martedì 27 settembre 2011

Omelia 25 settembre 2011

Ventiseiesima domenica del T. O.

Siamo ancora nella vigna, come domenica scorsa. Ma l’invito ad andare a lavorare non raggiunge oggi salariati ingaggiati a giornata, bensì due ragazzi: «Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna». La risposta non è estranea a situazioni che talvolta osserviamo anche a casa nostra.
La prima è un rifiuto all’insegna della poca voglia. Un ragazzo ribelle che poi però si pente e va a lavorare nella vigna. La seconda risposta invece è compiacente: «Sì, signore». Ma a tanta deferenza non corrispondono i fatti. Non vi andò. La domanda è: Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?
Gesù sta parlando con i capi dei sacerdoti e anziani del popolo, gente che ostenta un’obbedienza ineccepibile sul piano formale ma non sempre disposta ad operare in maniera conforme a quanto proclama. Viceversa, al seguito di Gesù c’è gente poco raccomandabile che non sembra molto incline a discorsi religiosi, ma che di fatto sembra avere una disponibilità nei confronti di Dio, molto più grande degli osservanti. Ecco la conclusione di Gesù: «Pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio».
Gesù ci mette in guardia di fronte ai rischi di un cristianesimo di facciata e ci invita a ritrovare la volontà di Dio. In che modo?

1.   Un primo aspetto riguarda la relazione con Dio e l’immagine di lui. Il primo ragazzo risponde al padre, dicendo semplicemente: «Non ne ho voglia». Nessuna espressione che faccia intendere un legame con quel padre. Il secondo invece mette innanzi un deferente «Sì, signore». Il padre in questo caso è percepito in termini autoritari. Da un lato il legame viene negato, dall’altro viene alterato. Talvolta non facciamo la volontà di Dio perché al posto di Dio non c’è nessuno o c’è un’idea sbagliata di lui. Il papa in questi giorni è in Germania e in più occasioni ha parlato dei totalitarismi. Qui in Turingia e nell'allora Ddr avete dovuto sopportare una dittatura bruna (nazista) e una rossa (comunista), che per la fede cristiana avevano l'effetto che ha la pioggia acida. La dittatura rossa toglieva Dio e metteva il sistema al suo posto. Sistema che doveva appartenere al popolo e che in realtà ha generato un tiranno dispotico, opprimente e crudele. La dittatura bruna non toglieva Dio ma lo usava: Gott mit uns! La persuasione che Dio fosse alleato di un determinato meccanismo di selezione dove alcuni e non altri erano soggetto di diritto. E anche in questo caso ne è nato un mostro. Oggi inorridiamo per i crimini di un tempo ma forse la “pioggia acida” continua a cadere nella nostra Europa che dimentica, come ha ricordato il papa al parlamento tedesco, che molti dei valori nei quali ci riconosciamo hanno radici cristiane. Dio non è il grande assente né l’antagonista della civiltà. Ma colui che la orienta e la protegge, anche da se stessa. A patto che sia lui e non un altro. Non l’uomo o il sistema che prende il suo posto.

2.   Un secondo aspetto su cui riflettere è la dinamica della li­bertà. Questi due figli mai vengono redarguiti, né, tanto meno, costretti a lavorare contro voglia. C’è una proposta cui variamente si può rispondere: “Figlio, oggi va’ a lavo­are nella vigna”. L’adesione alla volontà di Dio è rispettosa dell’uomo. Ma proprio perché lo rispetta, l’uomo ne esce riconosciuto non solo nella possibilità di dire di no, ma anche in quella di dire di sì. E qui nasce la meraviglia. Se tu pensi che la velocità della luce sia il massimo, quando uno ti parla di andare oltre ti sembra un folle. Ma se ti fidi e acconsenti alla sperimentazione, sulla base di un credito di fiducia, allora scopri che i neutrini vanno più veloci. Dio ci lascia liberi. Possiamo dirgli di no. Ma la sfida vera della libertà non sta nei no che ti mantengono dove sei, ma nei che aprono prospettive. Matrimonio e vo­lontà di Dio. Siete venuti liberamente? Siete disposti ad amarvi… ad accogliere i figli… Ne sono seguiti tre sì, pro­clamati solennemente o con un po’ di emozione. Ma quei sì qualche volta si restringono con la sensazione che il matrimonio sia una gabbia. E allora ecco la ricerca di altro che non corrisponde solo alle performaces scambiste che popolano i giornali locali di questi giorni, ma che diventano chiusura di un pezzo della propria vita all’altro. Il mio tempo, il mio lavoro, i miei hobby, i miei amici. Ma perché non provate a “riprendervi” e a pensare che la libertà non sia fuori della coppia, ma nel credito di fiducia che cia­scuno è disposto a dare e a ricevere? Chi ha fatto la volontà di Dio? Chi ha detto sì? O chi nella vigna c’è andato?

3.   Un ultimo aspetto per ritrovare la volontà di Dio riguarda la possibilità di ritornare sui propri passi. Come il primo figlio. Ma poi, pentitosi, vi andò. Questa possibilità ci fa capire che non è mai troppo tardi. A volte intuiamo che su alcune faccende bisogna cambiare registro ma non ci smuoviamo di un millimetro. Come quelli che dicono: capisco che la messa è importante, ma piuttosto di venire distratto da tante preoccupazioni, meglio non venire. E se venissi e i tuoi pensieri li portassi al Signore? E quando assecondiamo certi sistemi “così-fan-tutti”: spreco del cibo e delle risorse, evasione fiscale, programmi televisivi all’insegna del vuoto. Cos’è più importante: essere coerenti con la propria idea o ritrovare le idee di Dio?
La volontà di Dio non è impossibile. È un gioco di grazia e di libertà e se giochi la tua libertà sulle strade di Dio, la sua grazia non tarda.

domenica 18 settembre 2011

Omelia 18 settembre 2011

Venticinquesima domenica del T. O.
Ricordate l’attrice Claudia Koll? Qualche anno fa ha fatto parlare di sé per la sua conversione. La protagonista di film piuttosto arditi improvvisamente trovava la forza di credere. «Il Signore mi ha attirata in chiesa, mi ha ricreata col sacramento della Riconciliazione. L’eucaristia mi ha ridato le forze. Mi accorgevo che il mio cuore stava cambiando, così ho cominciato a mettere ordine nella mia vita e a modificare i miei comportamenti». Quando capitano fatti di questo genere da un lato rimaniamo ammirati, dall’altro siamo presi da qualche sentimento di rivalsa, tipico di chi viene superato a destra. “Te la sei goduta per tutta la vita ed ora ti converti: troppo comodo!”.
Il vangelo di oggi ci fa riflettere su questo stato d’animo che talvolta nasce anche in noi. Ma non c’è in gioco un semplice sentimento bensì l’immagine di Dio, la comprensione del suo modo di agire, l’idea del cristianesimo. I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Dobbiamo ritrovare i pensieri di Dio. Quali?
1.    Il primo pensiero riguarda la vita cristiana. Il vangelo ne parla come di una vigna che, nel mondo biblico, è una particolare proprietà alla quale si è affettivamente legati. Non è un semplice appezzamento: è un legame di famiglia, un’eredità da cui non ci si può separare e che costituisce oggetto di preoccupazione e di cura, di investimento e di sogno. Se hai una vigna vuoi che sia bella, che porti frutto e produca il vino migliore. Dio mentre chiama gli operai non intende opprimerli, ma coinvolgerli in un progetto meraviglioso cui crede con tutte le sue forze. Gli operai della prima ora non l’hanno capito. Essi hanno registrato una disuguaglianza e del lavoro ricordano solo il peso della giornata e il caldo. A volte anche noi siamo così e ci sfugge la bellezza di quello che stiamo vivendo. Cogliamo l’impegno della vita cristiana e non il dono, la responsabilità e non la creatività che possiamo recare, i comandamenti e non la beatitudine. E allora la testimonianza ci sembra insopportabile, l’impegno in parrocchia esagerato, la coerenza evangelica una restrizione del divertimento. Ma dove sei? In prigione? Se vivi l’esistenza cristiana in questo modo ti sei perso per strada qualcosa, perché il cristiano è condotto non da un codice di procedura, ma dalla Bella notizia.

2.    Il secondo pensiero riguarda Dio e il suo modo di fare. I lavoratori assunti a tutte le ore vengono pagati alla stessa maniera, secondo i compensi più alti. E qui la mentalità sindacale va in crisi perché i primi pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma il padrone presenta ragioni diverse dal contabile. La ragione dell’eccedenza: Voglio dare a quest’ultimo quanto a te. E la ragione della bontà: Sei invidioso perché sono buono? Nella vigna si scopre un Dio che non è quello che abbiamo in mente. Forse il cristianesimo in questo nostro tempo ha proprio la missione di dire: “Dio non è così” perché in circolazioni vi sono alcune immagini divine che, più che corrispondere alla modalità con cui Dio si è rivelato, corrispondono a quello che abbiamo in mente noi. Un Dio indifferente o assente per giustificare il fatto che non fa quello che vogliamo; un Dio non dimostrabile perché non passa attraverso le equazioni della matematica; un Dio fatto di buon senso e che non dice nulla di più di quello che abbiamo in mente noi. Dio ci prende in contropiede e ci dice: “Ma chi hai conosciuto? Io non sono così!”.
Pensate alla tragedia alimentare del Corno d’Africa, dovuta alla carestia e alla guerra. Abbiamo già tanti problemi economici da risolvere: perché impegnarci con quella gente, dato che è quasi impossibile anche solo poterci arrivare? Forse andiamo proprio per dire: Dio non è così, né vuole così. Un Dio che non si rassegna alla fame e ci ricorda la carità, un Dio che non si limita a intervenire con i suoi devoti ma c’è per tutti, un Dio che non si dà pace di fronte all’indifferenza del mondo e ci invita ad essere coscienza critica. I cristiani sono segno di un’economia diversa sul mercato finanziario del mondo, perché il loro Dio è diverso. Chi hai incontrato?
3.    Il terzo pensiero riguarda il rovesciamento delle precedenze correnti: gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi. Se Dio ha questo criterio, perché non impari a praticarlo? Pensate a quello che sta avvenendo in numerose aziende a rischio chiusura: ci sono dei tagli da operare e, pensando che riguardino sempre qualche altro, si pensa a portare a casa la propria pelle. Perché sono più efficiente di altri, perché sono più anziano, perché me lo merito… E se il percorso da fare fosse quello di rinunciare tutti a qualcosa per continuare tutti a prendere qualcosa? Non saremo un po’ più simili al padrone della vigna?

I miei pensieri non sono i vostri pensieri. La vita cristiana è un cambio di mentalità, la possibilità di mettere da parte il pallottoliere del mondo e di praticare una nuova economia. Quella di cui già siamo partecipi e quella che ci è chiesto di trafficare sulla trama delle relazioni e delle scelte.

domenica 11 settembre 2011

Omelia 11 settembre 2011

Ventiquattresima domenica del T. O.

11 settembre è una data che reca con sé la memoria della tragedia di dieci anni fa e non mancano in questi momenti considerazioni su quei fatti che hanno cambiato la storia del mondo. E forse ricorderete anche l’esultanza di molti americani di fronte alla morte di Bin Laden. Sentimenti comprensibili in un popolo che è stato colpito al cuore, nei suoi affetti, nella sua vita pubblica, nelle sue istituzioni. «Giustizia è stata fatta», ha detto il due maggio scorso il presidente degli Stati Uniti, vedendo crescere la sua popolarità. Ma la domanda che qualcun altro si faceva mentre si festeggiava la morte del nemico era proprio se giustizia fosse davvero stata fatta e se il mondo fosse diventato più sicuro. Perdonare Bin Laden suonerebbe quasi paradossale, ma esultare della sua morte è una strada percorribile?
Cambiamo scenario e arriviamo a casa nostra. Non c’è terrorismo e non ci sono le proporzioni della tragedia americana, ma a Sovico, un paesino nel Monzese, una madre ha avuto il coraggio di perdonare un ragazzo sudamericano che con una bottiglia di vetro rotta su un muretto ha sgozzato suo figlio. «Perché sono cristiana, ha commentato la donna, e perché non deve vincere il male».
Due situazioni assai diverse, ma con un’unica problematica: come reagire di fronte al male, fino a che punto può giungere il perdono? Fino a sette volte? A Pietro sembrava già un buon risultato, ben in linea con la tradizione biblica che considera il “sette” numero della pienezza. Ma la risposta di Gesù è disarmante: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette». Come si fa a perdonare così? È realistico?

1.    Perché perdono ci sia è importante che perdono si chieda. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il male commesso domanda consapevolezza poiché esso corrisponde ad una sorta di debito, più o meno grande, che uno contrae. Se non si riconosce il debito esistente si crea uno squilibrio che smentisce non solo i rapporti con gli altri ma anche la propria identità: credo di essere quello che non sono e ritengo di poter agire come se niente fosse, con l’arrogante o furbesca pretesa di cancellare l’ingiustizia di cui sono stato artefice o di attribuirla ad altri. Pensate al caso Battisti, l’ex militante dei proletari armati per il comunismo, che non pago della protezione inusitata che gli accorda il Brasile si permette tutta una serie di considerazioni che non rinnegano il passato da terrorista che ha sulle spalle. Chiede perdono come responsabile politico, per le vittime degli attentati, ma non vuol sentir parlare di pentimento: «Non mi piace, è una ipocrisia, sinonimo di delazione, è legata alla religione». E allora che ce ne facciamo di una richiesta di perdono se non passa attraverso la distanza dal crimine e dall’ideologia che l’ha sostenuto? Non è solo questione di chi ha premuto il grilletto ma della legittimazione di un certo modo di fare che ha insanguinato l’Italia. Ecco il debito, che se non è riconosciuto può trasformare il criminale in un eroe o in un perseguitato e alterare i rapporti, anziché chiarirli.

2.    Un altro aspetto è la considerazione delle proporzioni. Diecimila talenti sono una cifra spropositata. Lo storico greco Polibio narra che Scipione impose ai Cartaginesi sconfitti un pagamento di 10.000 talenti d'argento in 50 rate annuali. Non c’è paragone con il secondo debito: cento denari che corrispondono a cento giornate lavorative di un salariato. Occorrevano 6000 denari per fare un talento. Ecco, qualche volta il perdono è difficile: perché ci sfuggono le misure della faccenda. Il debito degli altri viene ingigantito oltremodo e si decretano misure drastiche dalla sospensione dei rapporti alla ritorsione, covando il desiderio di vendetta. Se un ragazzo tredicenne di genitori divisi, dopo una giornata trascorsa col padre, torna a casa e confida alla madre che “si è divertito e col papà si sta bene”, nel momento in cui la madre risponde: “Si vede proprio che non lo conosci”, da che cosa è ispirata una simile valutazione? Dal desiderio di aprire gli occhi all’incauto preadolescente o da quello di togliersi alcuni sassolini. Ma quei sassolini rischiano di diventare pietre, non solo contro l’ex ma anche contro il figlio. Sicura, sicuro di non aver nulla da farti perdonare? Rancore e ira sono cose orribili e il peccatore le porta dentro. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore?

3.    Resta tuttavia da mettere in conto la grandezza del gesto. Non a caso la parabola mette in relazione il perdono degli uomini con il perdono di Dio. Quando perdoni c’è qualcosa di divino che prende forma. Infatti Gesù non si limita a raccomandare il perdono, ma il perdono dato di cuore al fratello. Prima abbiamo detto che, perché ci sia perdono, occorre chiederlo, ma tu lo chiedi se lo vedi, se esso ti sorprende. Gesù è morto in croce quando non ci veniva neanche in mente di chiedere perdono. Solo perché abbiamo visto il suo gesto a quel gesto abbiamo attinto! E allora il vangelo di oggi è una sfida: attingi al perdono per poter perdonare: prendi coscienza del debito che ti è stato rimesso. E comincia a perdonare perché anche l’altro domandi perdono. Non è la prassi più diffusa, è vero. Ma è l’unica a contrastare l’odio. Come ha insegnato la mamma di Lorenzo ai suoi funerali.

lunedì 5 settembre 2011

Omelia 4 sttembre 2011

Ventitreesima domenica del T. O.

È uno strano paese l’Italia. Da un lato andiamo a caccia delle inadempienze, delle infedeltà o delle iniquità degli altri, facendo dell’intercettazione uno degli sport più praticati e della gogna mediatica uno strumento di controllo. Dall’altra vi è un garantismo ad oltranza per cui non vi sono più colpevoli e tutto è ricondotto a una privacy dove a nessuno è più lecito dire ciò che è bene e ciò che è male. Non è solo un problema sociale. È anche un problema relazionale ed educativo; pensate a casa nostra: a volte siamo spietati nei confronti degli altri e rinfacciamo a non finire le loro colpe, come nel caso del coniuge. Altre volte le trascuriamo come nel caso di un figlio, dicendo: Beh, in fondo sono ragazzi.
Gesù vuole aiutarci ad uscire da questa schizofrenia e lo fa con alcune indicazioni che riguardano la vita con gli altri.

1.    Se il tuo fratello commetterà una colpa. Ci sono due dati importanti in questa proposizione ipotetica. Il fratello e la colpa. L’altro di cui si parla non è un estraneo, ma uno che ci appartiene, uno di famiglia. L’obiettivo che Gesù fa intravedere è quello di rigenerare tale relazione: se ti ascolterà, avrai guadagnato tuo fratello. Avrai guadagnato. Tu. Non lui. Se consideri l’altro un estraneo e ti metti ad accusarlo indiscriminatamente a perderne non sarà solo lui: sarai tu. Sarai più povero di fraternità. Ora, questo fratello può commettere una colpa e una colpa contro di te. Gesù non ci invita a trascurare questa realtà, a chiudere gli occhi su di essa, ma a chiamarla per nome, perché la colpa sferra anche un colpo che destabilizza, che rischia di minare i rapporti. Credi che sia insignificante e invece cova segretamente, ti raffredda, ti rende più vulnerabile o a tua volta più aggressivo. A volte abbiamo la presunzione di dominare il male mentre esso segretamente ci gioca. Bisogna che quella colpa in qualche modo venga elaborata per guadagnare una fraternità nella quale siamo costituiti. Noi e il fratello.

2.    Un secondo avvertimento riguarda la gradualità dell’intervento. Tra te e lui solo. Una due persone. L’assemblea. Vi è la ricerca di un’efficacia che non passa sopra l’accaduto ma neppure trascura il rispetto, la fiducia, la pazienza di fronte ai tempi dell’altro. Uno stile ben diverso dalla logica Wikileaks che non è solo quella di questo sito sconsiderato che pubblica 250 mila cablogrammi diretti da tutto il mondo al Dipartimento di Stato americano, ma è anche la nostra. Perché quando uno sul lavoro agevola un amico può essere un’azione iniqua. Ma se tu, amico di entrambi, vai dal titolare dell’azienda e lo informi di ciò che è stato fatto a sua insaputa, per carità hai difeso la giustizia, ma hai saltato almeno due passaggi. E hai perso due fratelli. Forse, non ti interessava tanto la giustizia, ma farla pagare a qualcuno. Trovare qualcuno in fallo ci fa sentire forti, invincibili. Ma è il grande inganno del male che estende le sue conseguenze anche a te che credi di esserne immune o di esserne fuori. Ti dà l’arrogante sicurezza di chi si sente sopra le parti, mentre finisci per esserne trascinato. Prova a confrontarti con qualcuno prima di combattere il fratello: forse quei passaggi che Gesù indica possono renderti un po’ più obiettivo.

3.    Ci può essere però anche il caso che tutte queste raccomandazioni non portino a nulla e l’altro rimane nelle sue posizioni. Sia per te come il pagano e il pubblicano. Che non vuol dire “cancellalo dalla tua vita”. Vuol dire esattamente il contrario come fanno capire i due detti che seguono: legare e sciogliere e pregare insieme. È esattamente la riproposizione della fraternità creduta “ad oltranza”. Se tuo fratello commette la colpa e in quella colpa si ostina, tu ostinatamente continua a sentirlo legato a te e alla tua vita. Non scioglierlo mai. Custodiscilo nei tuoi affetti, nei tuoi pensieri, nelle tue preoccupazioni. E prega per lui. Fallo anche con altri perché la preghiera divenga il segno di quella fraternità che Dio ha in mente per i suoi figli. E proprio perché agli occhi di Dio questa fraternità è il modo con cui egli pensa agli uomini suoi figli, Dio non può trascurare questa preghiera: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Anzi Dio stesso abita tale esperienza: dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Nei rapporti, spesso tesi tra gli uomini, Dio ci ha posto come sentinelle, perché il male non vinca sulla fraternità e perché in ogni comunione vi sia un riflesso della presenza di Dio.