sabato 10 agosto 2013

Omelia 11 agosto 2013

Diciannovesima domenica del T.O.

Ricordate il ricco di domenica scorsa? Aveva messo i suoi raccolti nei granai, ne aveva costruito di più grandi e non si era reso conto che tutta la sua concitata e ossessiva progettualità gli faceva perdere il contato con i confini dell’esistenza: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». E Gesù aveva concluso dicendo: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». E oggi Gesù riprende l’argomento facendoci capire che significhi arricchire presso Dio.

1.    Vendete ciò che avete e datelo in elemosina. Le prime parole di Gesù indicano la corretta modalità dell’investimento cristiano. Messa giù così la frase non si presta a molte interpretazioni: lìberati della ricchezza accumulata e distribuisci ai poveri. E nella vita di numerosi santi è avvenuto proprio così. Ma se questa fosse l’unica declinazione della vita cristiana non si spiegherebbero le parole che seguono che indicano invece un atteggiamento attento e responsabile di chi mantiene salda l’amministrazione della vita, come il servo fidato. Vendere ciò che si possiede e darlo in elemosina vuol dire non dimenticare che la vita degna di questo nome è quella spesa per l’altro, una vita che assomiglia a quella di Dio. È una questione fisiologica: fatti a immagine e somiglianza di Dio noi diventiamo ciò che siamo unicamente nell’amore. Ecco perché l’elemosina è importante: ci consegna qualcuno da amare. Qualunque sia il tuo lavoro, la tua vocazione, l’interesse che muove la tua vita, fa’ in modo che ci sia qualcuno cui legare il cuore, che ti ricordi questa verità. Che non ti capiti di essere attaccato alle cose più di quanto tu non sia attaccato agli uomini, perché a quel punto hai perso te stesso.

2.    Altra raccomandazione di Gesù è quella della vigilanza. Se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro non si lascerebbe scassinare la casa. Non è Dio il ladro: non si sta parlando di una minaccia da parte sua. Sono le cose con le loro illusioni, con le loro vacue promesse di felicità. Rispetto a queste intrusioni devi fare attenzione, perché entrano in maniera garbata, apparentemente innocua, addirittura travestite di opportunità. Ma una volta entrate esercitano una tirannia di cui è difficilissimo liberarsi: la dipendenza continua (non me ne posso separare), l’aggiornamento all’ultimo modello (che non mi manchino delle opportunità), la propagazione per emulazione e desiderio di equiparazione (se ce l’ha lui…). E sei talmente preso in ostaggio che perdi di vista le attese più grandi della vita. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.

3.    Ultimo aspetto è la responsabilità: Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente? Gesù ci fa capire che c’è anche uno spazio di azione, di invenzione, di libertà. È come un padrone che se ne è andato per le nozze. Dio non sta col fiato sul collo a controllare dei dipendenti. È una logica di fiducia quella che lo muove e lascia ai suoi figli la possibilità di intervenire con senso di responsabilità. Ecco perché l’interpretazione letterale del vendere tutto non è l’unica strada cristiana. Perché al Padre è piaciuto darci il suo Regno e dunque spazi di sperimentazione, di autonomia, di creatività, senza che questo divenga arbitraria gestione. Dio cerca l’amministratore fidato e prudente. Fidato in greco corrisponde a pistós come pistis è la fede. Fede - dice l’autore della lettera agli Ebrei - è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Prudente invece corrisponde al greco phrónimos, termine che troviamo nei vangeli in riferimento all’uomo saggio che ha costruito la casa sulla roccia. Ecco l’amministratore che Dio cerca: un uomo che sappia vedere oltre e un uomo che cerchi la stabilità delle cose. Quando operi così realizzi la città dalle salde fondamenta il cui architetto è Dio stesso. E questa città non crolla. Pensate a una responsabilità politica o amministrativa così: vuol dire che devi guardare sempre un po’ più in là del tuo naso e devi chiederti se quello che stai costruendo è roccia o prefabbricato.

Ecco dunque lo sguardo di Dio. Siamo partiti dalla ricchezza, dai suoi pericoli, ma vediamo che Dio ha in mente qualcosa in più del portafoglio o del conto in banca della gente. Ha in mente una città che sia anticipo della sua in cui ogni uomo, secondo le responsabilità che gli sono affidate, se ne senta artefice e se ne senta partecipe. Questo tesoro non si consuma e non c’è un ladro che lo rubi.

domenica 4 agosto 2013

Omelia 4 agosto 2013

Diciottesima domenica del T. O.

Un'eredità, un funerale e una coltellata davanti alla salma di un'anziana vedova appena morta. E un'intera famiglia divisa tra ospedale e caserma dei carabinieri. Il fatto è avvenuto a Tivoli, vicino a Roma a fine giugno, per una questione di eredità. Una delle vicende che mina alle radici i rapporti fraterni e familiari è quella della successione. Problemi di oggi e problemi di sempre, dato che anche Gesù viene interpellato per una situazione analoga. Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità. Secondo la normativa vigente al fratello maggiore spettava la parte prevalente del patrimonio per custodire il nome della famiglia. Qui molto probabilmente c’è un fratello minore che vuole affermare i suoi diritti. E il tono perentorio di questo giovane non lascia intendere alcuna possibilità di deroga. Di’ a  mio fratello che divida. È riconosciuta la fraternità ma limitatamente ai vincoli di legge, alle divisioni. È quello con cui anche oggi ci misuriamo: genitori che vorrebbero che le cose andassero in un certo modo, che fosse custodito un certo senso familiare, che fossero garantiti figli più deboli e invece si assiste alla rivendicazione meticolosa e feroce del diritto individuale. Gesù reagisce a questo modo di fare: Chi mi ha costituito giudice e mediatore? Gesù non si presta come facevano i rabbini del tempo a dirimere la questione da un punto di vista giuridico ma porta i suoi interlocutori ad una comprensione più ampia. Perché? Perché non è detto che la giustizia sia sempre la cosa più giusta, né che una possibile sentenza risolva le tensioni. Anzi, sappiamo bene che quando le cause di successione giungono in tribunale non ci si parla e ci si odia per il resto della vita. Si voleva dividere il patrimonio e si è divisa la famiglia.
Gesù va alla causa di questa situazione mettendo in evidenza il problema di fondo, l’inganno della ricchezza: anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede. Tenetevi lontani da ogni cupidigia. E la parabola chiarisce il senso di quanto sta dicendo.

1.    Il racconto ci presenta anzitutto un uomo ricco cui gli affari vanno bene. A ricchezza si aggiunge ricchezza. Buona cosa la prosperità economica. Ma ecco il primo inganno: egli ragionava tra sé. Tra sé. La ricchezza ti chiude agli altri, ai loro appelli, ai loro consigli, al loro affetto e rimani prigioniero di te stesso. Ragioni solo in prima persona singolare. Farò, demolirò, costruirò, raccoglierò, dirò… E gli altri dove sono? A volte un impero finanziario può trasformarsi in un impero di solitudine. A volte perché chi ti cerca non cerca te, ma i tuoi soldi. A volte perche tu hai questa impressione: smetti di cercare, di voler bene, di lasciarti raggiungere e interpellare complice il sospetto che l’altro agisca sempre per interesse e sia una minaccia da controllare e da allontanare. Ritrova la ricchezza dell’altro, unica possibilità perché anche la vera ricchezza della vita sia rivelata.

2.    Secondo inganno è l’articolazione della riflessione al futuro. Non solo per le cose da fare, ma anche per le gioie che ne potrebbero derivare: Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Chissà se arriverà mai questo “poi” in mezzo a tanta frenesia imprenditoriale! Per questo Dante raffigura gli avari con un masso da spingere in una perenne salita! Perché, anche ammesso che quel “poi” si potesse realizzare tra festini e godimenti, esso non riesce mai a colmare le prospettive assolute della vita: “molti beni” ma non il “bene”, per “molti anni” ma non l’eterno. Ecco l’inganno sul futuro: non ne hai calcolato la misura ulteriore e non ti sei reso conto che i giorni sono appesi a un filo: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». Vanità delle vanità dice Qoelet. Quella parola [hebel] in ebraico indica la nebbiolina del mattino velocemente dissolta dal sole. Attenzione a non affidare al vuoto la tua vita, a scambiare vacue promesse con la felicità che cerchi. Quello che hai preparato di chi sarà? E tu di chi sarai?

3.    Gesù conclude la parabola dicendo: Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». Il terzo inganno è nella mancata diversificazione degli investimenti. Hai investito unicamente sui mercati terreni, ti sei dimenticato della borsa del regno dei cieli! Il ricco era impegnato a costruire granai e ha dimenticato di costruire la dimora eterna, quella che solo l’amore può edificare, perché è l’unica realtà che supera la barriera della morte. Il fallimento di quest’uomo non è avvenuto per le sue ricchezze, ma perché esse hanno preso il posto degli altri e l’amore si è trasformato in bramosia. 
Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità.
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. La nostra vita è tra terra e cielo e solo se non perdiamo di vista l’orizzonte ultimo l’esistenza sta in piedi. Anzi essa diventa un’esistenza di cielo e l’eredità non una lite tra fratelli, ma la condivisione di un comune destino.

sabato 3 agosto 2013

Omelia 21 luglio 2013

Sedicesima domenica del T. O.

Ogni esperienza religiosa, mediante i luoghi cari alle sue origini, trova la comprensione della propria identità. La Mecca, città natale di Maometto, il luogo del grande pellegrinaggio di ogni musulmano dice un’esperienza di esclusività: non puoi accedere ad Allah se non professando l’Islam. Varanasi, città sacra indù, è invece l’unico posto della terra in cui gli dei permettono agli uomini di sfuggire al all'eterno ciclo di morte e rinascita e sulle rive del Gange che attraversa la città i riti mattutini di abluzione sanciscono questo privilegio.
Immaginate i cristiani che hanno iniziato a raccontare la vicenda della loro fede a partire dai luoghi frequentati da Gesù. Nessuna sacralità, nessuna esclusività, ma un Dio ospite e pellegrino che percorreva le strade degli uomini e che viveva della loro amicizia, come a Betania, in casa di Lazzaro, Marta e Maria. “Per incontrarmi – dice Dio - non ti serve un fiume, né un viaggio faticoso: mi basta che mi apri le porte della tua casa e mi dedichi un po’ del tuo tempo per stare con me”.
Ecco, il punto è proprio questo: stare con il Signore. Questo verbo ci inquieta, tanto da sostituirlo con altri più rassicuranti, anche se più onerosi: fare, servire, professare, tributare, produrre. È la sindrome di Marta, tutta presa dai molti servizi, esatto contrario di sua sorella che, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Come ospitare dunque Gesù a casa nostra? Quando Betania comincia a rinnovare il nostro rapporto con Dio? 

1.    Betania è anzitutto il superamento dei preconcetti. Che una donna potesse mettersi in ascolto di un rabbi di Israele era, al tempo di Gesù, un atteggiamento inconcepibile e sconveniente. Meglio bruciare la Bibbia che metterla in mano a una donna, dicevano i rabbini del tempo. E invece l’evangelista, oltre a non dirci nulla della presenza di Lazzaro, precisa che una donna di nome Marta lo ospita in casa e sua sorella di nome Maria è seduta in ascolto ai piedi del maestro, proprio come avveniva nelle scuole rabbiniche riservate unicamente ai maschi. A volte anche noi leghiamo la presenza e la rivelazione di Dio ad alcune circostanze o persone ritenute idonee ad accoglierne la manifestazione. Invece Dio scavalca questi preconcetti e chiede di essere ospitato nel quotidiano come amicizia che accompagna e condivide la vita, come presenza che sorprende, com’è capitato ad Abramo nell’ora più calda del giorno, quando sembra impossibile che qualcuno si prenda la briga di visitare qualcun altro. Pensate a quando non vogliamo andare a messa perché siamo stanchi o infastiditi e ci pare di andare per niente. Per Dio non è mai “per niente”. È “per te” e per esserti accanto anche quando ti sembra impossibile: a che servono altrimenti gli amici?

2.    Ma incontrare Gesù non vuol dire solo aprirgli la porta. Vuol dire anche stare con lui, perché c’è sempre in agguato il rischio di essere presi dal turbinio delle cose da fare. È il rischio di Marta. Mentre Maria è seduta ai piedi di Gesù nell’atteggiamento della disponibilità e dell’ascolto, Marta è presa dai molti servizi. Notate che il termine è diakonia, parola importante nella chiesa, da cui derivano una serie di responsabilità. Ma ci può essere un servizio che perde il suo orientamento e diventa un girare a vuoto. Facciamo tante cose per Dio ma abbiamo smesso di ascoltarlo. Non solo nella chiesa e nella pastorale delle nostre parrocchie, ma anche nella diakonia familiare. Quante cose ad esempio si fanno per i figli, ma a un figlio che ci vede dribblare il nostro quotidiano e a un figlio che presto ci imiterà e ci supererà in tale follia, stiamo facendo un servizio? Se far nascere non è solo dare alla luce, ma dare una luce, quale luce stiamo consegnando a un ragazzo che cresce? Marta, Marta tu ti affanni e ti agiti per molte cose. Di una sola c’è bisogno. Mettiti in ascolto di Dio, lascia che metta un po’ di ordine nella tua agitazione.

3.    Ma come trovare ordine? Dall’ascolto bisogna passare ad una seconda operazione: scegliere la parte buona, come Maria. Non basta ascoltare, bisogna decidersi, porre dei segni in controtendenza che dicano la novità che Dio ha portato alla tua vita. Se Gesù non ci scomoda dalle nostre posizioni, che ce ne facciamo di tale amicizia? Grandi polemiche in questi giorni perché la Rai non trasmetterà Miss Italia e soprattutto per le parole della Boldrini che se ne compiace. A parte che la logica di Miss Italia è ormai ben più che il noto concorso, ma con tutto ciò che sta succedendo nel mondo, qual è la parte buona che vogliamo ricercare e indicare? Tre misure anatomiche o la certezza di essere grandi per la coscienza di essere vere? Maria ha scelto la parte buona e per questo non le viene tolta. Non tutto rimane e se non ti leghi a ciò che è solido, rischi di passare velocemente anche tu e di esserne travolto. Marta e Maria sono compagne di viaggio. Ci dicono di non rinunciare alla vita, ma anche di non dimenticare di caricarla di senso e di aprirla all’assoluto di un Dio amico degli uomini.