a volta estranei alla persecuzione che ancora molti patiscono per la fede.

La Parola ha bisogno della voce e quando la trova il deserto cessa di essere tale. Ce lo auguriamo. Per Asia Bibi e anche per noi.

La Lettera completa di Asia Bibi la trovi qui: http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/scrivodaunacella.aspx

Se vuoi il drappo rosso con Gesù da esporre, vieni a S. Agnese.

lunedì 3 dicembre 2012

Omelia 2 dicembre 2012

Prima domenica di Avvento 2012

Segni nel cielo, fragore nel mare e dei flutti, uomini travolti e impauriti da uno scenario di sconvolgimento.
Le parole di Gesù sembrano presagire alcune immagini che abbiamo visto in questi giorni a Taranto, quando una tromba d’aria si è abbattuta sulla città e sullo stabilimento dell’Ilva che, oltre ai danni economici e ambientali, ora si misura anche con quelli strutturali. Quando capitano situazioni di questo tipo siamo disorientati perché ci mettono di fronte alla nostra precarietà e ci fanno capire la verità delle parole di Gesù. Non è Dio che manda l’uragano. Ma l’uragano può essere l’occasione per ritrovare il senso di Dio. Può essere motivo per ridimensionare la nostra voglia di onnipotenza, per agire con responsabilità quando costruiamo qualcosa, per capire che anche la natura, nell’economia della creazione, ha una voce. E anche nell’economia di un’azienda.
All’inizio di questo tempo di avvento siamo dunque invitati a ritrovare i corretti confini dell’esistenza e a mettere in conto i disegni di Dio, il suo ritorno alla fine dei tempi, ma anche ogni volta che gli facciamo posto. E Gesù ci offre alcune indicazioni.

1.    Attenzione ai sistemi. Gesù, con il linguaggio dell’apocalittica, evoca il sistema solare, qualcosa che sembra resistere al tempo. Il ciclo del sole, della luna, delle stelle: si è sempre mosso così. Ebbene, dice Gesù, guardate che se anche questo movimento cosmico, apparentemente eterno, è destinato a finire, anche i tanti sistemi che vi sembrano immutabili hanno i giorni contati. I sistemi dell’economia, i sistemi della politica o di una certa politica, i sistemi dettati dalla moda. Come cambiano? Cambiano perché Dio ha la parola ultima sulla storia e prima o poi egli pone un limite alla tracotanza dei potenti; ma cambiano anche perché c’è un uomo che al sistema non si assoggetta. Alzatevi, dice Gesù, piegatevi, ma verso l’alto! Il verbo anakýpto vuol dire alzare la schiena, raddrizzarsi. Mettetevi dritti davanti ai potenti, dritti davanti a coloro che sembrano dominare, attenti agli inchini, alle cortigianerie. Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi. Così anche per quei sistemi di vita familiare o personale che ci piegano. Veniamo da una settimana di manifestazioni e riflessioni sulle violenze alle donne e ci siamo resi conto di una triste realtà che ancora ci appartiene. Ma violenza al femminile è anche quella che lascia una donna sola ad abortire, è quella esibizionistica, travestita da veline e letterine, di cui talvolta le stesse donne sono complici. Anakýpsate, dice Gesù: raddrizzate la schiena e non siate complici del sistema.

2.    Ma non essere complici del sistema, non vuol sempre dire trovare l’orizzonte di Dio. Possiamo anche andare in piazza e manifestare contro il regime di turno ma non è detto che riconosciamo, in tal modo, le corrette prospettive della vita. Ecco perché Gesù aggiunge quel monito: State attenti che i vostri cuori non si appesantiscano. E indica tre pericoli: dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita. Notate la relazione tra queste tre esperienze. A volte noi ci accaniamo sulle ubriachezze, sulla sballo della vita. Il termine greco kraipále è familiare anche in italiano: le crapule, i bagordi. Ma da dove parte tutto questo? Dagli affanni della vita. Dall’in-sofferenza per quello che fai, dall’intolleranza per chi ti circonda, dalle preoccupazioni per il domani, dall’insoddi-sfazione per quanto hai realizzato, dalle minacce che avverti. Gesù dice di non rimanere succubi di tale pesantezza e, se prima invitava ad alzare la schiena, ora invita ad alzare il capo, a guardare l’orizzonte e non solo il particolare. Il tuo lavoro è insopportabile? Guarda che c’è in gioco ben più della tua fatica: c’è la tua azienda, c’è la tua famiglia. C’è una persona malata che vi sta mettendo in difficoltà? La malattia ci disorienta, ma talvolta essa parla alla vita. Aspetti il fine settimana per l’evasione notturna? Guarda di non ritrovarti sulla panchina della stazione di Mogliano in come etilico, mentre i tuoi amici velocemente ti abbandonano. Levate il capo.

3.    E infine c’è un compito fondamentale che ci viene consegnato. Vegliate in ogni momento pregando. La possibilità di rimanere svegli è affidata alla preghiera. Proprio questa dimensione che oggi stiamo perdendo è la grande occasione che Gesù ci suggerisce. Perché quando preghi immediatamente si ridisegnano i contorni della vita e ti rendi conto che non ci sei solo tu e che non tutto è legato alle tue forze. Inizia a pregare con semplicità, per quello che ti sta a cuore. Ma vedrai che, un po’ alla volta, la preghiera ti farà capire che cosa sta a cuore a Dio e insegnerà al tuo cuore a battere come il suo, a vedere i germogli della sua presenza anche dove sembra impossibile e a distinguere le seduzioni ingannevoli dalla parola che dura per sempre.
C'è una preghiera particolare che questo tempo d’avvento ci consegna. E’ l’invocazione aramaica Maranathà già adottata dai primi cristiani: Vieni, Signore. Forse possiamo ripeterla anche noi, imparando a far conto di tale venuta e a riprogrammare con essa la nostra vita e quella del mondo.

sabato 24 novembre 2012

Omelia 25 novembre 2012

Cristo Re 2012

In questo clima preelettorale, le tematiche legate al governo e al buon governo non cessano di interrogarci. Quali sono le caratteristiche che vorremmo vedere in chi si prende cura delle sorti del paese? Quale regno vorremmo si stabilisse dopo gli anni di piombo, gli anni di mani pulite e gli anni di una crisi che investe non solo l’economia ma anche la percezione del bene comune? La festa di Cristo Re ci dà modo di riconoscere quale regalità ha in mente Dio e il modo con cui egli desidera affermarla sulla scena del mondo.

1.    La regalità innanzitutto ha a che fare con lui e con il suo Figlio. La domanda di Pilato è al crocevia della pretesa di Dio di regnare sul mondo e del sospetto ironico e guardingo nei suoi confronti. Dunque tu sei re? È quello che talvolta anche noi affermiamo rivendicando un’autonomia di giudizio e di potere priva di ogni riferimento trascendente. Non vogliamo che vi siano criteri e autorità più grandi di quelli che ciascuno riesce a stabilire e riconoscere in nome della libertà individuale. Ma in questa maniera non siamo più liberi e neppure più potenti. Ci consegniamo a quella che il Papa, da parecchi anni, chiama la “dittatura del relativismo”, tirannia che nasce proprio dove vorremmo morisse ogni tentativo di ingerenza sulla nostra vita. Pensate al dibattito sull’autodeterminazione sessuale che ci fa tanto discutere. Un giovane tedesco ha trovato spazio nei giornali dei giorni scorsi perché è innamorato del suo cane e la sessualità… la condivide con lui. Per il bene suo e dell’animale, come ha precisato. La questione ci sembra aberrante ma perfettamente in linea con le idee non sempre chiare di autonomia e di libertà che stanno avanzando. E in questo caso, ci sono due questioni che oggi appaiono imprescindibili: da un lato la libera scelta dell’orientamento sessuale, dall’altra i diritti degli animali. Noi inorridiamo per gli esiti della faccenda, ma quali argomenti giuridici possiamo opporre nel momento in cui un ordinamento civile esclude un’idea di uomo un po’ più grande della propria autodeterminazione? O quando la base del diritto è comune per uomini e animali? Togliamo Dio dall’orizzonte e non c’è più un progetto creazionale, un “cosmos”, un ordine. E regnano altre logiche. Dunque tu sei re?

2.     Un secondo aspetto su cui riflettere è la domanda con cui Gesù risponde a Pilato: Dici questo da te o altri ti hanno parlato di me? Qual è l’idea che ti appartiene? Hai un’idea? È una domanda di straordinaria attualità in questo tempo di omologazione in cui traiamo conseguenze e indicazioni per il vivere su presupposti non verificati. La questione riguarda anche noi cristiani affascinati a volte da pensieri che ci sembrano vincenti e che acriticamente assumiamo. Sull’Espresso del 9 novembre scorso, ad esempio, c’era un reportage di un viaggio a Gerusalemme di Piergiorgio Oddifreddi il quale, girando per le vie della città, incapace di leggere i segni del sacro, ma con la pretesa di saperlo fare, conclude dicendo: «La Gerusalemme cristiana è una specie di Las Vegas Celeste, in cui tutto è ovviamente fasullo, ma tutti fingono felicemente che non lo sia». Un approccio che non merita neppure l’appellativo di laico, tantomeno di scientifico, perché è guidato unicamente dalla superficialità e dal pregiudizio. Ecco, di fronte a questi guru siamo talvolta, se non affascinati, almeno disorientati, finendo così per attribuire loro le corrette prospettive dell’interpretazione dei fatti, anche della fede. Dici questo da te o altri te l’hanno detto? Guarda che Dio non ha bisogno delle verifiche di Oddifreddi e che nel tuo cuore e nel cuore della storia ci sono ragioni sufficienti per credere, a partire dai segni di Dio e da quel vangelo che hai ricevuto in dono. Se la matematica non può conoscere qualcosa, non è detto che qualcosa non ci sia. Attento a non ridurre il regno a quello che qualcuno ha in mente.

3.    E proprio questo orizzonte ulteriore ci può far riflettere, come appare dalla risposta di Gesù: Il mio regno non è di questo mondo. Gesù non sta identificando solo un confine tra la terra e il cielo, ma anche la diversa regalità di cui è interprete. “Non faccio il re come succede in questo mondo”. È infatti un re che dona la vita, che spende tutto se stesso per quel popolo che ama. È questo il regno che Gesù intende stabilire, nella direzione del servizio e della gratuità. Ne sentiamo il bisogno a livello politico, ma comprendiamo che la questione parte da lontano, da un ambito educativo che rischia di non suggerire più questa prospettiva. E la fatica che, in questa Giornata del Seminario, riscontriamo nell’ambito delle vocazioni al sacerdozio, ha a che fare con la stessa radice: il dono di sé. I politici (e i preti! e gli uomini!) di domani sono i ragazzi di oggi, ma se non li aiutiamo a capire che ogni uomo viene a questo mondo con un debito di gratitudine che non si restituisce se non con la gratuità, l’uomo perde se stesso, la vocazione che lo colloca nel mondo. Se vuoi regnare mettiti a servizio, suggerisce Gesù: ritroverai te stesso, gli altri e forse anche un quadro politico differente. Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo: lascia che regni e impara a regnare da lui.  

sabato 17 novembre 2012

Omelia 18 novembre 2012

Trentatreesima domenica del T. O.

Ormai ci siamo. La fine del mondo secondo il calendario Maya è prevista il 21 dicembre prossimo. E a confermarla sarebbe anche un asteroide vagante, grande come il Texas, che forse precipiterà sulla terra.
Ogni tanto simili previsioni tornano a evocare panorami apocalittici, a chiusura dell’umana vicenda. Li ascoltiamo inizialmente con una leggera apprensione che, in genere, si trasforma in battuta o in una scrollata di spalle. Gesto saggio da un certo punto di vista, che ci mette in guardia dai profeti di sventura e da visioni catastrofiste, ma non fino al punto da credere che un confronto su questo capitolo dell’esistenza non sia necessario. Non con i Maya o un asteroide, ma col vangelo, con quello che Gesù ci suggerisce in relazione a tale evenienza.

1.    Un primo aspetto su cui riflettere è proprio la conclusione della vicenda umana sulla terra. In quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo. Il sole per l’uomo biblico è il segno della vita che cresce e risplende, la luna scandisce l’avvicendarsi dei mesi e delle stagioni, le stelle indicano l’orientamento dell’uomo. La vita tra tempo e spazio: è l’esistenza umana e i suoi contorni essenziali. Gesù sta dicendo: non dimenticarti che l’orizzonte e i giorni in cui ti muovi sono sempre esperienza penultima e dunque destinata a finire. L’orizzonte ultimo, il giorno vero sono io. È una visione che non vuole farci paura, ma restituirci le corrette proporzioni della vita contro le strettoie di un secolarismo egemone che, se un tempo non ci consentiva di riconoscere l’oltre, oggi ci illude di essere i padroni dell’universo. Padroni della scena politica tanto da pensare di essere insostituibili, padroni della protesta tanto da trasformarla in devastazione, padroni di chi protesta, tanto da ricorrere alla violenza. Come stai vivendo i tuoi giorni? Hanno oscurato il giorno di Dio o gli lasciano ancora un posto?

2.    Un altro aspetto riguarda l’incontro di quel giorno. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con potenza e gloria grande. La fine del mondo è l’incontro con Gesù, non la catastrofe. Ed è interessante che Marco, il primo evangelista a raccontarci di Gesù, non aggiunga ulteriori riferimenti apocalittici, né introduca la scena del giudizio finale, come farà Matteo più tardi. A Marco preme rassicurare i cristiani ai quali scrive il suo vangelo che la bella notizia è proprio questa: Gesù ritornerà. E lo farà con la meticolosa preoccupazione di cercare tutti i suoi fratelli. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dall’estremità della terra all’estremità del cielo. Gesù cerca ogni uomo che ha creduto e sperato in lui: non perde nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato. E manda i suoi angeli, un’immagine che corrisponde non solo al ritorno glorioso, ma a qualcosa che lo anticipa, nel momento in cui un angelo ci gira intorno e ci porta o ci riporta da Gesù. Il papa in questi giorni ha pubblicato il messaggio che accompagna la prossima GMG a Rio. Ricordando la celebre statua del Cristo Redentore sul Corcovado con le sue braccia aperte e accoglienti, il Papa dice ai ragazzi: "Siate voi il cuore e le braccia di Gesù! Andate e testimoniate il suo amore, siate i nuovi missionari animati dall'amore e dall'accoglienza!". Ecco, ogni volta che qualcuno ci riporta a Cristo o quando siamo noi a portargli qualcuno, noi affrettiamo e anticipiamo l’incontro finale.

3.    Un’ultima riflessione è legata all’immagine del fico e ai suoi germogli che preludono l’estate. Con essa Gesù ci restituisce il senso e il valore del tempo che stiamo vivendo. È la stagione del germoglio, diversa da quella rigida dell’inverno e da quella in cui si possono assaporare i frutti. Il cristiano si muove sulla scena del mondo facendo attenzione alle gemme nei quali Dio racchiude la sua novità. Sono i germogli che racchiudono qualche versetto del vangelo, la parola che non passa! Come quelli liberati nei giorni scorsi dai colleghi di lavoro di Mariangela, una commessa di 44 anni di Cagliari che, colpita da un ictus, era stata messa in mobilità, anticamera del licenziamento: «Noi siamo convinti che possa farcela e siamo pronti a impegnarci con tutte le nostre forze per aiutarla in ogni modo. Siamo convinti che anche una multinazionale, che deve preoccuparsi di mercati e bilanci, abbia un cuore: non può lasciare sola una sua lavoratrice che, a causa di un ictus, per il momento non può essere la stessa.  Mariangela è una donna capace e leale, sempre pronta al consiglio. Abbiamo rischiato di perderla quel maledetto 23 maggio e non vogliamo perderla mai più». Le difficoltà di Mariangela sono innegabili, ma i suoi colleghi puntano sul futuro, sul germoglio. E anche loro diventano un germoglio che sottrae interesse alla spasmodica domanda sulla fine del mondo, perché quello che conta non è la fine, ma il fine, il senso che dai alle cose. E quando liberi una parola di vangelo quel fine già comincia a realizzarsi e noi iniziamo a vederlo: In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. E non c’entrano i Maya, ma i discepoli di Gesù, che, in attesa del ritorno glorioso del Signore già ne scorgono i segni e su quei segni continuano a investire speranza.

sabato 3 novembre 2012

Omelia 4 novembre 2012

Trentunesima domenica del T. O.

Lo scrittore tedesco Herman Hesse, in una sua opera pubblicata dopo la morte, afferma: I libri hanno valore soltanto se conducono alla vita, se servono e giovano alla vita, ed è sprecata ogni ora di lettura dalla quale non venga al lettore una scintilla di forza, un presagio di nuova giovinezza, un alito di nuova freschezza. (Scritti letterari I, 1972).
Forse è anche l’idea che sta nel cuore di quello scriba che raggiunge Gesù per domandargli: Qual è il primo dei comandamenti? Uno scriba è uno che di libri se ne intende e in Israele il suo compito è quello di scrutare le Scritture, di commentarle, di ordinarle. Ma, ricondotte alla loro essenza, - sembra chiedere quest’uomo - quale messaggio contengono? Quale scintilla di vita?
È un’occasione che ci viene offerta per ripensare alla fede, ai comandamenti, alle parole che ascoltiamo ogni domenica, al modo con cui viviamo l’esistenza credente: che cosa viene prima? Che cosa racchiude in sé la giovinezza del cristianesimo?

1.    La risposta Gesù inizia a darla richiamando l’antico invito del Deuteronomio, che costituisce la preghiera che gli ebrei osservanti recitano anche oggi al mattino e alla sera: Ascolta, Israele. Per primo c’è l’ascolto. Israele prende coscienza della propria identità perché Dio parla. Questo è il primo comandamento: in quella parola che viene dall’alto è custodita la misura compiuta dell’esistenza, quella che ti ricorda il limite di molte altre parole che vorrebbero scalzarla. In questi giorni tra Londra e Edimburgo ci sono una serie di eventi legati al Fertility Show, dove si parla di concepimento, di gravidanza, di inseminazione, di interruzione. Appuntamenti tra conferenze e stand espositivi che affermano di promuovere la vera parità tra donna e uomo dando finalmente alla donna la possibilità di decidere di sé senza “rimanere vittima della propria fertilità”. E poi i centri fertilità che espongono le loro tecniche di fecondazione con diagnosi reimpianto che “garantisce l’eliminazione di embrioni di scarsa qualità”. Abbiamo scollegato l’ascolto di Dio nell’area della vita e immediatamente prendono posto altre parole, come quelle della Exelgyn, l’azienda che commercializza la pillola abortiva RU486, che è lo sponsor principale del congresso. Ascolta, Israele. Il Signore tuo Dio è l’unico Dio…

2.    Il secondo invito di Gesù è quello di collegare la propria vita all’amore. Qual è la scintilla del cristianesimo? L’amore. Ma perché l’amore sia tale, deve trovare sempre le proporzioni di Dio e l’affidabilità nell’altro. Le dimensioni di Dio ti ricordano che l’amore reca con sé tutto ciò che sei: il tuo cuore, la tua anima, la tua mente, la tua forza. Non lasciarti sottodimensionare in progetti che parlano d’amore, ma che mancano di affetto, di intelligenza, di volontà.
Il prossimo ti ricorda che l’amore non è un’astrazione, ma la possibilità di essere restituiti a se stessi e di capire che sei fatto per amare ed essere amato.
Su questo orizzonte d’amore sentiamo quanto siano strette alcune prospettive che oggi vengono barattate come amore nascondendo qualcos’altro.
Mi fa tristezza, ad esempio, il modo con cui un paio di emittenti televisive trattano la questione della sessualità, proponendo trasmissioni mascherate di educational, ad un target giovanile che, mentre sembra rigettare vecchi tabù, cade nelle secche di un amore immiserito nei saldi di fine stagione. Ma chi sono gli esperti dell’amore umano? La pornostar che ammiccando allo share interviene con i suoi preziosi consigli? I corsi accelerati di trivialità animalesche con cui puoi trasformare un rapporto di coppia stantio? E anche i sessuologi, guru della rinnovata intesa di coppia: abbiamo verificato che idea di uomo hanno in mente? Le indicazioni cristiane in materia di sessualità ci sembrano anacronistiche ma forse esse intendevano custodire l’amore e in esse l’uomo stesso. Con tutto ciò che gli appartiene e con l’altro che gli è affidato.

3.    Ed infine ci fa riflettere il modo con cui si conclude il dialogo tra Gesù e lo scriba: Non sei lontano dal regno di Dio. Vuol dire che siamo sulla strada giusta, ma c’è ancora un piccolo tratto da fare. Perché il primo comandamento cristiano non è “ama Dio e ama il prossimo” ma quello di Gesù: Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. La forza del cristianesimo è nel come di Gesù. È un “come” intriso di sorpresa, mai scontato, nel quale l’amore cresce e stupisce innanzitutto chi se ne scopre capace. Amore che ti fa resistere al tuo posto, amore che sconsideratamente perdona, amore che trasforma il sospetto con la solidarietà…

Qual è il primo dei comandamenti? La fede cristiana non è un codice da osservare, ma amore da vivere. Gesù ce ne rende partecipi perché ne riconosciamo le misure compiute della nostra vita e la bella notizia per ogni uomo. Perché continui esser e tale o perché ritorni ad esserlo.

domenica 28 ottobre 2012

Omelia 28 ottobre 2012

Trentesima domenica del T.O.

Ricordate “Nuovo cinema paradiso”? Quando Alfredo, il vecchio proiezionista, incontra Totò, quel bambino che l’ha salvato da un incendio nel quale ha perso la vista, invita il piccolo ad aprire orizzonti nuovi per il suo futuro. Per il momento c’è quella sala cinematografica dove il ragazzo lavora, ma la vita riserva appuntamenti più importanti. E Alfredo, per avvalorare il suo presagio, dice una frase di grande intensità: Adesso che ho perso la vista ci vedo di più. Ecco la fede funziona così. Finché vedi le cose con le misure di quello che ti si stringe attorno, raccogli ben poco; se osservi con lo sguardo interiore c’è qualcosa di più. Per te e per gli altri. I cristiani sono coloro che vedono oltre e che sanno indicarlo, come il vecchio Alfredo al piccolo Totò.
Ma è un percorso che non si improvvisa. La fede è dono di Dio: è lui che accende lo sguardo interiore. Ma bisogna raccoglierne il movimento, come quel cieco sulle strade di Gerico. Proviamo a capire in che modo la sua vicenda parla alla nostra vita. Ci sono tre esagerazioni di cui il cieco è protagonista, tre slanci sui quali la fede prende forma.

1.    Quando passa Gesù il cieco grida e quando qualcuno cerca di zittirlo, quest’uomo grida ancora più forte. Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. La prima sproporzione appartiene alla parola liberata, alla rivalsa contro l’intimazione: Molti lo rimproveravano perché tacesse. La fede nasce dalla vittoria sull’intimidazione, sulla congiura del silenzio, sulla sistematica sottrazione degli spazi di informazione legati ad un religioso che non sia di tipo scandaloso o allarmistico: i ricatti ai danni del prete e le scuole materne che chiudono. E noi ne siamo vittime e complici, tanto che i discorsi della fede o non li facciamo o diventano lo specchio di quello che il giornale ci presenta. Prova a far spazio a un po’ di parola cristiana, ascoltata, letta e detta. Ha fatto scalpore nei giorni scorsi la notizia che TV2000, emittente cattolica italiana, canale 28, ha avuto share tutt’altro che insignificanti rispetto ad un palinsesto rinnovato, accattivante e capace di attivare il pensiero. Un bel segno di chiesa che abita il mondo dei media che non ha paura di comunicare le proprie ragioni e forse anche di un mondo che ha bisogno di parole differenti rispetto a quelle dei reality e dell’intrattenimento.

2.    Il secondo movimento sproporzionato va dall’invito ad alzarsi al mantello gettato via. Il mantello è tutta la sicurezza del povero, la sua casa: se qualcuno lo prende in pegno dovrà renderlo al tramonto, dichiara il libro dell’Esodo, “perché sarebbe come prendere in pegno la vita”. Ebbene Bartimeo, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. La sua sicurezza sta ormai in quel balzo che ridisegna gli equilibri. La fede è un passaggio che ti riconsegna alla vita in una maniera diversa, in un movimento che sembra spregiudicato, ma che individua un appoggio altrove, in un terreno più sicuro delle tue sicurezze. È la terra di Dio e del suo Figlio: poggi sull’invisibile. Se ci pensate, noi continuamente facciamo di questi balzi, fidandoci di qualcuno. Perché, allora, non dare anche a Dio questa possibilità? E come nella vita la verità di una persona la scopriamo fidandoci di lei, così anche con Dio: lo scopriamo non previamente alla fede, ma nella fede stessa. Cinque anni fa, in questi giorni moriva d. Oreste Benzi, un uomo vissuto di fede e dell’irremovibile certezza che Dio può cambiare le persone. Lui che di notte raggiungeva i marciapiedi malfamati e consegnava un rosario e il suo numero di telefono alle prostitute, convinto com’era che tali donne non andassero consolate ma liberate e che la prostituzione non andasse regolamentata ma combattuta. Fede vuol dire persuasione che con Dio possa andare meglio: è la sfida che viene rivolta non solo a chi non conosce Dio, ma anche a un cristianesimo nutrito dalla rassegnazione o assestato sulle misure di un pensiero accettabile. Lìberati da questo mantello: Dio è il padrone dell’impossibile e vuol far nuova la vita non consacrare l’adattamento. Sentiamo sinceramente di dover convertire noi stessi alla potenza di Cristo, che solo è capace di fare nuove tutte le cose (Mess. Sinodo Nuova Evang.).

3.    E infine la terza sovrabbondanza. Il cieco guarito viene invitato ad andarsene, ma la vita di prima non gli appartiene: da quel momento decide di seguire Gesù. E subito ci vide e lo seguiva lungo la strada. La fede apre un seguito, una logica permanente di vita nella quale la strada diviene l’appuntamento. Metti fede dove le strade della vita ti conducono e comincia a vedere e ad agire alla luce del vangelo. In famiglia, al lavoro, a scuola, nella crisi, nella malattia… Dove ti dà appuntamento la fede?

Adesso che sono cieco ci vedo di più. È la sfida del vedere oltre, quella che ti porta a riconoscere ragioni altre rispetto a quelle dominanti, quella che restituisce l’uomo ad una reale possibilità di cambiamento, mettendo in gioco anche l’invisibile.

sabato 20 ottobre 2012

Domenica 21 ottobre 2012

Ventinovesima domenica del T. O.
Ricordate? È un pezzo che parliamo di graduatorie umane di primi e ultimi posti, di criteri di grandezza secondo il mondo e secondo Dio. Ne parliamo perché il vangelo ne parla, in continuazione, facendoci capire che questi discorsi proprio non entrano. Gesù, per ben tre volte, ha ricordato ai suoi discepoli che sta andando a Gerusalemme per consegnare la propria vita. Sta cercando di far capire che l’unico modo per salvare la vita è donarla. Se la doni a qualcuno non va perduta.
E per tutta risposta, due discepoli avanzano una richiesta che sembra ignorare tale logica: Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra. La gloria. Ecco le aspettative, altro che donare la vita!
È quello che riconosciamo anche in noi, frequentemente in ascolto del Signore e del suo vangelo e poi presi, nella vita, da altre logiche. Che cosa torna a ricordarci Gesù?

1.    Gesù innanzitutto interroga i suoi discepoli in relazione ai loro desideri: Che cosa volete che io faccia per voi? Che cosa vorresti da Dio? Certo, nei confronti di Dio ci sono numerose e variegate attese che riguardano soprattutto la sfera della salute, della prosperità, dei legami familiari. Sono i motivi per cui più frequentemente preghiamo. A volte però ci sono attese che riguardano il volto pubblico della fede e l’esigenza che Dio intervenga nel contesto di quella che viene oggi identificata come “religione civile”. Un sacerdote, nei giorni scorsi, mi raccontava di essere stato interpellato per la celebrazione di una messa in una caserma, in occasione di una ricorrenza militare. All’inizio ha opposto un po’ di resistenza, ma la pressione era così forte che non ha potuto sottrarsi. Sa, lo prevede il protocollo. Ebbene, durante la celebrazione di fronte a truppe schierate, nessuno rispondeva, solo un paio si sono accostati alla comunione. Mi hanno fatto riflettere in questi giorni le prime battute del sinodo sulla nuova evangelizzazione nelle quali sono risuonate parole di autocritica: «Ci siamo rinchiusi in noi stessi mostriamo un’autosufficienza che impedisce di accostarci come una comunità viva e feconda […] Abbiamo burocratizzato la vita di fede e sacramentale». Burocrazia della fede: a volte vorremmo che Dio fosse un timbro su una carta, una benedizione su scelte discutibili e vorremmo che anche la chiesa corrispondesse all’idea di Dio che abbiamo in mente. Ma forse Dio ha in mente qualcosa in più.

2.    Già, che cosa ha in mente Dio? Gesù lo fa capire: Potete bere il calice che bevo, ricevere il battesimo con il quale sono battezzato? Gesù sta parlando della sua passione ormai prossima. Il calice da bere è quello della volontà del padre, il battesimo corrisponde alla sua immersione nel mistero della morte, solidale con gli uomini. Ecco che cosa vuole fare Dio per noi: vuole strapparci dalla morte e per farlo non ha paura di abbassarsi e di immergersi in tale oscura realtà. Questa condivisione disarma la morte e ne strappa il potere. È questa la gloria di Dio e la gloria cristiana da ricercare. Il calice lo berrete, il battesimo lo riceverete. Anche noi siamo stati raggiunti da tale dono. A volte però viviamo un cristianesimo così esposto sulle periferie del mistero che non ci accorgiamo dell’essenziale e, anziché gioire per la meraviglia che Dio opera nella nostra vita, cerchiamo un religioso di appartenenza o di etica condivisione. Ma, hai capito che sei stato liberato dalla morte? Ma, hai capito che dall’esperienza del male e del peccato ci puoi uscire? Abbiamo un sommo sacerdote che ha attraversato i cieli! Egli sa avere giusta compassione per le nostre debolezze. Accostiamoci con fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia!

3.     Ma il calice e il battesimo di cui Gesù ci rende partecipi non ci dicono solo un evento: ci dicono anche uno stile. Ed è questo che dobbiamo cercare, rompendo con altri modi di fare: Tra voi non è così. Quello che vince è lo stile del servizio. Vuoi essere grande? Mettiti a servizio degli altri. Qui ci sono le vere misure. Sul sito di Repubblica c’è un video che riporta lo scontro tra un prete di Aversa, da anni in lotta contro i veleni dei rifiuti e i veleni delle cosche, e il prefetto di Napoli che lo rimprovera aspramente e a lungo per essersi rivolto al prefetto della sua città, una donna, chiamandola solo “signora” e non “signor prefetto”. Ecco: si possono avere tutti i titoli di questo mondo, garantiti dall’istituzione, e si può essere piccoli. Si può vivere tra il degrado di una periferia, tra il lezzo delle discariche ed essere grandi. Perché si è difeso l’uomo e l’ambiente, perché non ci si lascia intimidire dalla tracotanza di un potere che ha perso se stesso e perché non ci si lascia dominare nemmeno dall’amor proprio ferito. Il figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la sua vita. Sei grande se servi e se no a cosa servi? Gesù ce l’ha ripetuto per ben tre volte: forse la strada da intraprendere è proprio questa e forse la Giornata Missionaria parte proprio da qui.

sabato 13 ottobre 2012

Omelia 14 ottobre 2012

Ventottesima domenica del T.O.

In questi decenni – ha detto il papa giovedì inaugurando l’Anno della fede - è avanzata una «desertificazione» spirituale. Lo si poteva già intuire ai tempi del Concilio, quando il mondo si misurava con pagine tragiche della storia. Ma ora il vuoto si è diffuso e purtroppo lo vediamo ogni giorno intorno a noi.
Ma – continua il papa - è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere.
Che cosa è essenziale per vivere? È la domanda che quel tale di cui ci parla il vangelo di oggi rivolge a Gesù: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». La vita eterna è la vita piena, beata, felice, quella che non conosce la desertificazione. Che cosa dischiude questa vita? Gesù risponde.

1.    La prima direttrice è nella direzione dei comandamenti. Tu li conosci, osserva Gesù. Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre. È qualcosa che appartiene ad ogni uomo, inscritto nella sua storia. E qualcosa che Dio ha rivelato. Ebbene la strada della vita parte da qui. Quante volte l’ha ripetuto il papa: la crisi economica che stiamo vivendo è una crisi morale. È assenza di un codice etico che orienti la nostra vita, è presunzione di non aver bisogno di regole lasciando, di fatto, che altre subentrino: quelle del tornaconto, delle furberie, della sfacciata presunzione di farla sempre franca. Il degrado sulla scena politico-amministrativa di cui la cronaca ci dà conto in questi giorni ne è il segnale inquietante. Dove non alberga più un principio morale alberga il far-west o il monopolio di pochi che, mentre cerca di assicurarsi la vita, la perde e la fa perdere agli altri.

2.    Ma i comandamenti aprono un secondo appello. Quel tale infatti i comandamenti li osservava, fin dalla giovinezza. E allora Gesù lo guarda con affetto e gli rivela la strada ulteriore: Va’, vendi tutto… E vieni! Seguimi! Doppio punto esclamativo. L’accento non è tanto sulla povertà, ma sulla libertà. Vuoi avere vita? Vivi da persona libera e non lasciarti soffocare. Domenica scorsa a Treviso c’è stata la manifestazione promossa dalle commesse per la chiusura domenicale dei negozi. Mi pare un segnale interessante, in rotta di collisione con quella logica che prende il nome di liberalizzazione e che in realtà non libera, ma rende schiavi. Provate a pensare all’audacia e alla carica profetica della chiesa e della sua messa domenicale tenacemente difesa, anche a costo di non essere capita. La messa della domenica è il più grande atto di libertà mediante il quale una volta alla settimana ritroviamo le nostre aspirazioni più vere. Ci ricordiamo che siamo liberi, sottratti a tutti coloro che vorrebbero imprigionarci: prigionieri del centro commerciale, prigionieri della macchina da lavare, delle pulizie da fare, prigionieri dei compiti di scuola… La tua vita è questione di libertà: non lasciarti intrappolare.

3.    E infine quelle ultime considerazioni sulle ricchezze: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». Stai attento perché non è solo questione di comandamenti e di libertà. È questione anche di vigilanza. Perché le ricchezze sono il grande inganno, che ti può confondere mascherandosi di innocenza. A fine settembre due cinquantenni trevigiani dipendenti da slot sono stati arrestati per aver sottratto, il primo, 12 mila ero al padre ottantenne, il secondo 5 mila euro al figlio venticinquenne. La questione del videopoker è tutt’altro che priva di consistenza e ci fa capire come il denaro può confondere i piani della vita: può sovvertire i anche rapporti familiari, rendendoci estranei o nemici. E dove non ci sono macchinette infernali, a volte, ci sono le eredità che creano dissapori, rivendicazioni e ostilità reciproche.
Gesù ha un antidoto. Ecco, dice Pietro, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. E Gesù: Non c’è nessuno che lasci… e che non trovi… Quando lasci qualcosa, non è detto che sia una perdita. Ci può essere invece l’ingresso in una nuova economia che ti fa trovare quello di cui maggiormente hai bisogno: addirittura il centuplo e la vita eterna. È il centuplo di chi vive nell’amore, unica ricchezza che non va perduta e che apre all’eternità di Dio, perché lui è proprio questo: amore. E quanto investi in tale direzione trovi tutto quello che ti sembra di aver perduto. Come dice Salomone:
Pregai e mi fu elargita la prudenza,
implorai e venne in me lo spirito di sapienza.
Insieme a lei sono venuti tutti gli altri beni.
Forse anche noi dobbiamo pregare per trovare la sapienza della vita, per distinguere ciò che passa da ciò che resta e per continuare a investire nella direzione del vangelo.

sabato 29 settembre 2012

Omelia 30 settembre 2012

Ventiseiesima domenica del T.O.

Forse avete sentito.La Samsung, azienda sudcoreana di telefonia mobile, dovrà risarcire la concorrente americana Apple per un miliardo di dollari per aver rubato le tecnologie innovative legate all’iphone e all’ipad, la cui produzione comporta fatturati da capogiro. Un brevetto va tutelato, specie se può portare a casa ricchezza, prestigio, leadership planetaria.
Anche i discepoli di Gesù oggi sono preoccupati dei diritti d’autore del loro maestro. Hanno visto qualcun altro che esercita un’attività taumaturgica imitando Gesù e si premurano di bloccarlo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Se adesso tutti si mettono a fare miracoli, tu puoi chiudere bottega! Il vangelo di oggi ci fa riflettere sui confini della realtà cristiana che si presenta più vasta di quanto immediatamente appare e manifesta una forza evangelica anche se non è sotto l’ombra del campanile.

1.    Gesù ci invita innanzitutto alla fiducia. Non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlar male di me. È più quello che ci unisce agli uomini che quello che ci divide. Chi non è contro di noi è per noi. È interessante il fatto che quando Gesù si rivolge direttamente ai suoi avversari, dice esattamente il contrario: Chi non è con me è contro di me (Mt 12,30). Ma quando deve dare indicazioni ai suoi discepoli su come devono comportarsi con chi sembra un antagonista della causa cristiana, li invita alla pazienza e alla fiducia. Il giudice è lui: tu intanto vedi nell’altro un alleato della sua azione di salvezza. Provate a pensare al mondo laico del volontariato, a Medici senza frontiere, a Emergency: l’elemento confessionale non caratterizza queste organizzazioni. Eppure il miracolo avviene. Il nome di Gesù significa in ebraico: Dio salva. E dove ci si schiera dalla parte della salute, della vita, della lotta all’ingiustizia, quel nome viene proclamato e Dio misteriosamente agisce, anche fuori dei confini del sacro. Anche per un semplice bicchiere d’acqua. Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!

2.    In questo contesto di fiducia, però, Gesù mette in guardia i discepoli. Ma non dagli altri, bensì da se stessi e dagli atteggiamenti scandalosi che possono produrre. Lo skandalon è un sasso insidioso sul quale si inciampa lungo il cammino e anche i credenti lo possono diventare. Su tre fronti: mano, piede, occhio.
-       La mano scandalosa è quella che rimane rattrappita di fronte a chi chiede. Su La Vita del Popolo di questa settimana è riportata la vicenda di un parroco della nostra diocesi che provocatoriamente ha scritto fuori di chiesa: “Non cani, ma opere di bene”, manifestando ai suoi fedeli il disagio di fronte a certe spese di “benessere canino” a fronte di gravi situazioni di disagio presenti sul territorio. “Spesso in tv appaiono la Brambilla o Limiti a perorare la causa dei cani, io mi sono tassato per aiutare tre famigliole che volevano tenersi un figlio e non ne avevano i mezzi”. Ciò che sorprende è la reazione indignata che si è scatenata, non contro l’assurdità di certi comportamenti, ma contro il sacerdote che secondo qualcuno “avrebbe perso un’occasione per tacere”. Forse bisogna far tacere anche Giacomo che, nelle parole ascoltate poco fa, richiama responsabilità che non sono certo dell’assistenza animali: Ora a voi, ricchi: piangete e gridate per le sciagure che cadranno su di voi! Il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si alzerà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco. La mano scandalosa che non si apre.
-       E poi il piede. Dove ci porta quel piede? Sembrano incredibili alcune scene che abbiamo visto questa settimana, con la gente in fila a mezzanotte nei centri commerciali per l’apertura straordinaria e la promozione dell’iphone 5. C’è un’Italia che lotta per il posto di lavoro, che fa la fila per chiederti una spesa e c’è un’Italia in fila di notte per comprarsi un telefono. Ti serve quel telefono? Te lo puoi comprare. Quello che indigna è la modalità dell’operazione che costituisce una sfrontata esibizione e una sfida a chi la crisi non la vede in televisione ma la patisce. Ha fatto il giro del mondo una foto di un mani-festante e di un poliziotto in Portogallo che si abbracciano in un gesto di chi pur su opposti fronti vuole percorrere la stessa strada. Ecco i piedi di cui abbiamo bisogno.
-       E infine gli occhi. Il Presidente della Repubblica ci ha invitati ad aprirli ancora una volta sul carcere. Nei 45mila posti stanno 66mila detenuti, e dunque 21mila in più, in una situazione di grande precarietà. O, come ha detto Napolitano: incivile. Forse i nostri occhi sono malati della persuasione che alla sicurezza non giovi la clemenza e che in tal modo si possa dividere i buoni dai cattivi. Eppure, tra le sette opere di misericordia, la chiesa ha sempre ricordato di visitare i carcerati e non solo per la carità nei loro confronti, ma anche per rieducare lo sguardo di chi pensa di concentrare il male tutto da una parte.
I diritti d'autore che Gesù intende salvaguardare sono quelli dell'amore. Se provengono dagli altri siamo invitati a riconoscerli e ad accoglierli. Se sono i nostri, siamo invitati a custodirne le misure piene, per non essere di skandalon. Ne va della verità di Dio, ma anche della nostra autenticità, perchè di quell'amore siamo fatti e mani, piedi e occhi non possono che vivere di tale divina energia.

sabato 22 settembre 2012

Omelia 23 settembre 2012

Venticinquesima domenica del T. O.

Ogni tanto capita: un allenatore, un cantante, un premier, un critico d’arte, un capo settore, un sindaco: “Io sono il migliore”. È un’estensione dell’io per cui una persona tende a collocare se stessa su un ideale piedistallo di perfezione e a rivendicare una certa grandezza agli occhi del mondo. Proprio come i discepoli di Gesù che lungo la via discutevano su chi fosse il più grande. Un discorso che deve averli animati parecchio, tanto che Gesù se ne accorge e riprende con loro la questione. Di che cosa stavate discutendo lungo la strada? Una domanda che imbarazza i discepoli, messi a nudo nelle loro ambizioni.

1.    È proprio questo l’aspetto su cui iniziamo a riflettere. I cristiani non sono esenti da sogni di grandezza. Per quanto siamo consapevoli di essere i discepoli di colui che ci invita a prendere la croce, la tentazione di servirci della croce anziché di portarla è sempre in agguato. Gesù non rimprovera i discepoli, anzi riapre per loro il cammino con lui. Ma li invita ad essere consapevoli di quel fermento velenoso che talvolta anima l’esistenza, le carriere, i rapporti con i colleghi di lavoro, i confronti tra fratelli, le relazioni nella comunità cristiana. La consolidante persuasione di essere i migliori può avvenire in due modi: o prendendo tutte le occasioni di arrampicata, talora anche spericolata, o bloccando e respingendo l’affermazione degli altri. Nel primo caso siamo insoddisfatti: la vita sta sempre oltre; diventa ansia e rincorsa perché l’io ipertrofico non è mai appagato. Nel secondo siamo sempre sospettosi: l’altro diviene una minaccia e diventiamo distruttivi. Pensate ai giudizi svalutativi e canzonatori che talvolta esprimiamo. Di che cosa stavate discutendo lungo la strada? La nostra strada a volte percorre logiche che tradiscono il vangelo e sono fatte di mondo.

2.    Gesù riprende con pazienza le sue indicazioni: poco prima aveva parlato della necessità di portare la croce, ora ne chiarisce il significato: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». La grandezza cristiana sta verso la fine della classifica perché quando sei sopra in realtà c’è sempre qualcuno che ti limita, che ti taglia la strada, che ti impedisce di diventare grande come vorresti. E se non c’è qualcuno, c’è qualcosa: c’è la tua ambizione, c’è il tuo orgoglio che ti conducono in una sorta di circolo vizioso in cui ti perdi. Vuoi essere grande e invece sei piccolo, a volte molto piccolo! Viceversa, se ti metti all’ultimo posto e indossi il grembiule del servizio, c’è spazio per crescere: primo perché quei posti non hanno molti concorrenti, secondo perché l’energia dell’amore non è quella dell’ambizione e non ti toglie la vita. Pensate ai fatti di questi giorni che per l’ennesima volta ci restituiscono il volto di una politica che mai vorremmo vedere. La disinvolta gestione del denaro pubblico da parte di alcuni politici e amministratori, ci pone di fronte ad una logica clientelare dalla quale non riusciamo ad uscire. Denaro pubblico che consolida la propria posizione e consente di custodire il favore di chi ti sostiene a destra e a sinistra Di fronte a questo scenario avvertiamo l’attualità delle parole di Gesù e il bisogno di una politica che sia a servizio del Paese e non che di esso si serva. Un politico che diventi grande perché ha promosso l’uomo e il bene comune e non i privilegi di una cerchia.

3.    E infine Gesù addita le misure della grandezza, indicando un bambino: Chi accoglie uno solo di questi bambini accoglie me. Se vuoi essere grande, ogni tanto abbraccia un bambino perché ti aiuta a capire tante cose: ti aiuta a capire che la vita, anche nella più grande intraprendenza, rimane sempre dipendenza; ti aiuta a capire che la tua vita cresce se cresce la sua, ti aiuta a capire che non vale solo l’efficienza, ma anche la tenerezza e il sorriso. E ti aiuta a capire che quelle stesse dinamiche che vivi con lui le puoi attivare con tutti i piccoli e i poveri della terra. E allora diventi grande, non perché sei a capo di un impero finanziario ma perché sei diventato uomo secondo le misure di Gesù e un po’ più somigliante a lui. Chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me…