giovedì 24 ottobre 2019

Omelia esequie Evaristo Fogale


Funerale Evaristo Fogale (23 ott. 2019)

(2Cor 4,14-5,1 / Mt 11,25-30)


«Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli». Anche Evaristo apparteneva ai piccoli del vangelo e anche a lui Dio ha rivelato i misteri del regno dei cieli. Misteri che questo anziano ha accolto e custodito con tenacia e semplicità in novantanove anni di vita e di fede, nei quali mai il credente ha abbandonato l’uomo. Noi separiamo, ci ricordiamo di essere cristiani quando veniamo in chiesa, quando marchiamo le distanze da altre religioni. E ci dimentichiamo che l’incarnazione segna il nostro quotidiano.  Evaristo invece era un uomo unificato, riempito di Dio dalla testa ai piedi, per niente disposto a rinunciare a tale tesoro e in grado di suggerire una sapienza che non si trova sui mercati del mondo. Che cosa ha capito Evaristo di Dio, quali misteri gli sono stati affidati? 
Venerdì, quando il quadro clinico iniziava a presentare più di qualche criticità, sono stato a trovarlo. Credo uno degli incontri più belli che questo paese mi ha regalato. Inizialmente guardava me e suo figlio Giuliano, un po’ disorientato, come se volesse dire: Ma chi zeo sto qua? Quando ha realizzato chi ero, ha alzato la testa dal letto, ha fatto un sorriso larghissimo e con l’energia che ancora possedeva mi ha stratto a sé e mi ha dato tre baci. E allora è partito con le frasi che gli erano familiari. Frasi ricche di vangelo, teologicamente aggiornate pur con qualche termine che non usiamo più. Frasi che anche Evaristo deve aver udito, forse da suo padre, anch’egli uomo di fede o forse da mons. Pasini o da qualche altro uomo di Dio.

Vi dico queste frasi perché in esse ci sono i misteri del regno dei cieli, quelli che Evaristo ha incontrato e quelli che oggi ci consegna.

1.    La prima frase. Dio non è lontano da noi. È nel cuore di ognuno di noi. E Evaristo tirava via la coperta e si metteva la mano sul petto, come se in quel noi volesse far capire che c’era anche lui e che Dio lui lo custodiva nel cuore. Quante ne ha passate Evaristo in novantanove anni di vita? La povertà, la guerra, i tentativi di riscatto e di risalita, l’orgoglio di costruire una casa, di farsi una famiglia. Ma in queste vicende c’era sempre un Dio che lo accompagnava. Tanto che lui poi aggiungeva con una certa enfasi: El Signor o ga dito: io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumasione dei secoli. Che bella questa persuasione: guarda, sembra dirci Evaristo, che c’è più di quello che si vede, guarda che il mondo è abitato dal mistero, guarda che Dio segretamente ti accompagna e ha cura della tua vita. Dov’è Dio? Il catechismo su cui ha studiato Evaristo diceva: in cielo, in terra e in ogni luogo. Evaristo recuperava il dato evangelico più genuino: Dio con noi. Un mistero di vicinanza e di comunione. E' più vicino di quel che credi e di quel che non credi. 

2.    Ma accogliere Dio vuol dire anche entrare nei suoi progetti. Ed ecco la seconda frase di Evaristo, quella che ripeteva di continuo. Non la mia ma la tua volontà! Non è sempre facile fare la volontà di Dio, specie quando il vangelo indica prospettive che ci sembrano poco aggiornate o addirittura perdenti. E allora c’è sempre il rischio di fare la propria volontà e di riscrivere il vangelo secondo me. Pensate a quando gli altri ci interpellano: la volontà di Gesù è che ci amiamo gli uni gli altri, che ci perdoniamo, che ci diamo una mano. Evaristo che teneva così tanto alla sua famiglia, cercava di mantenere la cordialità anche con il resto del mondo: senza cedere all’intolleranza, senza mai cacciare nessuno di chi gli suonava alla porta, senza innescare micce né offendere e dosando attentamente le parole, piuttosto subiva. E quando qualcuno gli suggeriva altre logiche più sbrigative o logiche poco cristiane, lui portava tre dita raccolte alla fronte, picchiettava e diceva: Cucchetti, no capì che cussì non se va da nessuna parte? Ecco la volontà di Dio: seguire non i pensieri alla moda, ma il vangelo, le strade della pazienza, del perdono, della solidarietà.

3.    E infine le ultime parole di Evaristo, quelle che hanno accompagnato l’unzione degli infermi. Avevo un po’ di timore nel dirgli che gli davo l’olio santo, ma quando l’ha saputo, ha fatto un altro dei suoi sorrisi, ha tirato fuori la mano destra da sotto le coperte, l’ha passata più volte sulla fronte unta con l’olio e poi, con calma, si è fatto il segno della croce. Con la sua giaculatoria preferita: Tu sai tutto, tu sei tutto. Come se volesse dire: Signore, tu conosci chi sono, la mia povertà, la mia debolezza. Ma anche: Tu sei tutto: tutta la misericordia che cerco, l’eterno che aspetto. L'eterno era una parola famigliare per Evaristo: Dio è eterno, diceva, ma anche noi abbiamo la vita eterna: chi crede ha la vita eterna! Noi così segnati dal tempo siamo fatti di eterno! E di lì a due giorni l’Eterno sarebbe venuto a prenderselo, domenica sera, mentre Evaristo alzava gli occhi e le mani come se quell'eterno l'avesse voluto salutare ed accogliere.

Fratelli, siamo convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Evaristo sapeva che andava accanto al Signore. A quell’abbraccio lo consegniamo e in quell’abbraccio preghi ancora per noi.

Omelia 20 ottobre 2019


Ventinovesima domenica del T. O.

Jean Marie Ploux è un prete francese che scrive delle cose interessanti. In un libretto che si intitola Dio non è quel che credi, immagina che Dio se ne stia in una piccola chiesa inginocchiato a pregare. Un fedele è incuriosito e si avvicina. Dice tra se: "Chi starà pregando? Non può pregare se stesso!". Ad un certo punto intende bene: Dio sta pregando l’uomo. E metteva in dubbio l’uomo come l’uomo mette in dubbio Dio. Nella sua preghiera Dio infatti diceva: “O uomo! Se tu esisti, dammi un segno!”. Allora il fedele esclama:“Dio mio, sono qui!”. E Dio risponde: “Miracolo! Un’apparizione umana!

Oggi il vangelo ci parla di preghiera, ma forse ha ragione J. M. Ploux. La preghiera non è tanto la questione dell’assenza di Dio, quanto dell’assenza dell’uomo. Ci pare che Dio non esista, che Dio non risponda, ma l’uomo ha cessato di sostare presso Dio, di interpellarlo, di farne l’interlocutore della sua ricerca. Un uomo che dica. «Dio mio sono qui». E un Dio che si stupisca: «Miracolo! Un’apparizione umana».

Cosa vuol dire pregare? Gesù ci invita a farlo sempre, senza stancarci. Ma questo domanda qualche cambiamento di prospettiva che la parabola ascoltata ci suggerisce.

1.    Anzitutto una vedova che chiede giustizia. La vedova appartiene ad una categoria sociale debole, di gente scartata. Anche se la legislazione ne prescriveva la protezione, i soprusi erano all’ordine del giorno, tanto che Gesù, in un’altra occasione, parla di scribi che divorano le case delle vedove. Ma qui c’è una vedova che non solo non si rassegna al sopruso che sta subendo, ma neppure al fatto che chi è preposto alla giustizia tardi ad intervenire. Ecco il primo atteggiamento della preghiera. Esserci ed esserci nelle cose che contano, quelle che mettono in gioco i progetti di Dio, quelle che gli uomini fanno fatica a vedere o non vogliono vedere. Tutte le preghiere hanno diritto di cittadinanza di fronte a Dio, ma ogni tanto prova a verificare anche ciò per cui preghi: forse non tutto è importante allo stesso modo. Quando i giornali ti riservano la notizia di una mamma trovata abbracciata al suo bambino in fondo al mare, dopo l’ennesimo naufragio al largo di Lampedusa, ci si può anche chiedere non solo dove sia finita la solidarietà, ma anche la compassione, la pietà. La preghiera per riguadagnare la giustizia, per recuperare l’odine di Dio, per non sostituire ai suoi disegni i nostri opportunismi mascherati di legalità. Rimani saldo in quello che hai imparato.

2.    Altro aspetto importante della preghiera è l’insistenza. Andava da lui e gli diceva… Verbi all’imperfetto che dicono un’azione prolungata e tenace, di chi rimane in contatto, di chi come Mosè alza mani al cielo. La preghiera è una questione di resistenza e di lotta. Non perché Dio sia distratto o indifferente ai drammi umani, ma perché ha bisogno di te, ha bisogno di alleanze umane, di braccia che sostengano altre braccia, come quelle di Aronne e Cur. C’è una bella testimonianza di Giacomo Poretti sulla preghiera: Qualche tempo fa una mia cara amica, mia e di mia moglie, si è ammalata gravemente e nel volgere di qualche mese le sue condizioni erano tali che da lì a poco avrebbe lasciato noi e la sua famiglia. Mi sono ricordato delle zie e del nonno e mi sono messo a pregare; dopo poco ho inteso che sarebbe stato inutile pregarlo di restituirle la vita e allora ho espresso una preghiera strana, forse nemmeno così impegnativa per Lui: lo pregai di togliere la paura a quella nostra amica, di toglierle l’angoscia di sentirsi sola e abbandonata in quel momento terribile: «Signore, ti prego, toglile la paura; donale, se possibile, serenità, ti prego… ».  E forse ho compreso. Ho compreso che quel miracolo che chiedevo a Lui non solo era possibile, ma era già realizzato: Il Signore guardava noi amici, il marito, i figli, guardava me e diceva: «Solo se non scapperete lei non avrà paura, solo se rimarrete lì lei non si sentirà sola ...». Ecco la resistenza: fatta non solo delle parole, ma dei gesti che diventano preghiera. Gesù non vuole spettatori di miracoli, ma alleati di vita, di speranza e d’amore. Noi preghiamo, ma forse ancora di più lui prega: e forse prega così: «Speriamo che smettano di delegarmi, speriamo che capiscano la forza che ho dato loro». Forza di mani che si sollevano in nome di Dio.

3.    Resta il fatto che qualche volta Gesù sembra lontano da ogni ragionevole risposta alle nostre domande. Vi dico che farà giustizia prontamente. Ecco, è quell’avverbio che non ci convince. Non ci siamo con le tempistiche. In realtà il testo greco dice ἐν τάχει in velocità. E la velocità di Dio non è la nostra. Nella velocità di Dio c'è lo spazio in cui lui ci attende, in cui ci chiede di diventare credenti. Forse è per questo che Gesù conclude la sua riflessione dicendo: Il Figlio dell’uomo, quando ritornerà, troverà ancora fede sulla terra? La preghiera ha bisogno di fede. E la fede ti mette in una zona di attesa dove puoi decidere che cosa far crescere: il dubbio o la sorpresa. Chi prega crede alle sorprese e ci crede talmente tanto da far posto a un di più che può ridisegnare la vita. Addirittura una vita oltre questa vita. La preghiera è la palestra della fede che ti affaccia su un orizzonte diverso da quello che immediatamente vorresti vedere. Ma non per questo la preghiera non è esaudita. Viaggia con la velocità di Dio perché impariamo a vedere i suoi disegni e a crescere secondo i suoi disegni, anche con qualche incomprensione. Come scriveva Hans Viscardi, disabile americano, in una famosa riflessione collocata nel centro di riabilitazione di New York.

Ho chiesto a Dio la forza,
ed egli mi ha dato difficoltà per rendermi forte.
Gli ho chiesto la saggezza
e Dio mi ha dato problemi da risolvere. […]
Gli ho chiesto favori
e Dio mi ha dato opportunità.
Non ho ricevuto nulla
di ciò che volevo ma tutto quello di cui avevo bisogno.
La mia preghiera è stata ascoltata.



Fede che prega, preghiera che crede.