lunedì 31 ottobre 2016

Omelia 29 ottobre 2016


Trentunesima domenica del T. O.



Vedere senza farsi vedere. Osservare stando al riparo. È la grande pretesa di questo nostro tempo, riscontrabile soprattutto nel mondo dei social, quando vai visitare la pagina di qualcuno per vedere chi è, chi sono i suoi amici, quali sono i suoi gusti e le sue frequentazioni. Ma senza comprometterti. Perché altrimenti anche l’altro potrebbe osservarti, avere qualcosa da dirti, pretendere qualcosa. E non ci va di lasciarci scomodare.

Ebbene, oggi c’è qualcuno che sta scrutando Gesù nascosto tra i rami di un sicomoro, pianta alta e frondosa che consentiva di esaminare la scena in maniera protetta. Ma Gesù individua il suo osservatore e lo invita a un altro tipo di incontro. Zaccheo, il pubblicano, trova da quel momento un’altra collocazione che lo condurrà a giocarsi di fronte agli altri e a non nascondersi più. Zaccheo cerca il Signore, il Signore incontra Zaccheo, Zaccheo trova se stesso e il Signore. Mentre cerchi Gesù, Gesù ti restituisce a quello che sei. Un cammino di autenticità e di liberazione che può avvenire anche oggi.



1.     Perché si nasconde Zaccheo? Perché è piccolo di statura. Non si tratta di centimetri, ma di statura interiore. Zaccheo è rimpicciolito dal suo peccato, dai soldi che indebitamente finiscono nelle sue tasche di pubblico esattore. Ma Zaccheo è rimpicciolito anche dal suo modo di vivere la vita, adeguandosi al modello che la gente gli attribuisce. Sono un peccatore? Pazienza, almeno ho i soldi! E mi diverto. E tuttavia Zaccheo non doveva star proprio bene se sente il desiderio di andare da Gesù. Ma ha paura: dei giudizi della gente ma anche di uscire da quella impostazione di vita che al di là di tutto ha i suoi vantaggi. Meglio stare al riparo. Un circuito vizioso dove gli altri ti hanno messo in un posto e in quel posto ti convinci di star bene, anche se non è così. Gesù lo snida: Zaccheo, scendi subito. Ecco, la vita autentica inizia quando scendi dalle collocazioni in cui ti sei arroccato e da quelle in cui ti mettono gli altri. A volte quello che rende difficile la fede è una tara che ci portiamo addosso. Sei stato il comunista di vecchia scuola fiero del suo assetto anticlericale che anche oggi perseveri in quelle posizioni di cui non sei più convinto neanche tu! Frequenti una compagnia di gente che banalizza l’esperienza credente e ti abbeveri alla loro fonte senza renderti conto che ti stanno inaridendo. Scrivi sul muro, com’è capitato in questi giorni a Andria, “Odio la Chiesa” e, ironia della sorte, quella scritta è sul muro della Casa della carità in cui proprio la chiesa accoglie profughi e poveri. Scendi dall’albero. Perché se ci pensi bene là sopra non vedi bene come vorresti. E non sei quello che vorresti.



2.    Altro passaggio che consente di ritrovare se stessi è smettere di andare a curiosare nelle vite degli altri e abitare la propria. Quand’è che nasce il nuovo Zaccheo? Quando rientra in casa con Gesù. Gesù vuole fare questo con te: portarti a casa, perché qualche volta noi viviamo all’esterno di quella abitazione mentre dentro non c’è nessuno. E chi ci incontra trova il vuoto. I nostri ragazzi e soprattutto le ragazze che seguono su Real time Take me out in cui un uomo deve rendersi interessante agli occhi di trenta donne che lo accendono o lo spengono a seconda delle performances di cui il malcapitato è capace, cosa osservano? L’interno o l’esterno della casa? Che cosa ti rende interessante agli occhi degli altri? Qual è il tuo cuore, la tua verità? Pensate ad Halloween e ai suoi rituali. Che cos’è? Una casa con le ragnatele e gli spettri, abitata da fantasmi. Una casa che dichiara il proprio vuoto di fronte a una questione nodale come quella della morte. Ma nella tua casa non c’è più traccia della speranza? Solo le zucche vuote. Oggi devo fermarmi a casa tua. Sta attento a non vivere disabitato.



3.    Infine tu trovi te stesso, quando trovi gli altri in maniera nuova, solidale e fraterna. Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto. Chi rubava, secondo la legge, doveva restituire ciò che aveva sottratto, aggiungendo un quarto in più del valore complessivo. Zaccheo non traffica con le bilance della giustizia umana. Ha scoperto un’altra misura. Tu ritrovi te stesso se fai dell’amore la tua misura. Tua madre è in ospedale e ti ostini a non rispondere alle sue chiamate perché non merita il tuo amore. Ma la vita che hai addosso da chi proviene? Hai un impero grazie a un’attività imprenditoriale. Tutto perfettamente in ordine dal punto di vista legale. Ma c’è un gesto di solidarietà e di altruismo che puoi fare per dire che non tutto è contabilizzato nella partita doppia? O c’è solo avidità? Te la prendi con gli immigrati e fai le barricate contro otto donne e undici bambini, ma in Africa l’Europa ha qualcosa da restituire? Quante volte?

Zaccheo ha trovato Gesù e Gesù ha incontrato Zaccheo. Ma soprattutto Zaccheo ha incontrato Zaccheo, in maniera nuova e finalmente umana. Prova a fare lo stesso percorso con il Signore: scendi dall’albero, entra in casa e apri quella casa perché chi ti incontra possa dire che oggi davvero la salvezza vi è entrata.


domenica 16 ottobre 2016

Omelia 16 otttobre 2016


Ventinovesima domenica del T. O.



Un giocatore del Napoli dopo una partita a Cesena che non era finita molto bene per la squadra partenopea ha detto: «Su questo campo ci si stanca di più». Non so quali conformazioni rendano un terreno di gioco meno faticoso di un altro, ma anche nella vita di fede c’è un campo che ci stanca: quello della preghiera. Iniziamo a pregare ma poi ci perdiamo, la testa va altrove, ci sembra che ci siano delle cose più importanti e che Dio gradisca più le nostre azioni che le nostre riflessioni. E così abbandoniamo la preghiera e consegniamo la nostra vita alla superficialità o ad altre occupazioni. Gesù, invece, oggi afferma chiaramente la necessità di pregare sempre senza stancarsi. Che cosa vuol dire?



1.    Vuol dire anzitutto fare i conti con la fede. Gesù infatti chiude la sua riflessione proprio con una domanda che riguarda questo fondamentale atteggiamento: «Il Figlio dell’uomo quando ritornerà troverà ancora fede sulla terra?». La preghiera è un campo che ci stanca perché siamo abituati a condurre il gioco da soli, a controllare la palla senza passarla, ad arrivare in porta a prescindere dai compagni anche se sappiamo che si tratta di un dribbling fallimentare. Alcuni sociologi parlano oggi della fede come del “possibile non sicuro” (Castegnaro). Dio è un riferimento nel momento in cui ci sembra ragionevole, nel momento in cui asseconda il nostro gioco. Ma quando chiede di allargare lo sguardo rimaniamo perplessi e attingiamo dalle nostre risorse. Ma quando conosci il tuo compagno di gioco? Non quando fai le tue supposizioni su di lui, bensì quando gli passi la palla. Invece di aspettare le prove per iniziare a pregare Dio, prova a pregarlo e vedi se si muove qualcosa.



2.    Che cosa? Qui si apre un’altra riflessione: a che serve la preghiera? A realizzare quello che abbiamo in mente? Pregare nel greco con cui è scritto il vangelo si dice proséuchesthai. Pros è una preposizione che dice la necessità di un’uscita. Euchomai vuol dire desiderare, guardare a qualcosa di bello. La preghiera è uscire da sé, andare nel mondo di Dio e desiderare ciò che lui desidera. Quella vedova che va dal giudice e con insistenza dice le sue ragioni continua a sognare un mondo giusto, non come quello di chi le ha rubato i soldi e la sta mandando in miseria. La preghiera è la ricerca dello sguardo di Dio su di noi, sul mondo, sulla vita. È capire quello che conta veramente. A volte noi preghiamo rimanendo prigionieri di noi stessi e del “sia fatta la mia volontà”.



3.    Rimane però un problema. A volte la nostra preghiera è giusta, come quella della vedova. E tuttavia sembra che il giudice non ascolti. Guarda che Dio non è così, assicura Gesù. Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ecco è questo prontamente che non ci convince. Dov’è finito Dio nelle nostre necessità? Dov’è finito quando qualche innocente soffre? Forse la risposta c’è ma non è quella che pensiamo. Ce lo fa capire Mosé: quando alza le mani verso il cielo, l’esercito di Israele vince sui nemici. Quando cadono a terra prevale Amalek. E allora cosa fanno Aronne e Cur? Sostengono le mani di Mosè. E Israele vince. Ecco Dio a volte vuole questo. L’efficacia della preghiera non sono i miracoli che assomigliano a magie ma i miracoli che uniscono gli uomini, che rendono le loro mani fatte di cielo. Certo che la Siria è bombardata, ma il miracolo saranno mani di uomini che si alleano e sostengono progetti di pace. Certo che una malattia ti sconvolge ma il miracolo saranno mani che sono vicine al malato, che gli consentono di rimanere uomo e di sentirsi voluto bene. Ecco perché Dio non cambia certe situazioni,: perché vuol cambiare il nostro cuore, che diventi come il suo. E la preghiera insistente genera questa umanità. In te e attorno a te. Prega senza stancarti, perché Dio non si stanca di risponderti notte e giorno. E per il fatto che tu non lo vedi non vuol dire che già non ci sia.

domenica 2 ottobre 2016

Omelia 2 ottobre 2016


Ventisettesima domenica del T. O.

Marina Nalesso, giornalista del Tg1, nei giorni scorsi è stata oggetto di forti critiche sui social network per essere apparsa in TV con una collana da cui pendeva il crocifisso. Lo sappiamo: l’affermazione pubblica del cristianesimo oggi dà fastidio. Ci scontriamo con un laicismo guardingo e rabbioso che ne vorrebbe cancellare i segni relegandoli alla sfera privata. Ma non è solo una battaglia tra esterno e interno del cristianesimo. A volte anche gli stessi cristiani sono indeboliti nella loro testimonianza e vivono una relazione con il Signore in maniera un po’ blanda ed ambigua. Oggi l’aggettivo che seduce è: easy. Leggero, facile. E vorremmo tutto easy, anche la fede, in modo da non sentirla troppo addosso, in modo che non sconvolga le scelte che abbiamo già fatto. Ti sposi in chiesa ma è come se rimanessi fuori, iscrivi tuoi figlio alla scuola materna parrocchiale ma non capisci tutta questa religione, ti piace tanto papa Francesco ma di quello che dice prendi solo gli slogan. La questione però si poneva già agli inizi del cristianesimo, tanto che gli apostoli, rendendosi conto dele esigenze che indica loro Gesù, gli chiedono: «Aumenta la nostra fede!». Ecco, com’è che aumenta la fede?

1.    Anzitutto Gesù dice che ne basta un granello. Ma non un granello di sabbia, un granello vivo, come il seme di senapa. Non importa poca o tanta, grande o piccola: importa che la tua fede sia viva. Quand’è che una fede è viva? Quando non rimane inerte sul terreno dell’esistenza, quando freme, mette germogli e radici. Prova a vedere se c’è una piccola zolla che si alza spinta dalla forza di Dio. Qualcuno di voi accoglie a casa i bambini di Cernobyl. Ebbene nei mesi scorsi è uscito un articolo su Fabrizio Pacifici, l’ideatore di queste vacanze rese possibili dalla solidarietà. Pacifici nel 1986, anno del disastro di Cernobyl, era un rampante giovane comunista che veniva mandato a Mosca a studiare per assumere le responsabilità nel partito. Un giorno un gruppo di medici lo invita a visitare un ospedale. Era rischioso andarci, ma lui aggira i controlli e si reca nel reparto dove erano ricoverati i bambini colpiti dalle radiazioni. E questo basta per cambiargli la vita. Ritorna in Italia e cerca di fare qualcosa e casualmente trova un frate che sostiene il progetto. Pacifici nel frattempo, attratto dal vangelo, è cacciato dal partito, ma lui ha conosciuto il Signore e inizia a camminare sulle strade della fede e a realizzare un’opera di accoglienza che continua fino ad oggi. Guarda che la vita è abitata dal mistero non solo dalle logiche del partito. Lasciati interrogare, lasciati condurre. Per questo Paolo dice a Timoteo, suo collaboratore: Ti scongiuro di ravvivare il dono che è in te.

2.    Poi la fede aumenta accogliendo la sorpresa dell’impossibile. «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe». La fede smuove, scalza, sposta. Anche quel che sembra cementato. Però bisogna attivarla. Potreste dire. Se taci non succede niente. La fede deve avere il coraggio dell’iniziativa, l’audacia di giocarsi. Prova a vedere su quale impossibile il Signore ti vuole sorprendere. Pensate al gesto compiuto dal presidente palestinese Abu Mazen che ha voluto partecipare ai funerali di Shimon Peres. Nonostante le critiche di Hamas che ha indetto un giorno di rabbia per tale partecipazione, Abu Mazen ha stretto la mano al premier israeliano Benjamin Netanyahu. È da cinque anni che i due non si riuniscono per un negoziato. Anche noi a volte chiudiamo i negoziati. La fede è la loro riapertura, anche quando l’altro ti sembra un nemico. Al nostro orgoglio, alla nostra volontà di dominio, alla nostra cattiveria dovremmo dire così: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”. La fede può provocare l’impossibile. 

3.    Infine la fede non cerca meriti né ricompense. La parabola dei servi inutili ce lo fa capire. Quella parola non vuol dire che essi non svolgano un servizio prezioso. Il senso è un altro: quel servizio non dà diritto a utili, a una remunerazione. Dov’è allora il vantaggio di credere? È nell’essere parte di una realtà, nel contribuirvi mettendosi a servizio, nell’arricchire il mondo di Dio con la propria partecipazione. Come se ti capitasse di giocare insieme al tuo calciatore preferito. Non vai a chiedergli la paga. Quella partita era la paga! Mi hanno fatto riflettere ieri sera i volontari che si occupano dell’Alzheimer. Hanno descritto quel mondo in uno spettacolo con attenta precisione, anche con ironia. Ma in tutti loro emergeva anche una grande tenerezza per coloro che assistono. Questa è la partita di Dio e quando sei in campo, non hai bisogno di altre paghe perché già appartieni al regno dei cieli. Per quello che fai, per l’amore che ci matti, per lo stipendio che non hai.

Ecco la fede. Non è un po’ di vernice sulla cornice della vita. È il dipinto che realizziamo giorno per giorno. Con tenacia, creatività, disponibilità all’azione di Dio.