venerdì 30 settembre 2016

Funerale Maurizio Fantasia


Funerale Maurizio Fantasia (26 settembre 2016)

Sap 3,1-9 Lc 12, 35-40

Quando la morte giunge inattesa, come è capitato a Maurizio, avvertiamo in modo ancora più intenso la nostra fragilità e la nostra provvisorietà. E avvertiamo che le parole di Gesù non hanno età e continuamente ci mettono in guardia dalla superficialità con cui talvolta conduciamo la vita. State pronti, con le cinture ai fianchi e le lucerne accese. Siate simili a coloro che aspettano il padrone. Non siamo noi i padroni della vita. Il padrone è un altro. Noi siamo gli amministratori di un dono che ci è stato fatto e del quale ci è chiesto conto. E il conto che ci viene presentato ha un’unica voce: amore. Quanto amore hai messo nelle cose che ti sono state affidate. Il padrone infatti non è un despota dal volto minaccioso, ma il Dio dell’amore che proprio in tale esperienza ci invita a giocare la vita. Maurizio lo aveva capito, con la sua semplicità e con i suoi limiti, orientando l'amore su tre particolari prospettive: la dedizione agli altri, la passione educativa, la mitezza.

1.   Maurizio da piccolo aveva conosciuta la povertà: la sua famiglia non aveva grandi risorse, ma aveva una grande coesione: «L’unione fa la forza», ripetevano suo padre e sua madre. E lui era cresciuto con questa convinzione, assistendo i suoi genitori sino alla fine e prendendosi cura dei suoi fratelli ogni volta che ne avevano necessità. Anteponeva i bisogni degli altri ai propri, anche quando qualcuno gli diceva di badare un po’ a se stesso e alla salute. Se gli si chiedeva un piacere la disponibilità era sicura, senza esitazioni. In questi ultimi anni non lo si vedeva più a messa come un tempo, ma non aveva perso i contatti con il comandamento dell’amore, l’unica legge di fronte alla quale alla fine saremo giudicati. Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Ecco una preziosa eredità, che Maurizio ci lascia. Se la perdiamo di vista, della nostra vita rimane ben poco.

2.   Maurizio portava con sé anche una certa passione educativa. L’aveva coltivata facendo per tanti anni l’animatore in parrocchia e poi l’aveva trasferita nella scuola dove operava come tecnico di laboratorio da oltre quarant'anni. Era appassionato del suo lavoro che viveva con precisione e senso di responsabilità. Con i ragazzi era un finto burbero, capace di dosare rispetto e affabilità. Maurizio ci lascia a suo modo la personale testimonianza di buona scuola, dove nessuno può esserci solo per uno stipendio. C’è in gioco il futuro, la trasmissione dei saperi e dei valori, le conoscenze e il senso che la vita ci dischiude. Le giovani generazioni erano nella mente e nel cuore di Maurizio: che vita stai suggerendo? Che vita stai inseguendo? Non ti soffocare nella breve scena di questo mondo: c'è di più di ciò che vedi. Ci sono tracce di mistero che percorrono i giorni e non è impossibile vederle. Scruta, interroga, non ti arrendere: non ci sta tutto in una provetta...
3.   Infine Maurizio aveva connotato l’amore con la mitezza. Sabato sera una persona in ospedale, mentre mi raccontava di Maurizio, mi ha detto: «Puoi dire che era come il pane; l’uomo più buono della terra». Mai reazioni indispettite, mai cattiveria, invidia, tantomeno la collera. Preferiva farsi da parte e tacere, anche quando aveva ragione. Maurizio appartiene a quelle anime dei giusti che sono nelle mani di Dio, quelle che gli occhi del mondo guardano con sufficienza e qualche compatimento mentre Dio affida loro la costruzione di quel regno che ha in mente. Non è l’arroganza che apre i cieli, ma la mitezza e, se anche altre logiche sembrano vincenti, è solo la bontà che dischiude l’eterno. Maurizio è stato un uomo buono che non ha perso di vista il vangelo ed appartiene a coloro che in cambio di una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé. Raccogliamo  la testimonianza che oggi ci viene consegnata. Il Signore risorto non perde niente di quello che costruiamo nell'amore: nell'amore di Gesù risorto Maurizio possa trovare accoglienza, sperimentare misericordia, partecipare alla vita che non ha fine.



Omelia funerale Neda Volpato in Baù


Neda Volpato in Baù (27 settembre 2016)

Ap 21,1-7 - Lc 2,22,32

Un prete incrocia molte situazioni credenti: fede accesa, fede tiepida, fede ribelle, fede spenta. Neda è una delle situazioni in cui il prete fa i conti con la propria fede e si rende conto di essere preso parecchio indietro. Perché quando domenica pomeriggio sono stato a celebrare l’unzione degli infermi in casa di Neda, l’accoglienza era quella delle grandi occasioni e per lei non c’era niente di meglio, in quel momento, che poter accogliere il Signore e stare con lui. E mi è venuto spontaneo ad un certo punto, tra letture e preghiere, chiederle: «Neda, vuole dire lei ora qualcosa?». E senza alcun imbarazzo ha cominciato a dire che quel momento era quanto di più bello le potesse capitare, che era contenta di quel regalo e che era contenta che accanto a lei ci fossero tutti i suoi famigliari. Noi avevamo il nodo in gola, ma lei sorrideva e sembrava che i suoi occhi vedessero di più dei nostri. Ecco, Neda mi fa venire in mente il vecchio Simeone: Ora lascia, Signore, che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza. La fede è questa: vedere oltre i limiti del mondo, degli eventi, di quello che capiamo e di quello che ci sembra possibile. È vedere Dio anche nelle situazioni impensabili, anche nell’esperienza della malattia.

E questo cammino non si improvvisa: ha bisogno di pazienza, di attesa, di lungimiranza che Neda ha praticato per tutta la vita. Come? Ci sono tre direttrici credenti che Neda ci lascia in eredità.

1.    La prima è la preghiera. Neda era una donna che pregava e ogni giorno macinava almeno un paio di rosari. Quando una persona ci lascia c’è spesso qualcuno che, con mani pietose, si premura di metterle la corona tra le dita. Non so se la corona stia bene in mano a tutti i morti: Neda sicuramente ne aveva diritto. A noi che passiamo da un impegno all’altro, la preghiera appare talvolta come una perdita di tempo. Il problema è proprio qui: che la preghiera è una perdita di tempo. Anzi del tempo. È la condizione che ci rende ospiti dell’eterno, che apre un varco nel mondo di Dio. Perché nutriamo così tanti dubbi sulle verità ultime della nostra fede, perché siamo scettici sulla risurrezione e sulla vita eterna, perché il paradiso e l’inferno li abbiamo relegati alla pubblicità? Perché non preghiamo più. E quando cessi di pregare, cessi di vedere l’oltre, cessi di far posto a Dio e alle sue sorprese. L’unico orizzonte diviene quello terreno e siccome non ti basta vai in confusione. Prova a fermarti. Non serve che dici cinquanta avemaria. Dinne una, ma dilla con la fiducia di chi non si rassegna alla prigionia del tempo e cerca il varco fatto di cielo.

2.    La seconda direttrice è quella dell’impegno operoso. Neda era una donna servizievole e disponibile. Undicesima di dodici fratelli, ne aveva assistiti parecchi quando erano diventati anziani. Ma le premure non erano limitate alla sua famiglia. Neda tesseva continuamente i legami di una famiglia più grande fatta di tanta gente cui dava una mano. A Godego lei e il marito erano arrivati da pochi anni. Eppure, ci fosse da fare un’iniezione o prestare un po’ di assistenza, lei c’era.  E lo faceva seminando misericordia e benevolenza, perché non si può fare del bene e diffondere chiacchiere e neppure calcare la mano con chi non si comportava troppo correttamente: «Poaretto, porta pazienza!». Edda aveva la residenza in quella città che scende dal cielo, la Gerusalemme celeste. Che non è un’utopia, ma l’accoglienza di un progetto possibile inaugurato da Gesù risorto. Il progetto di chi percorre le vie del mondo animato dalla carità.

3.    La terza direttrice è quella più impegnativa perché si inerpica sulle salite del Calvario. È quella della malattia che Edda ha vissuto con una fiducia disarmante, anche quando un po’ di domande su Dio e sul suo amore te le saresti fatte. Neda aveva un antico crocifisso in camera, un pezzo d’antiquariato che custodisce un’espressione dolcissima. E quando domenica me la fatto vedere ho capito dove dimorava questa sorella. Era lì, ai piedi della croce. E non ne faceva mistero. Non solo perché nella visibile sofferenza non si lamentava, ma perché apertamente diceva: «Nostro Signor ze morto in croze e se anca mi so cussì lu sa parchè». Qui ci fermiamo. Perché non siamo attrezzati a raggiungere queste vette. È un regalo che Dio fa a qualcuno in qualche momento. Gli altri capiscono fin là e rischiano di dire banalità. Neda ha riconosciuto il Signore anche nella morte di croce. E siccome proprio in quell’ora sta la salvezza cristiana, crediamo che il venerdì santo sia diventato pasqua di risurrezione. La affidiamo al Signore risorto al quale chiediamo di darci almeno un briciolo della fede di questa sorella.  

sabato 24 settembre 2016

Omelia 18 settembre 2016


Venticinquesima domenica del T. O.

Giovani e ricchi. È un programma mandato in onda lunedì sera da Rai 2 in cui quattro rampolli dell’alta società hanno mostrato a chi fa fatica ad uscire per mangiare la pizza come si vive nel lusso sfrenato. E così si vede una protagonista che mostra un guardaroba grande come un monolocale in cui ha sistemato duecentocinquanta paia di scarpe e a una miriade di vestiti di cui una buona parte ancora con l’etichetta e il cartellino del prezzo. Per la cagnolina Tiffany il personal chef prepara un filettino con broccoli. Del resto è un animaletto un po’ viziato. Giò invece ama le auto di lusso e gli oggetti d’oro al punto da far dorare la sua Bentley, un bolide seimila di cilindrata: «Mi è sempre piaciuto stare al centro dell’attenzione». Ecco, in televisione appare di tutto, ma ciò che sconcerta e che quel programma a notte fonda sia stato seguito da quasi un milione di persone. Italiani inebetiti che pagano il canone per raccogliere il distillato di demenza dei protagonisti del programma e di chi l’ha messo in onda.  Fa’ attenzione al sovvertimento della vita e dei suoi valori perché rischi di essere prigioniero di una grande menzogna. L’inganno della ricchezza. Gesù oggi sembra indicarci un’altra strada e l’amministratore scaltro ci insegna a individuarla.

1.    Gesù non sceglie a caso questa figura. Un amministratore. La vita funziona così: veniamo al mondo nudi e così ce ne andiamo, senza portare niente con noi. Quello che possediamo nella vita è solo amministrazione di un patrimonio che ci è affidato. A volte però le cose vanno diversamente e stabiliamo una serie di coincidenze tra ciò che siamo e ciò che abbiamo. Ci pare di valere perché abbiamo costruito una piccola fortuna personale o famigliare e ci pare che gli altri valgano per quello che possiedono, tant’è che diciamo: quello che ha il Porche, quello che ha la fabbrica, quello che ha la casa. Sotterraneamente passa un’idea: sei quello che hai! Come canta Fedez: L'iphone ha preso il posto di una parte del corpo e infatti si fa gara a chi ce l'ha più grosso. A volte questa sovrapposizione diventa così stringente da ossessionarci. E non sono solo i ragazzi con la felpa, le scarpe o il telefono, ma anche noi adulti. Tanto che se vai via con gli amici mica puoi avere una bici qualsiasi. Te ne serve una da seimila euro e allora sei qualcuno e gli altri ti guardano con rispetto. Cose che ci fanno sorridere, ma che qualche volta generano confusioni e sovvertimenti del senso della vita, negli adulti e nei ragazzi.

2.    Altro aspetto che l’amministratore scaltro ci ricorda è che l’amministrazione ad un certo punto finisce. E qualcuno te ne domanda conto. Guarda che non sei eterno e che quello che possiedi lo lasci qua. E guarda che le tue scelte non sono prive di conseguenze. Nella prima lettura Amos denuncia l’ingiustizia di chi mette il Dio denaro sopra ogni rapporto e vende il povero per un paio di sandali. A volte non abbiamo venduto il povero, ma la dignità, i valori che reggono l’esistenza, pensando che fosse unicamente il denaro a darci futuro. Nascondendoci dentro o dietro la crisi, ci siamo dimenticati di investire altrove, di distinguere ciò che passa da ciò che resta. E senza questo sforzo il denaro è diventato padrone: Non potete servire Dio e la ricchezza. In questi giorni, una donna, vedova, mi raccontava la difficile decisione che ha preso all’indomani della morte del marito. Quella di vivere con la sola reversibilità perché per lei era importante continuare a stare accanto a dei figli ancora troppo piccoli perché oltre alla perdita del padre ci fosse l’assenza della madre. Una scelta costosa dal punto di vista economico, ma che sposta il quadro interpretativo dell’esistenza e fa capire che ciò che vale non è solo quello che sottoponi al commercialista. Quando te ne andrai che cosa ricorderanno i tuoi figli di te? Che cosa ricorderà chi ti ha conosciuto?

3.    L’amministratore quando comprende che il tempo è in scadenza, chiama i debitori del padrone e modifica a loro favore i libri contabili. Prendi la tua ricevuta e scrivi cinquanta. È l’unico modo per trovare un’accoglienza in futuro. Conclude Gesù: «Guadagnatevi amici con la disonesta ricchezza, perché vi accolgano nelle dimore eterne». Ecco il punto¨ procurarsi amici che aprano le porte del cielo. Le porte del cielo si aprono per coloro che hanno trovato chiuse le porte della terra. Sono loro l’investimento da attivare. La porta santa della tua vita è un povero che hai aiutato, un profugo cui hai teso la mano, un malato che non hai dimenticato. Questi sono gli amici veri che sorreggono la vita, non quelli che ti circondano quando paghi da bere.

Quale vita accendi? Quale programma continui a vedere? Sta attento a quello che passa nella TV del mondo, perché non si tratta di assistere a una trasmissione ma di tenere in piedi la vita. Oggi e quando qualcuno te ne chiede il conto.


domenica 4 settembre 2016

Omelia 4 settembre 2016


Ventitreesima domenica del T. O.



La figura di Madre Teresa che oggi viene collocata tra i santi della chiesa è certamente quella di un testimone credibile del vangelo. Umiltà, semplicità, coerenza e una carità grandissima sono la forza della sua testimonianza che ha portato la carezza di Dio ai poveri della terra e ha interrogato i potenti del mondo. Che significa essere testimoni di Gesù? Proprio Gesù oggi ci indica alcune direttrici.

1.    Attenzione alle apparenti appartenenze. C’è parecchia gente attratta da Gesù. Lui anziché mostrare compiacimento, si volta e pone delle condizioni. Se. Il cristianesimo non si regge sulla forza dei numeri ma sull’accoglienza e sulla coerenza di una proposta. Tutti hanno accesso al Signore, nessuno escluso, ma il suo vangelo non ammette ambiguità. Lui si volta, indica un cammino da percorrere e non una festina in cui divertirsi. Fino a che punto sei disposto a giocarti? E il monito vale per tutti. Sabato sera un gruppo di ragazzi sulla strada verso Poggiana cantava in bicicletta. Niente di male fin qua. Peccato che cantasse bestemmie. Bestemmie come quelle che affollano luoghi di lavoro, campi sportivi, conversazioni al ristorante. E poi ce la prendiamo con i musulmani che arrivano in Italia e minacciano il nostro patrimonio cristiano. La minaccia più grande al cristianesimo è il cristianesimo stesso, quando viene edulcorato, svigorito, tradito da assetti religiosi che del vangelo non hanno più neanche il nome.

2.    Altra questione: gli amori della vita. Dice Gesù: Se uno viene a me e non mi ama di più… non può essere mio discepolo. Gesù non vuole mettere in contrapposizione gli amori della vita, ma vuole aprirli a una dimensione più grande, una misura che gli appartiene: fa’ in modo che in ogni amore risplenda il mio! Mentre ami tuo padre, tua madre, tuo figlio, tua moglie… cerca l’amore che viene da Dio. A volte ho l’impressione che alcuni amori famigliari abbiano perso di vista l’amore di Gesù. Ad esempio: nasce un figlio e due genitori sperimentano una bellezza d’amore che prima non conoscevano. Mentre accarezzano il loro bambino è come se sulla terra scendesse l’abbraccio di Dio. Ma può capitare che il loro amore si affievolisca, che l’intimità tra loro cominci a sparire, che l’altro inizi ad essere quasi fastidioso. E così l’amore per il figlio diviene totalizzante e inghiotte l’amore per il coniuge. Non è più l’amore di Dio, non è più il suo progetto. Così anche quando l’amore si concentra unicamente sulla propria famiglia e ti fa perdere di vista la comunità in cui vivi, la società, il mondo. La famiglia è un segno con cui Dio intende dire agli uomini che con tutti loro vuole formare una famiglia. Ma se tu perdi di vista questo respiro universale, l’amore soffoca. Lavori una vita intera per i figli, magari anche per far loro una casa vicina alla tua. E poi i tuoi figli ti salutano. Perché? Perché non era amore, ma sequestro di persona. Mai fare la casa ai fili. Sono i figli che si fanno la loro casa!

3.    Infine il discepolo di Gesù è un uomo di calcolo e di previsione. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa? Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare l’esercito? Cerca di valutare, dice Gesù quello che stai facendo e quello che sta succedendo. Perché tu non venga travolto. Pensate ad un dibattito rovente che sta accompagnando questi giorni: il fertility day programmato dal ministero della salute per il 22 settembre. Un modo con cui chi ci governa vorrebbe farci riflettere su alcune problematiche, mediche e culturali, legate alla possibilità di avere un figlio. Le reazioni: qualcuno se la prende con i cartelloni pubblicitari, perché non è certo uno slogan che ti porta a fare un figlio. Altri sostengono che sarebbe più intelligente creare condizioni strutturali per favorire gestazione e maternità: orari di lavoro adeguati, sgravi, asili, spazi per giocare. Altri ancora segnalano gli spettri dell’inverno demografico: se su mille abitanti in un paese come l’Uganda nascono una quarantina di bambini, in Italia ne nascono otto. A noi non interessa la polemica. Non possiamo però ignorare l’importanza della questione, anche a motivo del fatto che a volte non ci sono solo aspetti strutturali che impediscono la nascita di un bambino. A volte c’è un mito di perenne giovinezza che trascura l’orologio biologico e pretende risultati in un delirio di onnipotenza, a volte c’è una cultura della realizzazione dove conta di più essere manager che essere madre, a volte c’è una limitazione di prospettive dimentica che il regalo più bello da fare ad un figlio è quello di un fratello. Pensare un po’ a queste cose forse non ci fa male. Vuoi costruire che cosa? Una torre o un castello di carte? Vita cristiana vuol dire anche serietà di chi non si racconta balle e sta in piedi di fronte alla vita e a quello che capita. Che cosa tenere, a che cosa rinunciare?

I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni. Gesù ci invita a riflettere con la sua sapienza. Le strade della verità sono a volte un  po’ in salita, ma con un po’ di ascesa si vede meglio.