venerdì 23 ottobre 2020

Omelia esequie Michele Baù

 

Michele Baù (esequie 23 ottobre 2020)

(Rm 5,5-11 / Lc 7,11-17)

Ci piacerebbe che Gesù oggi incrociasse anche questo nostro funerale, come si è avvicinato al corteo alle porte di Nain, a quella donna che accompagnava il proprio figlio morto. Ci piacerebbe che prendesse la mano di Michele e gli dicesse: Dai, alzati. Invece ci troviamo a misurarci con il nostro dolore, il nostro carico di inquietudine e tante domande che rimbalzano nel cuore della mamma di Michele, della sua famiglia, dei suoi amici e di tutti noi. In questa morte sentiamo che qualcosa non solo ci addolora, ma ci provoca e ci chiede conto di noi stessi e degli altri, di come viviamo la vita e di come custodiamo quella di chi ci è affidato. Perché non sempre andrà tutto bene, anche se lo scriviamo sui davanzali, non sempre ci siamo, non sempre siamo alleati del meglio. La morte di un ragazzo, di un figlio, di un amico è l’occasione per riprendere in mano i nostri giorni e le nostre scelte, per riagganciare la vita alle cose importanti, per affidare i nostri passi incerti a colui che ci libera dal male e dalla morte, anche quando la morte non è solo quella dell’altro ma quella che imprigiona il nostro cuore. Raggiungiamo quel villaggio dell’alta Galilea di nome Nain e lasciamo che Gesù si avvicini e ci suggerisca parole di speranza e di vita.

1.    Anzitutto c’è un figlio, un figlio unico. È così che ci guarda Dio ed così che dovremmo guardare a noi stessi e agli altri. Sei unico e sei straordinario. Michele era stato arricchito di tanti doni: un bel ragazzo, coinvolgente, sportivo, sensibile, capace di riflessione e di profondità. Poteva liberare una straordinaria bellezza e un po' l'ha fatto. Poi la vita è cambiata: è diventata faticosa, ribelle, segnata da incomprensioni, vuoto, situazioni che era meglio evitare. Un po’ il contesto in cui si è trovato a vivere, un po’ la sua fragilità, la malattia che col tempo si è impossessata di lui. Un po’ anche le proposte da cui si è lasciato catturare,  le scelte non sempre adeguate, i rimedi non sempre efficaci che gli sono stati offerti. Questo non è il processo di Michele. Non ne ha bisogno e non spetta a noi. Ma in questa circostanza possiamo chiederci se siamo custodi della nostra irripetibilità, del dono che ci appartiene, se come chiesa e come società guardiamo ad ogni ragazzo che viene al mondo, come ad un figlio unico, prezioso e mai replicabile. Guarda di non lasciarti clonare, attento a chi disperde la ricchezza che ti appartiene, sta in guardia a chi promette e non mantiene. Occhio ai venditori di fumo, non solo per modo di dire. Sei originale, non morire fotocopia (Carlo Acutis), men che meno brutta copia.

2.    Ma, mentre questo figlio viene portato al sepolcro, Gesù si accosta, pieno di compassione. Ecco penso che Gesù oggi guardi Michele così: pieno di compassione. E con la stessa compassione guardi a sua madre, a suo zio, a tutti noi. La compassione è il giudizio di Dio, l'unico giudizio. Noi quando guardiamo certe situazioni, forse anche quando abbiamo incontrato Michele e quelli che un po’ gli assomigliano, quando abbiamo incontrato la sua famiglia, non abbiamo avuto sempre compassione. Ci siamo lanciati nei giudizi, ci siamo spregiudicatamente schierati da un’altra parte, abbiamo evocato interventi drastici e punitivi. Così impari, così si fa! Ci siamo dimenticati di chi è Dio e ci siamo dimenticati di chi siamo anche noi. Perché ognuno di noi porta ferite con sé, ognuno porta fragilità, colpe, peccati. A volte solo meglio nascosti. A questa umanità sofferente Gesù dona la medicina della compassione, forse quella che ci ha portato in chiesa quest'oggi e quella con cui ci manda a guarire il mondo. Ceto, non essere superficiale, sta attento a quello che accade, accertati sulle responsabilità, chiama il male per nome, denuncia se occorre, ma ricorda che i grandi cambiamenti degli individui e della società non li producono giudizi e condanne, ma la misericordia, il perdono e la fiducia sull’uomo. Anche per quell’uomo che sei tu. Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Compassione e misericordia. Cristo è morto così.

3.    Infine Gesù si avvicina: Accostatosi, toccò la bara. Avvicinarsi e toccare, due verbi pieni di prossimità nella quale Dio si fa presente e genera vita. Forse Gesù oggi ci dice la stessa cosa: avvicinati, tocca! Porta un po’ della vita di Dio, di quello che lui sogna, di quello che segretamente suggerisce ai suoi figli. Portalo ai ragazzi, come Michele, perché non si arrendano mai, perché non siano sopraffatti dal male e non ne siano sedotti. Ma portalo anche come l’ha fatto Michele, perché, a dispetto della drammatica e sconsiderata sua scelta di togliersi la vita, lui cercava e difendeva la vita, ma una vita vera, sottratta ad ogni schiavitù e agli sconti. Basta leggere i suoi post su fb per riconoscervi il legame intenso con l’Africa, terra alla quale sapeva di appartenere e rispetto al cui sfruttamento non si rassegnava, per i migranti nelle cui tragedie si sentiva coinvolto, per i malati come lui nelle cui storie c’era a volte la latitanza di chi avrebbe dovuto aiutare e l’inefficacia delle soluzioni. "lo faccio perché ho il terrore di finire ancora legato ad un letto, lo faccio perché non mi va più di chiedere per qualunque cosa, lo faccio perché ho una dignità". Michele se ne va, se ne va in un modo che non avremmo voluto, ma se ne va lasciandoci un messaggio di verità e di vita, perché mettiamo mano, come Gesù, alle bare di questo nostro tempo e liberiamo speranza, autenticità, riscatto. «Giovinetto, dico a te, alzati!». Che Michele possa alzarsi alla vita di Dio e che possiamo alzarci anche noi a difenderla e a liberarla.