lunedì 18 marzo 2013

Omelia 17 marzo 2013

Quinta domenica di quaresima

Veniamo da una settimana piena di emozione a motivo dell’elezione del nuovo papa.
Quest’uomo venuto dall’altro capo del mondo ci affascina per la semplicità, la pacatezza, la profondità. E perché ci pone di fronte ad una chiesa che sa ancora sorprendere, proprio perché per prima si è lasciata sorprendere. Dalla novità di Dio più che dagli effetti mediatici, dai giochi dello Spirito più che da quelli del potere, dal profumo del vangelo più che da quello dell’incenso.
Dio scrive la sua storia tra le pagine della cronaca umana e a nulla valgono i tentativi di catturarlo, di ridurlo a una vetusta tradizione, di farne un codice di procedura. Dio è novità e la pagina del vangelo di oggi ce lo fa capire con straordinaria chirezza.
Perché anche in questo caso vediamo come le ristrettezze e le miserie umane possano essere riscritte dall’iniziativa di Dio.

1.    La prima scena è quella del giudizio intorno a una donna accusata di tradimento matrimoniale. La posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio». La posero. Come si pone un oggetto. Non interessa né la donna, né l’amante. Neppure il marito. Interessa solo un pretesto per incriminare Gesù. Mosè nella legge ci ha comandato di lapidare donne come questa. Non è facile uscirne, perché la sentenza è già scritta. Non tanto quella sulla donna, ma quella su Gesù che può essere facilmente accusato di sfidare l’ordine costituito o che può essere smontato nel suo messaggio di verità e misericordia.  La ricerca di un pretesto. Pensate a quello che oggi succede sulla scena della responsabilità pubblica, alla ricerca del torbido sulla vita di esponenti della politica, della cultura, della chiesa. Gli episodi scabrosi sono un efficace espediente per stroncare carriere, per colpire l’avversario, per concentrare l’idea del male in un’unica direzione. Non che il male non vada denunciato e perseguito. Ma talvolta non ci interessa la liberazione dal male. Ci interessa distruggere l’altro, pensare che il male appartenga solo a qualcuno o, astuzia ancora più subdola, creare una mentalità per la quale nessuno possa fare discorsi di moralità. Perché oggi regnano trasmissioni scandalistiche come Striscia o Le Iene? Perché ci danno l’illusione di scovare il male, di scoprirne i responsabili, di colpirli, standocene sempre e solo dalla parte di chi emette la sentenza. O per trovare chi predica bene e razzola male e sostenere la convinzione che nessuno possa richiamare gli orizzonti della verità, della bellezza, dell’onestà. Mosè ci ha comandato di lapidare. E noi viviamo con le pietre in mano.

2.    Gesù non si lascia imprigionare e indica un’altra prospettiva. Il suo sguardo è chino verso terra, scrive in quella polvere da cui l’uomo è stato tratto per cercarne la verità, sia quando l’uomo sbaglia, sia quando in maniera arrogante vuole ergersi a giudice dell’altro. Chi è senza peccato, getti per primo la pietra. Parole sufficienti per spegnere l’eccitazione degli animi: Se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Se si parte da sé anziché dall’altro le cose cambiano. La microtelecamera posizionata negli anfratti della nostra esistenza rivela fragilità e debolezze che, più passano gli anni, più lasciano traccia di sé. E allora le pietre cadono dalle mani. Pensate anche alle vicende della chiesa, agli scandali che ci appartengono e con cui in questi anni ci siamo misurati. Forse questa pagina dolorosa ci serve per diventare meno arroganti, più consapevoli della nostra povertà, più umili e più misericordiosi, come papa Francesco ha ricordato ai confessori di S. Maria Maggiore. A volte diventiamo pretenziosi nei confronti degli altri proprio perché abbiamo perso la capacità di guardare a noi stessi e alle nostre miserie. Chi di voi è senza peccato…

3.    Ma la strada della conversione e della novità cristiana non finisce qua. Scribi e farisei che accusano la donna se vanno. Lei resta. Non basta la consapevolezza del proprio peccato, occorre il perdono. Solo questa azione cambia la vita, altrimenti viviamo in una sorta di disincanto rassegnato o arrabbiato. È quello che ci capita quando passiamo dalla considerazione delle colpe altrui alle nostre. Il peccato ci immobilizza. Ed è questa l’astuzia più grande del nostro nemico: farci credere che da qui non se ne esca e che una vita buona non sia possibile. Le parole del papa ai cardinali sono significative: "Non cediamo mai al pessimismo, all'amarezza e allo scoraggiamento che il diavolo ci offre ogni giorno". Il diavolo ingigantisce il male e ci allontana dal ricordo di Dio. E così ci troviamo soli, prigionieri del nostro orgoglio e della nostra tristezza. L’unico che può intervenire è Gesù. È lui l’unico senza peccato che scaglia la pietra. Ma non al peccatore: alla realtà del male e della morte. È la pietra del sepolcro che viene ormai lanciata lontano, per dirci che quello che ci opprime non è più tale, che dal male qualcuno ti salva. E che soprattutto puoi ritornare a vivere in maniera diversa: Va’ e non peccare più. Ecco la sfida cristiana che non fa amnistie, che non dice che il male è bene, ma che crede che con Dio il male possa essere vinto. Noi portiamo questa novità. Ed è per questo che non ci attardiamo a recriminare né a commiserarci, ma a credere che il cambiamento è possibile, con Cristo e lasciandolo agire nel nostro cuore.

domenica 10 marzo 2013

Omelia 10 marzo 2013

Quarta domenica di Quaresima
Chi è Dio? Era questa la domanda che apriva il Catechismo di Pio X. Ma la risposta, per quanto corretta, era insufficiente. Dio non è solo l’essere perfettissimo. È soprattutto il Padre, di cui ci ha parlato il Figlio Gesù e quel Padre, nel vangelo di oggi, ci viene presentato con gli accenti della misericordia, del perdono, dell’amore che non si rassegna a un figlio che se ne è andato di casa.
La parabola si specchia in quello che in queste ore due genitori di Paese stanno vivendo mentre la loro figlia è scomparsa. È la scelta di una maggiorenne, ma non per questo meno dolorosa. “Facci sapere dove sei, facci sapere che stai bene”.
Dio riassume nel suo cuore i sentimenti di tutti i padri e le madri del mondo perché in tale direzione egli vuol essere cercato. Che padre è Dio?
1.     È innanzitutto un padre che, con pazienza, rispetta e custodisce le misure della libertà. Dio non ha creato marionette appese al filo: non è il grande burattinaio. Ha creato uomini liberi e rispetta tale prerogativa anche quando l’uomo decide di andarsene, vittima della suggestione che la casa del padre sia un posto troppo stretto e inabitabile. Pensate allo strano caso chiesa. Pensatela in relazione ad altre esperienze religiose, all’ebraismo, all’islam dove bisogna star bene attenti a quello che si dice. Nel nostro caso tutti possono avere qualcosa da dire, da recriminare. Pensate all’elezione del pontefice. Anche il mondo laico che spesso guarda con sprezzante distacco la Chiesa, ora fa le sue considerazioni. A volte soffermandosi su questioni marginali come quelle del vestito del papa o del comignolo della Sistina, altre volte attardandosi su congetture tra cardinali di destra o di sinistra, come se si trattasse di schieramenti politici. E anche noi, seguendo queste onde d’informazione, coltiviamo spesso la voglia di andarcene e l’impressione che Chiesa sia roba da museo o spartizione di potere. Andandotene non rinnovi la chiesa: la rendi più povera. Per questo Dio, pur rispettando la tua scelta attende il tuo ritorno, la tua partecipazione lieta e responsabile, carica magari di novità, come quella che simpaticamente porta al gruppo dei cardinali l’arcivescovo di Lione che ogni giorno giunge a S. Pietro in bicicletta.
2.     Ma Dio, mentre te ne vai, non resta senza far niente. Scruta l’orizzonte. Ci dice infatti l’evangelista che il padre vede il figlio quand’era ancora lontano. Di che lontananza si tratta? Non è solo quella del viaggio di ritorno. Il pensiero del padre sorge nel cuore del Figlio quando sta pascolando i porci. Allora – nota Gesù – ritornò in sé e disse: Quanti salariati in casa di mio padre… Dio ci raggiunge non solo quando ci dirigiamo verso di lui ma già quando rientriamo in noi stessi, nella verità di ciò che siamo, perché nel cuore di ciascuno Dio ha nascosto la sua presenza. Come diceva Agostino: “Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso”. E in quel sacrario interiore il figlio comprende la verità della sua vita, delle sue scelte, smaschera le illusioni di cui è stato vittima e prende la grande decisione di tornare. Forse facciamo fatica a trovare le strade di casa perché troppo poco troviamo le strade interiori. Però pensate a come ce n’è bisogno. Prova ne sia il fatto che il libro di Alessandro D’Avenia, Bianca come il latte, rossa come il sangue presto sarà un film. Perché un libro sulla morte diventa un bestseller? Forse perché c’è un bisogno d’interiorità più grande di quello che crediamo. Perché noi pubblichiamo interessanti studi sui comportamenti pericolosi dei giovani che si lanciano dal balcone dell’albergo direttamente in piscina o si procurano le vertigini versandosi la wodka sugli occhi, ma siamo cauti nel presentare le prospettive dell’ulteriorità, tanto che dire una preghiera o far vedere che preghiamo ci mette a disagio. Rientra in te stesso.
3.     E infine il Padre ti accoglie nell’abbraccio. Viene in mente il quadro di Rembrandt in cui il padre con gli occhi chiusi stringe a sé il proprio figlio. Non si vede bene che col cuore. È l’ostinata affermazione di un cristianesimo che si dà come vicenda dei peccatori perdonati. Questa è l’esperienza più consolante che il cristianesimo ci consegna. Ognuno di noi ha il proprio paese lontano, ma questo non ostacola il perdono di Dio. Oggi, a motivo degli scandali nella chiesa e nella società, viviamo la stagione della moralità. Ed è giusto che sia così. Ma non fino al punto da generare l’idea di una sorta di “chiesa dei puri”, perché quella è la pretesa del figlio maggiore: io ti servo, tu non mi hai mai dato, io ho diritto. Dio non sa che farsene di questa presunzione: non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. E tutti, dal papa in giù, abbiamo bisogno di misericordia e perdono. E quel perdono ci rialza e ci mette in gioco, anche quando ci sembra impossibile, perché anche se perdi la credibilità del mondo non perdi la cittadinanza nel cuore di Dio.
Ecco la bella notizia cristiana! Tra qualche giorno sentiremo dire nuntio vobis gaudium magum. Ma l’annuncio bello che ci portano Pietro e i suoi successori non è tanto il loro pontificato, ma ciò che la chiesa custodisce come tesoro prezioso: la misericordia di Dio e la possibilità di ricominciare sempre con lui.