domenica 19 luglio 2015

Omelia 18 luglio 2015


Sedicesima domenica del T.O.

Gesù aveva inviato i suoi discepoli in missione ed essi erano tornati entusiasti per l’accoglienza che avevano ricevuto. Il lavoro tuttavia era notevolmente aumentato e metteva il gruppo in seria difficoltà:  erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Gesù prende provvedimenti rispetto ad una simile situazione. Al centro deve rimanere sempre l’uomo non il lavoro o l’organizzazione, fosse anche l’organizzazione pastorale e missionaria. Ecco allora l’invito: Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’. Il lavoro ha senso se da esso ti sai distanziare, se non perdi la tua realtà personale. E tuttavia non basta andare in vacanza: nelle parole di Gesù non c’è il villaggio turistico, ma un equilibrio nuovo da raggiungere, con lui. Egli infatti non dice: andate, ma venite. Presuppone una situazione dove c’è anche lui. Il riposo autentico inizia quando fai spazio al Signore perché lui custodisce integralmente l’uomo e la sua verità. Dove ci attende Gesù?

1.    Anzitutto quell’insistenza: voi soli che può voler dire anche proprio voi e non altro o altri. È una questione di identificazione. Gli altri, le cose che facciamo contribuiscono a delineare chi siamo. Un figlio ci rivela la bellezza di essere genitori, un lavoro manifesta la nostra abilità. Ma noi non siamo i nostri figli, non siamo il nostro lavoro. Perché altrimenti – e talvolta succede – quando un figlio cresce o quando si va in pensione, ci pare di sparire e di non trovare più il senso della nostra vita. Segnali di cui tener conto: a casa parliamo di lavoro e non troviamo altri argomenti su cui dialogare. Sei ancora in fabbrica, in ufficio! Figli: dopo una certa età sparisce l’intimità della coppia e ci si rapporta unicamente come padri e madri, come nonni e nonne. Guarda che non hai sposato tuo figlio! Ritrovati in relazione a quel progetto di vita che prima di ogni altra cosa ti vede marito e moglie, anche a 60 anni!

2.    In disparte, in un luogo solitario. Qui ci sono due termini intressanti: kat’idian che significa per proprio conto e eis éremon tópon che vuol dire verso un luogo eremitico. Per trovare se stessi, ogni tanto occorre cercare un po’ di eremo per conto proprio. Perché l’eremo è importante? Perché ci ricorda l’esperienza della solitudine che nessuna relazione umana può colmare. Oggi facciamo molta fatica ad accettare la solitudine. Viviamo perennemente connessi, con il mondo a portata di smartphone. Ma qui si nasconde un inganno:  tu puoi avere tutte le connessioni di questo mondo: in alcuni momenti sei tu e solo tu. A chi affidi questa solitudine? Alla delusione, alla fuga, al bombardamento sonoro? Gesù ti invita ad affidarla al mistero, ad una relazione più grande. E un po’ di eremo periodico ti aiuta a ricordarlo. Come nella stagione del monachesimo antico: soli con il Solo!

3.    Infine Gesù dice: riposatevi un po’ (anapáusaste). Verbo interessante che vuol dire prendere una pausa in modo da ri-posarsi, posarsi di nuovo, cercare una nuova collocazione nella vita. È quello che succede a Gesù e al gruppo dei Dodici che poi, di fatto, sono subito sommersi dalla gente. E Gesù si ri-posa con la misericordia: Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore. Il riposo ti riconduce alla vita ricentrandola su quello che conta veramente. Pensate al dramma dei profughi che accompagna la nostra estate. Riposare vuol dire prendere una pausa osservare le cose con maggior obiettività, non lasciarci travolgere dall’esasperazione, non scaricare il problema solo su alcuni, ma può voler dire anche ri-posare la nostra umanità che talvolta è andata in ferie, introdurre compassione dove i criteri in gioco sono solamente di tipo economico e opportunistico. E quella bambina morta in mare per la barbarie di chi ha gettato in mare lo zainetto con l’insulina è l’immagine di ogni rifiuto, di ogni mancanza di compassione che non appartiene solo agli scafisti, ma anche a chi sputa il veleno dell'ostilità in una strada o caricando sui social squallidi commenti.

Venite in disparte…    Distànziati dal mondo disumano che rischia di imprigionarti e ri-posa la tua partecipazione all'edificazione di quella terra nuova che Gesù ha inaugurato. 

 

domenica 12 luglio 2015

Omelia 12 luglio 2015


Quindicesima domenica del T. O.

Uscire. È una parola che oggi ci affascina. Problema è che la usiamo prevalentemente come moto da luogo. Uscire da. Uscire dall’euro. Uscire da facebook. Uscire da un partito, da una condizione opprimente. Anche il cristiano è un uomo in uscita, così ha ribadito papa Francesco. Ma l’uscita cristiana insiste più su ciò che cerchi che su ciò che lasci. Andare verso, raggiungere, sentire l’appello dell’altro e delle situazioni. Moto a luogo.

Gesù incoraggia oggi tale movimento, spinge i suoi discepoli all’uscita: li invita a guardare l’orizzonte sognando il mondo con gli occhi di Dio. Quale uscita Gesù ha in mente?

1.    Anzitutto un’uscita fatta di relazione. Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due. L’uscita di Gesù non avviene in solitudine ma nell’affermazione di una fraternità imprescindibile. Non puoi essere testimone della bellezza di Dio se cammini da solo, per conto tuo. Il Dio cristiano è relazione continua e profondissima di tre persone e in tale relazione invita tutti gli uomini. Relazione non è dunque una strategia operativa, ma un segno che ci si può volere bene anche se si è differenti, andar d’accordo anche se viviamo diverse appartenenze. È nella concordia che dai la prima testimonianza. Qual è il due a due che hai perduto? Qual è il fratello da ritrovare? Sempre. 

2.    Un secondo aspetto è l’essenzialità. La missione deve affermare qual è la tua vera ricchezza. Né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. Attento che non sia il denaro il tuo Dio, i beni materiali, le sicurezze economiche, gli status symbol. E questo stile è da portare a casa non solo nelle chiese o negli oratori. Dovunque entriate in una casa. Sii costruttore di bellezza evangelica in famiglia, con i tuoi figli, con tua moglie, con tuo marito.  Un papà che ieri è venuto in canonica e oggi sarebbe partito per le ferie mi ha detto: «Tante di quelle valigie che avremmo fatto prima a portarci dietro la casa!». Non è che in questo tempo estivo la vacanza possa servirci per trovare qualcosa di essenziale rispetto al superfluo? La bellezza di stare insieme, di osservare un panorama, di parlarsi. Dio non si nasconde nella potenza dei mezzi, ma nella vita di chi gli dà fiducia e lo lascia agire.

3.    Un ultimo aspetto è legato all’accoglienza del popolo in uscita. Perché qualcuno può aprirti le porte, qualcun altro può farne a meno. E qui Gesù suggerisce un gesto: Scuotete la polvere sotto i vostri piedi. Era quello che facevano gli Ebrei della diaspora quando tornavano in Palestina, per non contaminare la loro terra. Non è un gesto di ostilità, ma un gesto di verità: fai vedere che c’è un’altra terra da abitare. La terra di Dio, del suo Regno.  In questi giorni in camposcuola è successo un fatto spiacevole. Gara di bestemmie. Chiaramente siamo intervenuti con una certa fermezza. Ma quello che mi ha fatto più male non è stato il comportamento assurdo dei ragazzi, che peraltro hanno compreso la gravità dei fatti, quanto quello di alcuni adulti che si sono stupiti dell’eco che abbiamo dato alla questione. Come se il problema non fosse così rilevante. Ecco: che terra abiti? La tua missione cosa indica? Terra di compromessi, di sabbie mobili o la terra santa dell’incontro con Dio?

Non ero profeta né figlio di profeta, confessa Amos. Il Signore mi ha scelto. Se il Signore ti ha scelto, ricorda che gli appartieni. Non seppellire il dono che ti affida e portalo agli altri con una testimonianza gioiosa e un’uscita convincente.

Omelia 5 luglio 2015


Quattordicesima domenica del T. O.

Ma chi ti credi di essere? È la grande domanda che segretamente percorre il vangelo di oggi. Gesù dopo la prima predicazione a Cafarnao torna a Nazaret, il suo paese. L’eco delle sue parole e dei suoi gesti si è diffuso ma dopo l’iniziale curiosità subentra il sospetto: Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? Non è il figlio del falegname? La sua famiglia non va a fare la spesa nel nostro stesso supermercato? La difficoltà degli abitanti di Nazaret è triplice.

1.    Da dove. È la grande domanda sull’origine, quella che interpella il mondo di Dio. Quelli di Nazaret stanno dicendo: possibile che Dio abbia ancora qualcosa da dirci? Notate che Gesù si trova in sinagoga, il luogo del grande appuntamento settimanale con Dio. Eppure questo non smuove i suoi interlocutori. Dio nella nostra vita può diventare un sistema, il cristianesimo corre sempre il rischio di svuotarsi di Cristo. Facciamo tante attività parrocchiali e non ci ricordiamo perché, ci riconosciamo in una sorta di religione civile che si traduce in una raccolta di insegnamenti interessanti e trascura l’incontro con Dio,  inseguiamo apparizioni le cui parole diventano più importanti di quelle del vangelo. Anche Gesù ti pone quella domanda: Da dove? Da dove viene la tua sapienza? La tua religione? Ti interessa davvero Dio o ti interessa garantire il tuo assetto?

2.    Non è il figlio del falegname? In questa domanda ciò che impedisce l’incontro con Dio non è tanto la possibilità che si riveli, ma che lo faccia in maniera umana. Non è il figlio di Maria? Ecco, questo è un pericolo con cui sempre ci misuriamo: quello di allontanare Dio dalla nostra umanità. Con due risvolti: la sensazione che lui non ci possa essere o la pretesa che lui non debba esserci. Il primo caso è quello che viviamo più frequentemente; ci sono delle situazioni umane dove ci pare che Dio non arrivi: la malattia, la fragilità, il fallimento. Il secondo caso è quello che ti porta a escludere Dio deliberatamente. La vita, la sessualità, i soldi… Pensate alla battaglia senza esclusione di colpi che si sta combattendo intorno alla questione dell’identità di genere. Con l’arrogante pretesa che alcune istituzioni, come quella scolastica, possano intervenire a riguardo a prescindere da una famiglia, da un sistema di valori che non sono quelli di alcuni gruppi di pressione o di una ideologia barattata come libertà. Il Dio cristiano è un Dio incarnato e nella carne ci chiede di individuare un progetto di umanità credibile. Un progetto in cui tutto l’uomo possa essere salvaguardato.

3.    Altra difficoltà a riconoscere in Gesù la rivelazione di Dio è l’esperienza della fraternità: I suoi fratelli e le sue sorelle non sono qui con noi? Gli abitanti di Nazaret dicono: conosciamo bene le sue vicende di casa. A volte è lo stesso scandalo che patiamo anche noi: siccome a casa le cose non vanno sempre in maniera cristiana pensiamo che Dio non abbia a che fare con questa realtà. Un figlio che non va più a messa, bestemmie, guerre tra parenti. Chissà, forse un po’ di questo c’era anche nella famiglia di Gesù. Eppure lui non rinuncia ad esserci e a indicare la possibilità di pensare a nuove relazioni, di figli e di fratelli. E ogni volta che questo si realizza la sua incarnazione si compie e i suoi miracoli si manifestano. Come quella donna che ieri mattina mi ha detto: «Sono riuscita a ricomporre il rapporto con mia cognata. Lei ha fatto il primo passo, cosa che io non avrei mai pensato, e io ho creduto a quel gesto». Ecco i prodigi che Gesù non riesce a compiere a Nazaret ma che non rinuncia a realizzare se lo accogliamo con fede.

Non fare di Gesù un talismano, un assetto religioso: credi nella forza del suo vangelo e liberane ogni giorno la novità.