martedì 24 marzo 2015

Omelia 22 marzo 2015


Quinta domenica di quaresima

Non è sempre facile raggiungere un personaggio importante. In genere ci si rivolge a qualcuno che si conosce per avere informazioni e per capire come stabilire il contatto. Così fanno due greci incuriositi da Gesù. Avvicinano Filippo e Andrea, guarda caso due apostoli con un nome greco. E i due discepoli portano la richiesta al loro Maestro. Vogliamo vedere Gesù. Gesù non respinge la richiesta, ma la approfondisce. Non si tratta fare un selfie con lui. Vedere lui vuol dire osservare una logica nuova nel modo di cogliere la vita: la logica del chicco di grano. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Cosa vuol dire Gesù?

1.    Innanzitutto il chicco di grano. Gesù non distribuisce foto con l’autografo per farsi conoscere: ci dà un piccolo tesoro di vita, un seme da piantare. Conosci Gesù se lo pianti nella tua vita, non se lo tieni tra le foto ricordo. Quando il vangelo non ti scalfisce più Gesù sta diventando una foto. Abbiamo sentito il discorso del papa a Napoli. Un duro monito contro una cultura del profitto che scarta i giovani e non permette loro di lavorare. Con la sua solita franchezza papa Francesco ha ricordato la logica di ricatto che varie aziende mettono in atto proponendo orari di lavoro da undici ore giornaliere con stipendi da seicento euro. E che, di fronte alle proteste dicono: “Se non ti piace, guarda la coda di gente che sta aspettando il lavoro!”. Questo si chiama schiavitù, questo si chiama sfruttamento… E se quello che fa così si dice cristiano è un bugiardo, non è cristiano. Solo a Napoli? L’impiego dei tirocinanti che interessa i nostri ragazzi è inserimento nel lavoro o è l’escamotage con cui alcune aziende recuperano manodopera gratuita? Gesù è chicco di grano che cresce non è soprammobile. Accoglierlo vuol dire lasciarlo agire, lasciare che metta radici.

2.    Ma perché il chicco di grano cresca, osserva Gesù, è necessario un passaggio indispensabile: morire. Se il chicco di grano non muore rimane solo. Un seme per germogliare deve morire, deve lasciare che l’umidità allenti le resistenze della sua corteccia, di quello che lo trattiene. È quello che vive Gesù nel mistero della sua morte. La sua vita non è trattenuta, ma donata. E ogni volta che vedi vita donata, vedi Gesù. Dove sono io sarà anche il mio servitore. Vuoi vedere Gesù? Rompi la tua corazza e lascia che la vita ti sorprenda diventando vita per qualcun altro. Il battesimo che abbiamo ricevuto è stata l’acqua che ha indebolito le nostre resistenze e liberato il germoglio di Dio! Penso alla giovane mamma che abbiamo sepolto in questa settimana, alla sua gravidanza portata a termine nonostante il male, alla sua vita donata fino alla fine senza esitazioni e senza imprecazioni. È il chicco di grano che muore e che in maniera inattesa genera vita.

3.    E infine il chicco di grano produce molto frutto. Da questo si riconosce Gesù, dal molto che porta e dal molto che porti. E insisto su questo aggettivo: molto. Avete sentito la polemica che c’è stata tra gli stilisti Dolce e Gabbana e Elton John. Tutti omossessuali. Ma mentre gli stilisti italiani avevano preso le distanze dalle madri surrogate e dagli uteri in affitto, il cantante londinese, che un bambino l’ha avuto proprio in questo modo, ha invitato a boicottare il marchio italiano con l’accusa di discriminazione. Che cosa vuol dire avere un figlio? È solo una questione di uguali diritti? E diritti di chi? Non ci sono diritti per un bambino che viene a questo mondo e per queste madri che dopo le loro prestazioni si vorrebbero cancellare? A volte pensiamo di portare frutto solo per noi. Ma i frutti che saziano solo qualcuno non viene da Dio. Fa’ in modo che il dono di te sia vero e sia dono per tutti. Molto frutto. Allora la vita cambia sapore.

Vogliamo vedere Gesù. Questa domanda non ha perso il suo fascino e la sua attualità. Ma Gesù ci ricorda che solo una vita donata vi risponde. Con quel chicco di grano che è sepolto in ciascuno di noi.

domenica 15 marzo 2015

Omelia 15 marzo 2015


Quarta domenica di quaresima

Porta itineris dicitur longissima esse: si dice che la porta sia la parte più lunga di un viaggio. Questo proverbio latino ci consegna una verità. Intraprendere un viaggio non è mai un’esperienza semplice e, soprattutto “la porta”, l’iniziativa, la decisione ci vede spesso esitanti. È quello che vive Nicodemo, membro del sinedrio, massimo organo legislativo e giuridico ebraico, che su quel tale di nome Gesù voleva capire meglio. Da un lato Nicodemo è un cercatore di verità, dall’altro il suo ruolo pubblico lo rende cauto e guardingo. Per questo si reca da Gesù di notte, in modo da non destare sospetti. Sembra un atteggiamento ambiguo, di chi vuol rischiare fino ad un certo punto. Ma il vangelo di Giovanni ci ricorda che Nicodemo prenderà le difese di Gesù quando cominceranno le accuse nei suoi confronti e, dopo la crocifissione, andrà a seppellire Gesù portando trenta chili di aloe e mirra. Nicodemo è l’icona delle nostre esitazioni e delle nostre ricerche, dei tentativi di capire meglio le cose e delle nostre incertezze. Gesù però non si spaventa e ci dà tempo. Ricordate domenica scorsa? Egli sa che cosa c’è nel cuore dell’uomo. Ciò che conta è la verità, la disponibilità a camminare. E per favorire questo cammino Gesù regala a Nicodemo la riflessione che abbiamo appena ascoltato. Vuoi trovare autenticamente Dio? Ecco la strada.
 
1.    Come Mosè innalzò il serpente nel deserto. Gesù si riferisce a un episodio dell’esodo. Il popolo morso da serpenti velenosi, a motivo della propria infedeltà, aveva trovato guarigione in un serpente di rame che Mosè aveva collocato sopra un’asta. Era un modo per dire: guarda in faccia il serpente che ti morde: è quello della tua ribellione, del tuo peccato. Ora non ci sarà più un serpente da guardare, ma un uomo messo in croce. Guarda di che cosa può essere capace un uomo. Ecco da dove parte la strada verso Dio. A volte noi trascuriamo la realtà del male, lo relativizziamo affermando un disinvolto “che male c’è” o un auto giustificatorio “tutti fanno così”. Ma il male c’è e come un serpente striscia nella nostra vita e la imprigiona. Una ragazzina disabile picchiata e coperta di sputi da tre compagni di classe: due ragazze e un ragazzo, tutti sedicenni. Mentre una terza ragazza filma il tutto per poi diffondere il video su Whatsapp e Facebook. È successo a Varallo, in classe, sotto lo sguardo dell’insegnante che non fa nulla per porre fine al sopruso. Eccoci qua: ragazzi e adulti prigionieri del serpente che ci avvelena. Guardalo bene, dice Gesù. Sono ragazzate o è il deserto che incombe? Ti rassegni a questi morsi o c’è una vita differente?

2.    Di fronte a questa realtà Dio non se ne sta a guardare. È un Dio fedele e un Dio che ama. Dio ha tanto amato (agápesen) il mondo. E questo amore si traduce in vicinanza tanto da mandare il suo Figlio. Dio non si rassegna al serpente e ti dona un’altra compagnia per la vita, perché la vita sia strappata dal male e sia vita eterna. È la prima volta che nel vangelo di Giovanni appare questo termine. Ma attenzione: l’evangelista, invece di utilizzare il termine greco bios che indica la vita biologica, usa la parola zoé che vuol dire esistenza che cerca la sua sorgente, il suo fondamento. E il fondamento è l’eterno (aiónios): una vita a misura dell’eterno. Ecco chi è il Dio cristiano: un Dio che ti ama da renderti partecipe della sua stessa vita. Questa mattina al TGR Veneto c’era la storia di due ragazzini di sette anni. Gideon figlio di immigrati ghanesi che confida all’amico Gregorio che il papà ha perso il lavoro. Gregorio va a casa e ne parla alla mamma, figlia di un imprenditore che, informato sulla vicenda decide di assumere il disoccupato. Ecco, la risposta ai fatti di Varallo. Quando ragazzi e adulti fanno posto all’amore, la vita di Dio inizia già a scorrere. Ed è vita a misura dell’eterno, quella che Gesù è venuta a farci conoscere.

3.    C’è una terza riflessione. Questa strada si apre se ci credi. Perché chi crede abbia la vita eterna. Dio che ti consegna la sua vita, non lo fa senza di te, senza un gesto di fiducia che dica la tua adesione. Siete salvati mediante la fede. Ci credi? L’anno giubilare della misericordia indetto da Papa Francesco ci sta proprio per questo: per ritrovare l’amore di Dio come prospettiva credibile per realizzare la vita, per tenerla in piedi. Ritrova la bellezza della fede. Sei suicidi di giovani in poche settimane a Treviso non ci bastano per capire che dobbiamo riaprire prospettive credenti? Abbiamo insistito su produttività e lavoro e quando queste realtà sono andate in crisi non è rimasto più niente. A tuo figlio che cosa consegni come bagaglio per la vita? Chi crede ha la vita eterna. Un uomo è non è solo ciò che dice e ciò che fa. È ciò che crede. E se credi in colui che dà la vita, la vita ti appartiene.

mercoledì 11 marzo 2015

Omelia funerale Lina Guidolin


Funerale Lina Guidolin (11 marzo 2015)
Dt 8,2--10 – Rm 8, 31-39 - Mc 15,29-39

Quarant’anni. Un’età impensabile per poter parlare di morte, specie se essa incrocia il fiorire della vita, un marito, una figlia, un lavoro, il futuro. Quarant’anni di gioia e speranza che, oggi, sembrano dissolversi e contraddire ciò che di bello un uomo può realizzare. Come l’erba sono i giorni dell’uomo, come il fiore del campo, così egli svanisce.

Ma quarant’anni sono anche la cifra simbolica di un cammino già noto, nel quale anche i quarant’anni di Lina trovano un senso. È l’esperienza dell’esodo, di quel percorso che Israele compie uscendo dall’Egitto per entrare nella terra che Dio ha promesso. È un viaggio che il popolo non può dimenticare e che Mosè rammenta, prima di varcare i nuovi confini: Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore. Che c’era nel cuore di Lina in questi suoi quarant’anni, che cosa le ha fatto conoscere il Signore di lui, dei suoi progetti, della vita? 
1.    I quarant’anni di Lina sono stati tempo di intraprendenza operativa e professionale. Lina non amava una vita in panchina. Le piaceva il suo lavoro e in esso poneva la sua professionalità, la sua determinazione, la sua passione. Quel reparto medico al quinto piano dell’ospedale era diventato casa sua e gli ultimi istanti di vita passati in quel luogo, dalla parte del malato, sembravano riaffermare una convinzione da cui Lina non si schiodava: la necessità di immedesimarsi nella situazione dell’altro, di aprire la professione agli slanci della missione, di mettere insieme terapia e vicinanza, intelligenza e cuore. Il tuo mantello non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant'anni. Il lavoro ci logora quando lo facciamo senza coglierne il senso, quando lo priviamo della sua capacità di parlarci di un progetto, della possibilità di sognare qualcosa di nuovo per noi e per gli altri. La terra promessa per il cristiano non è solo l’aldilà ma anche un aldiquà, un mondo capace di promuovere e di ospitare il vangelo e una differente umanità. E Lina ci provava ogni giorno con determinazione e cura.
2.    Ma i quarant’anni di Lina sono anche lo spazio degli affetti e in particolare della famiglia, quella d’origine e quella che nasce dal matrimonio con Stefano e dall’arrivo di Beatrice. L’esperienza della maternità rappresenta però il crocevia tra la gioia e la preoccupazione perché è proprio da tale momento che Lina comincia a confrontarsi con il suo male. Eppure le prospettive oscure, che certo a Lina non sfuggivano, non le impediscono di avere e di dare coraggio, contando sulla forza che le proveniva da quanto aveva di più caro: suo marito e sua figlia. Uno può anche chiedersi che senso ha tutto questo, se poi ti viene tolto. Forse il senso non sta nell’essere tolto, ma nell’essere stato donato perché una madre potesse essere tale e potesse sperimentare la forza dell’amore vero. L’amore ha questa capacità: di farti abitare le contraddizioni e le desolazioni, di farti rimanere in piedi anche quando l’equilibrio è precario, senza essere travolto dall’oscurità. Quando si ama si mette mano all’impossibile. Perché? Perché nell’amore si tocca il mistero di Dio. E a lui nulla è impossibile. Lina ci è stata rubata da una brutta malattia ma l’amore di cui è stata capace non può essere vinto, neanche dalla morte. Ce l’ha assicurato Gesù che la morte l’ha vista in faccia ma che dalla morte non è stato inghiottito. Chi ama, nell’amore continua a vivere, rimane nel cuore di chi lascia e trova la pienezza dell’amore nel mistero di Dio. Chi potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù?
3.    Infine i quarant’anni di Lina sono avvolti dalla prova. Per umiliarti e metterti alla prova, per sapere se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Il cammino dell’esodo è un tempo di tentazione, in cui Dio sembra sparire dalla vista. Proprio come Gesù sulla croce: Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. Scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ma Gesù non scende dalla croce; grida il suo sconcerto: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? E rimane in quella collocazione, persuaso che Dio possa essere tale anche quando le circostanze sembrano smentirne l’azione. Lina è rimasta sulla croce con Gesù e non ha perso la sua fede. Anzi, sabato, appena sono arrivato in camera sua, il respiro era affannoso e angosciato, quasi un grido. Mi sono presentato e le ho dato una carezza; le ho detto di non aver paura e poi abbiamo recitato una preghiera con i famigliari. E il respiro si è normalizzato, quasi vivesse ormai la sua consegna al Signore.
Detto questo le nostre domande non sono esaurite. Ma insieme ad esse rimane la persuasione che i quarant’anni non sono trascorsi per nulla. E che la terra promessa di risurrezione e di vita non mancherà. Con la sorpresa di Dio e con quel legame di comunione che neppure la morte riesce a cancellare.

Veglia su Stefano e Beatrice, Lina, sui tuoi genitori e famigliari e veglia anche sulla nostra fede perché la speranza non venga meno e la tua testimonianza non vada perduta.  

domenica 1 marzo 2015

Omelia 1 marzo 2015


Seconda domenica di Quaresima

Quella sagoma nera, incappucciata che tiene in mano un coltello con cui sgozza le sue vittime atterrite ha un nome. Jihadi John, cittadino britannico di 27 anni, cresciuto in un tranquillo quartiere londinese, una famiglia benestante, laurea in informatica a Westminster, i vestiti firmati, la metro come tutti ogni giorno. Eppure quest’uomo è stato capace di una trasformazione che ci lascia esterrefatti, ci colloca nel deserto, proprio come quello che appare alle sue spalle, durante le sue agghiaccianti esecuzioni.

È la vicenda di un uomo che ha perso se stesso, ma è anche quello che talvolta capita a noi, quando la nostra umanità si avvolge di oscurità e non ci riconosciamo più. Tuo fratello con cui lavoravi insieme e chi ti abita poco lontano che ti estromette dall’attività, tua madre che vuole rifarsi una vita e che ti caccia dai nonni, tuo figlio che ti priva di vedere i nipoti perché non gli dai la casa. Il deserto qualche volta si diffonde anche intorno a noi.

Ebbene Gesù, nel mistero della trasfigurazione vuole indicare ai suoi discepoli un’umanità diversa, luminosa, che sappia di cielo. Notate che l’episodio è introdotto dall’indicazione: dopo sei giorni. Nel sesto giorno della creazione Dio ha creato l’uomo. Un’umanità sottratta alle logiche della morte, anche se Gesù la sta per incontrare. Come si entra in tale chiarore.

1.    Anzitutto bisogna accettare un invito a salire. Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte. La trasfigurazione domanda l’audacia di un’ascesa, non è esperienza da piano terra: staccati da quella mentalità che talvolta ti impedisce di vedere orizzonti più grandi e ti fossilizza. In questi giorni in India è stata liberata una donna oggi trentunenne che dall’età di tredici anni è stata costretta ad accogliere in grembo figli, sei in tutto, di coppie paganti. La sua situazione analoga a quella di centinaia di altre ragazze è stata resa nota da un’organizzazione non governativa che combatte le organizzazioni criminali che alimentano e soddisfano tale mercato. A volte noi non ci pensiamo: ci pare che avere un figlio sia un diritto ad ogni costo e dimentichiamo che i presunti nostri diritti sono talora garantiti da schiavitù. Sali sul monte, guarda le cose con più attenzione.

2.    Giunti sul monte Gesù si trasfigura. In greco c’è il verbo metamorphóomai che indica un cambiamento di forma. I discepoli vedono Gesù in una maniera nuova, vedono la vita in una maniera nuova. È la maniera di Dio che rischiara anche le situazioni oscure. Per te le tenebre sono come luce. Notate che Gesù porta i discepoli sul monte perché non si capivano più. Lui aveva appena annunciato la passione e quei discorsi pesavano nel loro cuore come un macigno: una sorta di fallimento rispetto alle loro attese. Sul monte Gesù vuole indicare una strada diversa: Dio può essere tale anche quando ti sembra impossibile. E te ne dà prova con un raggio di luce che cambia le forme, ti fa vedere la vita in quella che sembra una realtà di morte. Ecco allora l’invito della trasfigurazione: osserva le forme nuove di Dio, sappi ricercarle, riconoscerle. Avete sentito di quella polemica innescata dal primo cittadino di S. Giorgio in Bosco di far pagare alla Germania i danni per l’eccidio del 1945 di cui abbiamo memoria nel nostro comune. Mi è parsa sensata la risposta del nostro sindaco che di fronte alla richiesta di unirsi nella stessa rivendicazione ha ricordato i settant’anni di storia che sono passati, agli sforzi di riconciliazione e ai tentativi di costruire un’Europa diversa. Se poi i gemellaggi hanno qualcosa da insegnarci, proprio in questa settimana ho sentito che un gruppo della parrocchia di Boves ha rintracciato la tomba del criminale nazista responsabile dell’eccidio nella loro città e vi si è recato per pregare. Ecco la metamorphosis il cambiamento di forme che Dio ti chiama a riconoscere e ad operare.

3.    Infine c’è trasfigurazione quando ascolti la voce. Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo. Le immagini scompaiono, i discepoli scendono dal monte ma quel cambiamento nel quale per qualche istante sono stati coinvolti continuerà nel loro quotidiano nella misura in cui faranno posto all’ascolto di Gesù. Così anche per noi: vuoi che la vita cambi, che il tuo cuore cambi? Ascolta un po’ più di vangelo. Abbi l’audacia di sfidare il deserto quotidiano accogliendone la sfida. Qual è la pagina di vangelo che il Signore ti affida? Quella del perdono? Della ritrovata fraternità? Della solidarietà? Mentre i discepoli scendono dal monte non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Può essere un’annotazione di uno scenario che è cambiato, ma può essere anche la descrizione di un cambiamento loro. Da quel momento non videro altri, se non Gesù. Ecco, sei trasfigurato quando ogni giorno vedi Gesù e ti lasci condurre da lui. E l’uomo nuovo esce fuori, creato secondo Dio, aperto alle proporzioni del cielo.