lunedì 31 ottobre 2011

Omelia 30 ottobre 2011

Trentunesima domenica del T. O.

Il papa ad Assisi tra i rappresentanti di altre religioni giovedì scorso l’ha ricordato chiaramente. Nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura. Le parole del papa ci mettono di fronte all’incoerenza che anche i cristiani in alcuni momenti hanno vissuto. Distanza tra le parole di pace e di amore custodite nel vangelo in nome del Creatore e Padre di tutti gli uomini e fatti che sembrano smentirle. Una situazione che si presenta anche ai tempi di Gesù e dalla quale egli mette in guardia per non correre il rischio di scribi e farisei accusati di occupare una cattedra importante - quella di Mosè – dalla quale però la parola esce indebolita dall’incoerenza. Quali sono le contraddizioni dei farisei?

1.    Dicono e non fanno. Ai pronunciamenti non corrisponde l’azione, la vita. È quello che talvolta avviene nell’educazione di un figlio: gli diamo per la vita indicazioni che non vedono la stessa adesione da parte nostra. Tra queste anche le indicazioni della fede, col rischio che un ragazzo le segua fino a quando all’osservanza del bambino sulla base dell’autorevolezza dei genitori non subentri la verifica dell’adolescenza in cui le scelte non avvengono perché l’ha detto qualcuno ma per la loro consistenza e per l’effettiva possibilità di essere raccolte e adoperate nella vita. Questo però non significa che le parole non siano importanti. Gesù non invita i farisei al silenzio e neppure i discepoli a non prestare ascolto. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono. Le parole non possono sempre corrispondere ai fatti: esse si dicono talvolta proprio per intuire nuovi orizzonti, nuovi appelli. Altrimenti navighiamo verso un’altra deriva, quella di chi rinuncia a dire alcunché perché le parole sono difficili da applicare alla vita. Pensate per esempio a quando ci troviamo di fronte a comportamenti moralmente discutibili di qualche personaggio. Mentre qualcuno si scandalizza qualche altro sostiene che nessuno può fare la morale. E se qualcuno si azzarda ecco che vengono riesumati i suoi scheletri dall’armadio. La parola non va taciuta, ma la parola deve trovare la forza della partecipazione perché la parola non è mai disgiungibile dall’uomo. Io sono anche le mie parole e se il resto della vita non corrisponde alle parole c’è qualcosa in me che mi nasconde o che rimane nascosto.

2.    Altra incoerenza corrisponde alla portata dell’impegno e alla condivisione di responsabilità. Legano pesanti fardelli che loro non muovono neppure con un dito. Scribi e farisei sono l’espressione di un onere gravoso che però ricade solamente sugli altri. Si potrebbero fare varie osservazioni su questo tempo di crisi e sugli oneri che ne derivano per le parti sociali. Tutti portano il fardello? Art. 31 della costituzione: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose». L’esperienza sembra dire invece che le famiglie più numerose siano le più penalizzate. Proprio questa componente sociale che ringiovanisce il Paese e pensa al suo futuro in realtà è gravata come ogni altro nucleo familiare. E non c’è alcuna tutela quando intervengono licenziamenti, che sia un single o che sia un padre di quattro figli piccoli. I fardelli che – come si ribadisce – tutti in questo tempo dobbiamo portare, non sono certo gli stessi. Ma il fardello qualche volta è all’interno della famiglia stessa e riguarda la divisione dei compiti e delle responsabilità. L’attenzione ai figli o ai genitori anziani, la cura della casa, la custodia delle relazioni di coppia e di famiglia: chi se ne occupa? A volte c’è una delega irresponsabile che ci rende un po’ farisei, scaricando sugli altri quello che noi non tocchiamo neppure con un dito.

3.    E infine c’è un’incoerenza che non riguarda solo le parole, ma anche le opere: Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente… per i primi posti, i saluti sulle piazze. Le opere non sempre esprimono convinzione credente. A volte esse sono legate alla ricerca dell’apparenza, alla facciata della vita. Riapre il Bolshioi e non puoi mancare sul palcoscenico mediatico. Non stai cercando le opere, ma te stesso, la tua visibilità. A volte può capitare anche in certe situazioni familiari nelle quali qualcuno ha bisogno di apparire. E non solo gli adolescenti. Anche genitori che per non perdere la stima dei figli appaiono sempre accondiscendenti alle loro richieste. O il coniuge che deve apparire sempre piacevole agli occhi degli amici e interpreta la parte del simpatico, dell’elegante, dell’erudito condizionando pesantemente l’altro che vive alla sua ombra sobbarcandosi altri oneri familiari. Ma di cosa hai bisogno? Chi sei veramente? La grandezza che Gesù indica è quella di chi si mette a servizio non quella di chi mette gli altri a proprio servizio. È quella di Paolo che scrive ai Tessalonicesi: Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre… Come una madre, non come una comparsa o uno stuntman. Ci sono tre livelli da mettere insieme: le parole, i gesti e le intenzioni. Solo così la coerenza diviene piena e il vangelo credibile. E sulla grande piazza delle religioni forse potremo rivelare un po’ di più il solo Maestro e l’unico Padre, quello dei cieli.

venerdì 28 ottobre 2011

Omelia 23 ottobre 2011

Trentesima domenica del T. O.

A cinquant’anni dall’inizio del Concilio, papa Benedetto ha proclamato per ottobre 2012 l’indizione dell’Anno della fede. Che ne abbiamo fatto della fede? Questa GMM ci pone ancora una volta di fronte all’esigenza di rendere ragione di quel tesoro di convinzioni e di esperienze che sostiene la nostra vita. La domanda è resa più viva da una decisa scristianizzazione che sta attraversando il continente europeo. In questi giorni ero a Varese a un colloquio internazionale sulla situazione della catechesi e ci facevano riflettere la facilità con cui si perde ogni riferimento religioso e anche quella con cui si passa dall’uno all’altro. In Germania ogni anno diverse migliaia di cristiani aderiscono all’Islam non solo a motivo di matrimoni, ma anche attratti da un’esperienza religiosa che sembra più interessante di quella cristiana: per un certo mistero che porta con sé, per la cultura dei paesi nei quali si è diffusa, per la convinzione dei suoi membri. Mi chiedo se a fronte di questa perdita di interesse non ci sia la mancata comprensione di quanto ci appartiene. Già. Cosa ci appartiene? Qual è il nocciolo della nostra fede. Il vangelo di oggi ci aiuta a ritrovare questa strada. Maestro, nella Legge qual è il grande comandamento?

1.    La risposta di Gesù è nella direzione dell’amore. Amerai il Signore tuo Dio… Amerai il tuo prossimo. Il cristiano si inserisce in una tradizione di fede nella quale l’amore è il principio unificante. E quando si dice amore si dice l’esistenza di un incontro e di un rapporto interpersonale. Se pensi che il cristianesimo sia un insieme di convinzioni, di riflessioni tutto il resto della vita rimane escluso dalla fede. Se pensi che sia una prassi, un operare, un darsi da fare, rischi di non capire perché lo stai facendo. O per chi lo stai facendo. L’amore cristiano non è una massima che illustra bei sentimenti.. Ha sempre un complemento oggetto: amerai il …Signore …il prossimo. Perché? Perché il cristianesimo è persuaso che unicamente stabilendo dei rapporti l’uomo sta in piedi. Quando si isola, quando pretende di diventare autosufficiente, sedotto dalle cose o dalle idee o anche dal distacco da tutto e da tutti, l’uomo in realtà ha già perso se stesso. Il grande comandamento è amore, perché l’amore ti consente di capire che tu da solo non vai da nessuna parte e hai bisogno dell’altro. Chi è quest’altro da amare?

2.    L’altro, dice Gesù, è anzitutto Dio. Da accogliere con il coinvolgimento dell’intera esistenza e di ciò che la compone. Con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Non è l’indicazione di uno sforzo volontaristico, quanto piuttosto di una misura da custodire. Se hai scoperto che è l’amore che ti tiene in piedi come uomo, vedi di non ridurlo mai. Dio ti consente di ricordare queste misure, di esercitarle perché non vengano liofilizzate. Con tutto il cuore. Fa’ in modo che nei tuoi sentimenti trovi spazio un legame vero, il desiderio dell’incontro e della festa, il perdono, la generosità. Un amore se non ha tutto il cuore diventa una società per azioni, un condominio. Con tutta la tua anima. L’anima è ciò che ti anima, le tue passioni, i tuoi desideri di bene, di realizzazione, di felicità. Porta quello che ti sta a cuore nelle misure di Dio, nei suoi progetti: supera la funzionalità, il tornaconto, il benessere e pensa al bene tuo e dell’umanità. Con tutta la mente. È l’amore che diviene intelligenza aperta e disponibile, per andare più a fondo, più lontano. Pensate alla questione Dio: proprio il pensarlo consente ai nostri pensieri di esercitarsi, di non chiudersi. Ma solo se pensiamo con amore i pensieri trovano una via d’uscita. Perché l’amore non ti conduce di fronte a un rebus o a un enigma, ma di fronte che nell’amore si dona.

3.    E poi l’amore del prossimo. Amerai il tuo prossimo come te stesso. L’amore verso Dio consente di ritrovare l’amore vero, non i surrogati. L’amore verso il prossimo consente di ritrovare se stessi. Amare l’altro come se stessi non vuol dire semplicemente trasferire la cura che abbiamo di noi all’altro ma vuol dire fare dell’altro la possibilità per ritrovarci per quello che veramente siamo. Pensate alla tragica pagina che ha messo fine alla vicenda di Gheddafi. Un uomo che ha perso gli altri e ha perso se stesso. Ma il modo in cui è stato ucciso, il modo torbido con cui le scene della sua esecuzione ci vengono proposte non dice che c’è un altro uomo che sta perdendo se stesso? La ragione non può mai essere allontanata dalla pietà perché c’è il rischio che possa diventare ostaggio di tiranni più grandi di quelli che si vorrebbero eliminare: i tiranni dell’odio, del rancore, della vendetta della giustizia sommaria, come quella di un diciottenne che si improvvisa giustiziere.

Ecco il cristianesimo. Si inserisce nei circuiti dell’amore e li vive non solo sull’indicazione di questi comandamenti ma secondo il comandamento di Gesù: come io ho amato voi. Continuiamo ad affermare questo, nonostante qualcuno ci abbandoni, convinti che è quello che dobbiamo offrire al mondo e che sia questa testimonianza d’amore l’autentica Giornata Missionaria Mondiale.

domenica 16 ottobre 2011

Omelia 16 ottobre 2011

Domenica ventinovesima del T. O.

Caro direttore, ieri ho fatto eseguire una piccola riparazione in casa. Il tecnico mi presenta il conto : euro 286,50, con Iva 346,67 e aggiunge: «Se non le serve la fattura facciamo 270» che possiamo tirare a 260 (sconto del 9% sull’imponibile). Considerato che nell’anno scorso ho contribuito alle casse dello Stato, solo di Irpef, con 31.530,00 euro, mi chiedo se sia lecito cercare di risparmiare qualche spicciolo senza sentirsi corresponsabili del «parassita della società», come lo definisce la pubblicità ministeriale. (Da Avvenire di questa settimana)
La questione delle tasse è un terreno insidioso dove si accendono gli animi umani e anche individui con gli intenti più virtuosi cercano vie di fuga. La situazione non era diversa ai tempi di Gesù. Anzi qualcuno gli sottopone una questione fiscale sperando di coglierlo in fallo e di trovare un capo d’accusa contro di lui.

1.    Un primo aspetto su cui riflettere è proprio l’insidia. Notiamo che ci sono i farisei e gli erodiani. I farisei erano il partito dei pii, delle persone religiose, e detestavano i romani che vedevano come il male assoluto. Gli erodiani erano il partito che sosteneva la stirpe degli Erodi ed erano
collaborazionisti di Roma. Ebbene tra farisei ed erodiani c’era un odio mortale, ma ora hanno un nemico comune: Gesù. E va eliminato. E notate anche il tono mellifluo con cui la questione è introdotta: «Maestro, sappiamo che sei veritiero, non guardi in faccia a nessuno, insegni la via di Dio». Come dire: vediamo come te la cavi con le tue credenziali, sul terreno scivoloso della vita reale. A volte il senso di responsabilità di fronte ad un ordinamento civile incontra e si scontra con alleanze mortali, anche tra le persone più pie. Il vangelo viene dimenticato ci alleiamo a una legge non scritta che sovverte le convinzioni più solide. Non si tratta di innocenti sotterfugi. A volte una cattiva educazione civica e un vuoto morale impediscono di individuare il bene comune. Il benessere individuale prende il sopravvento e non comprendiamo che la ricerca dell’immediato vantaggio non è separabile dalla paziente individuazione di un interesse generale che appartiene a un gruppo umano. Gesù non si lascia catturare e chiede una moneta. Gli presentarono un denaro. Gesù è nel tempio e quella moneta impura non doveva neppure entrare nel luogo santo. Eppure esce dalle tasche dei presenti con una certa facilità. Gesù sta già facendo capire qual è il vero dio che regola la vita. Un rischio per l’uomo di ogni tempo: la moneta in tasca mia, subito, a scapito del bene di tutti.

2.    Gesù però fa osservare la moneta: «Questa immagine e l’iscrizione di chi sono?». «Di Cesare». E per Cesare, massimo rispetto da parte di Gesù: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare». Cesare rappresenta l’ordinamento di uno stato rispetto al quale non si tratta di dare, ma di rendere. Rendere perché hai ricevuto: dal suolo, alle relazioni, ai servizi, a quelli che prima di te hanno dato forma a ciò che costituisce l’identità di un paese. Rendi anche il tuo contributo. E ciò che si rende può prendere la forma delle imposte, come gesto di responsabilità di fronte ad un patrimonio da custodire perché continui ad essere ricchezza per me e per altri, oggi e domani. Ma c’è anche una restituzione a Cesare nella forma della consapevolezza che quello stesso stato dovrà mantenere per ritrovare se stesso. Rendere a Cesare ciò che gli appartiene non è solo questione economica ma anche identitaria. Perché non ogni sistema fiscale è equo e anche Cesare può perdere se stesso e il senso del bene comune. I due movimenti però vanno mantenuti insieme. Né sudditanza servile a Cesare, né semplicemente indignados. Pensate per esempio alla questione dell’evasione. Da più parti si sta riflettendo se essa non sia frutto di un sistema che punta unicamente a sanzionare colui che non paga che a premiare il contribuente onesto. Se tu credi che l’altro sia un potenziale evasore, l’altro sarà un evasore! Se io avessi ad esempio la possibilità di scalare dalle tasse l’Iva che pago al tecnico che chiamo, ecco che forse certe contrattazioni clandestine potrebbero essere superate e l’evasione del professionista sarebbe smascherata.

3.    C’è un’ultima esigenza che Gesù aggiunge. Non basta Cesare: occorre anche restituire a Dio ciò che gli appartiene. Se nella moneta c’è l’effige dell’imperatore, c’è anche una moneta con un altro conio. Quella dell’uomo che reca con sé l’immagine di Dio. Allora ogni questione fiscale o economica deve trovare quest’altro riferimento: la salvaguardia dell’uomo, la sua restituzione a colui di cui è immagine. Questa misura economica mi aiuta a custodire l’uomo o mi porta a perderlo? Una politica fiscale che non tiene conto della famiglia, delle possibilità legate alla nascita e alla crescita di un figlio dove ci porta? Di quel figlio ne avrà bisogno anche Cesare. Una politica che non affronta la questione del disagio e taglia fondi destinati all’assistenza, che paese produce? Una società che pensa di cancellare i segni della crisi cancellando i poveri? Bisogna rendere a Dio il suo progetto, quello che intercetta anche logiche di solidarietà che non solo danno a Dio ciò che gli appartiene ma rendono più credibile Cesare stesso, aperto a un progetto del quale anch’egli è parte e servitore. È la strada delle corresponsabilità che Gesù indica e che ancora siamo invitai a percorrere, non solo indignandosi ma anche giocandosi con responsabilità.

sabato 15 ottobre 2011

Domenica 9 ottobre 2011

Ventottesima domenica dl T.O.

Le parole del papa nel recente viaggio a Friburgo hanno col­pito molti, compresi coloro di cui parlava. «Agnostici, che a motivo della questione su Dio non trovano pace; persone che soffrono a causa dei nostri peccati e hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli di routine, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l'ap­parato, senza che il loro cuore sia toccato dalla fede».
Chi è vicino a Dio e chi è lontano? La parabola che abbiamo ascoltato ci fa capire che c’è un invito rivolto inizialmente a qualcuno che oppone un rifiuto. Non se ne curarono e anda­rono chi al proprio campo, chi ai propri affari. Ma Dio non si arrende e ricomincia da un’altra parte: «Andate ora ai crocic­chi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». Chi è quell’invitato che trova posto al banchetto? L’agnostico a scapito del credente? Gente religiosa a scapito del cristiano? Non è così facile la divisione, perché se c’è una distanza tra chi rifiuta l’invito e chi vi aderisce, ve n’è una an­che tra chi vi partecipa e chi si dimentica l’abito nuziale. Cer­chiamo di capire chi attende il Signore.

1.    Dio desidera innanzitutto che l’uomo capisca che l’incontro con lui è una festa e nella festa viva la sua esistenza. E non solo in corrispondenza ad alcuni appuntamenti cri­stiani: festa sempre. Come diceva Paolo: sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Posso trasformare ogni istante della vita in una festa. A volte mi pare che facciamo di tutto per renderci la vita tutt’altro che una festa: o perché pensiamo che la festa non esista o perché riteniamo corrisponda a una certa idea che non è quella di Dio. Mi vengono in mente alcune vi­cende familiari. Uno ha una passione o un’attività e quella diviene l’orizzonte interpretativo dell’intera esistenza, sua e degli altri membri della famiglia. È un morbo che colpisce soprattutto gli uomini. Lavoro che ti assorbe e ti isola dalla famiglia con la quale perdi i contatti reali. Oppure un inte­resse, un hobby che condiziona pesantemente gli altri che non ne possono più dei tuoi discorsi, dei tuoi libri, delle tue corse in bici, della tua raccolta di pietre e minerali che in­vadono la casa. La festa che Dio ha in mente deve sempre custodire l’uomo in tutte le sue dimensioni, specialmente nelle relazioni con gli altri. Altrimenti la festa diviene un inferno. Tu vai dietro alla barca e tua moglie va dietro a un altro. E neppure te ne accorgi. Tu hai il lavoro per far fronte al mantenimento e al futuro di un figlio ma ti dimen­tichi che tuo figlio ha bisogno di un padre che sappia dirgli come ci si muove nella vita e non solo in un’azienda, che sia costruttore di senso e non solo di bulloni. La festa è relazione non autocom-piacimento e se dimentichi l’incontro diventi come gli invitati scortesi, presi dal proprio campo e dai propri affari.

2.    Di fronte agli ospiti che rifiutano l’invito, Dio mette in atto un comportamento alternativo e sorprendente. Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chia­mateli alle nozze. Se la festa com’era stata pensata non funziona, Dio riprende da un’altra parte. Mi pare che anche questo sia interessante perché talvolta ci ostiniamo su al­cuni meccanismi che sistematicamente vengono ripetuti e non producono alcunché. Pensate proprio alla logica del matrimonio, a com’è organizzato, a com’è vissuto. Perché quando arriva un invito a nozze la reazione è spesso si­mile a quella di una piccola tragedia che si consuma? Non ci piace la lunghezza di un ricevimento, non ci piacciono alcuni rituali, non ci va di spendere soldi per vestito e per regali. Ma siamo macinati da un meccanismo per il quale fare scelte diverse diviene rischioso. Perché devi rispon­dere ad attese di genitori e parenti, non devi essere di meno di qualcun altro, devi poter invitare il tale che non si sa mai... E devi investire un piccolo capitale, talvolta nep­pure piccolo. E se Dio ci desse appuntamento nei crocic­chi? Se cominciassimo a porre dei segnali differenti nella direzione della sobrietà e della solidarietà? Forse dalla cornice riusciremo a trovare il soggetto: gli sposi, il loro amore. E forse il nostro banchetto sarebbe un po’ più autentico. Ci si può ricordare ad esempio che lo spreco, riso beneaugurante compreso, è tutt’altro che un augurio: è la voce dei poveri del mondo che di riso non ne hanno neppure un pugno al giorno. Vai ai crocicchi e riparti. Da lì ricomincia la festa di Dio.

3.    C’è una terza tappa e riguarda l’abito nuziale. A quel tale che si è introdotto alla festa senz’abito il padrone ricorda la necessità di riconoscere quanto sta vivendo indossando un vestito diverso. Ma habitus in latino prima del vestito indica l’atteggiamento, il modo di essere. Che uomo sei? Ed è proprio per questo che in occasione del battesimo il cristiano riceve una veste: ti sei rivestito di Cristo. Gli at­teggiamenti da assumere sono i suoi. Noi ci cambiamo d’abito in ogni circostanza ma dentro rischiamo di essere sempre un po’ “casual”: casualità, fai da te, viene come viene. Prova a vestirti un po’ di più di vangelo e forse quella festa che cerchi può iniziare. Può iniziare a casa tua, può accompagnare alcune circostanze della vita, può dare agli altri un segnale che la festa raggiunge anche loro. Non perché prendono il tuo posto ma perché tu diventi il posto in cui prende forma una vita altra. Nella festa, appunto. Tua e di tutti.

giovedì 6 ottobre 2011

Omelia 2 ottobre 2011

Ventisettesima Domenica del T. O.

Siamo ancora una volta nella vigna dove si incrociano e si scontrano due logiche: una legata al proprietario che cura la sua vigna, la protegge, ne attende il frutto. L’altra legata ai vignaioli che vogliono mettere le mani sull’appezzamento, gestirlo autonomamente e impossessarsi del raccolto. Essi reagiscono con violenza ad ogni tentativo del padrone di intervenire nella sua vigna fino a mettere a morte il figlio: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Gesù sta parlando ancora una volta ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo e l’accusa nei loro confronti non è per nulla velata. Sono loro i contadini cui Dio ha affidato la sua vigna, tradendo però il contratto e inserendo altri criteri che non erano quelli originari. A nulla è valso l’intervento di Dio attraverso i profeti né quello mediante il proprio Figlio Gesù, cacciato fuori della vigna e ucciso.
Qual è la colpa che Gesù denuncia? È quella di aver ridotto la fede a sistema, di averla privata di Dio e della sua presenza, di averla snaturata e barattata con altro.

1.    Il rischio accompagna non solo i capi dei sacerdoti e i farisei, ma il cristianesimo di ogni tempo. Può diventare un sistema. E i problemi possono essere interni al sistema stesso o in chi lo accosta cercando di mantenere alcune opportunità. Pensate ad esempio alla ricerca del “catechismo conveniente”: perché se devo fare la cresima in terza media devo fare catechismo dalla prima? E allora genitori che astutamente tengono a casa i figli mandandoli solo in prossimità del sacramento. Ma il catechismo è un corso o un’opportunità di crescita, di appartenenza ad una comunità? Il riferimento ad una parrocchia è un optional generico o una relazione da vivere nella fede? Ma pensate all’intervento del card. Bagnasco nei giorni scorsi e al forte richiamo rivolto alla moralità sociale e politica: «Bisogna purificare l'aria, perché le nuove generazioni, crescendo, non restino avvelenate». Di fronte a queste parole c’è stata qualche reazione scomposta come quella di chi ha invitato la chiesa a pensare alle questioni dell’altare e a dire qualche messa in più. Ecco un altro sistema che può far comodo: un cristianesimo che si limiti a dire messa. Come se la messa non dovesse liberare energia profetica nella vita. Che cristianesimo stai cercando? Ti stanno a cuore Dio e il suo regno o l’idea che ti sei fatto di lui?

2.    Gesù però ci conduce ad una maggior profondità di analisi. Facendo del cristianesimo un sistema non c’è una semplice legittimazione di un modo di fare più conve-niente. C’è un giudizio sul cristianesimo stesso che ne fa una “pietra scartata dai costruttori”. Il giudizio è quello dell’inutilizzabilità. È inutilizzabile mediaticamente: le notizie che lo riguardano sono quelle scandalistiche o quelle della contrapposizione. È inutilizzabile anche linguisticamente, dato che l’emittente inglese Bbc d'ora in poi non darà più le date del giorno o dei fatti nominando Cristo. Niente "dopo" e niente "avanti": si dirà "common era". È inutilizzabile culturalmente perché dà l’idea di qualcosa che sa di sacrestia mentre la cultura odierna rivendica libertà di pensiero. Ricordate quando tra i banchi del parlamento è stata eletta Cicciolina? Si trattava di una battaglia di libertà. Adesso che va in pensione con tremila euro al mese ci rendiamo conto che quella libertà non era la nostra. I criteri cristiani oggi sembrano inutilizzabili. Ma questa è una bella cosa, perché vuol dire che non ci siamo venduti né abbiamo venduto il vangelo. Una pietra su questo sistema è destinata a crollare nella rovina di una modernità che vende l’ambiguità come verità e il vuoto come garanzia della libertà. Ma la pietra non va perduta perché Dio la colloca altrove, a sostegno di un altro assetto sociale.

3.    In questi giorni c’è a Treviso la Settimana Sociale sulla fi­gura di Giuseppe Toniolo, un economista cristiano vis-suto nel secolo scorso il cui pensiero però è di una straordinaria attualità e riguarda la dimensione etica dell’economia, pa­rola che fino a qualche tempo fa sembrava “scartata dai costruttori” della finanza mondiale. Adesso ci si rende conto che così non funziona e si insiste su un risparmio etico, su principi della responsabilità e della solidarietà… Erano i principi con cui nel medioevo il movimento france­scano sosteneva la nascita dei monti di pietà e delle ban­che. Principi perduti e con i quali il mondo capisce che deve tornare a misurarsi per il bene della stessa econo­mia. E non solo il mondo, ma anche chi lo abita, iniziando ad esempio a chiedersi di che banca ci si serve e che obiettivi persegue, come usa i tuoi soldi, come ne fa stru­mento di promozione sociale. Ecco, la pietra che inizia a costruire e a sorreggere qualcosa di diverso. Qualcosa di cui puoi dire: Una meraviglia ai nostri occhi. È anche il ti­tolo della lettera pastorale del nostro vescovo con la quale sollecita quest’anno la fede di cristiani adulti in una chiesa adulta. Ma non solo per la chiesa: per il mondo. Perché stia in piedi e perché ci si possa credere ancora.