domenica 24 maggio 2015

Omelia 24 maggio 2015


Domenica di Pentecoste 2015

Ti manderò un bacio con il vento
e so che lo sentirai,
ti volterai senza vedermi ma io sarò lì.

È l’inizio di una poesia di Pablo Neruda ed è forse un’immagine che ci aiuta a comprendere il senso della Pentecoste. Dio ci raggiunge con un vento nuovo per portarci il suo bacio, il suo amore. Vento misterioso che mette in movimento il cuore: che non può essere catturato ma che non sfugge alla percezione: ti volterai senza vedermi ma io sarò lì. Di che vento si tratta? Del vento dello Spirito. C’è una brezza che conduce l’esistenza del cristiano ed essa porta con sé la vicinanza di Dio, la sua azione, la sua forza: Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso. Cosa produce questo vento?

1.    Produce innanzitutto apertura e coraggio, forza di uscire allo scoperto. Una comunità timorosa e chiusa in casa trova la voglia di mettersi in gioco. Io non ho paura. Ieri c’è stata la beatificazione di mons. Oscar Romero. Ebbene, è singolare che quest’uomo appena nominato arcivescovo di San Salvador non ha minimamente scosso il mondo dei potenti che lo vedeva come presenza insignificante, allineata al regime. Ma poi l’arcivescovo diviene voce dei poveri, denuncia i militari al potere, chiede giustizia. E l’uomo conosciuto come ecclesiastico “tutto dedito a studio e preghiera” esce sulle strade e sulle piazze fino ad essere ucciso da un sicario nel 1980. Ecco il vento della Pentecoste che ti desta dal torpore. Mi pare che qualche volta noi stiamo bene nelle nostre stanzette al calduccio pastorale. La nostra riunione, il nostro catechismo, il capitello… e ci dimentichiamo che il Vento ci sospinge.

2.    Il vento produce discernimento e purificazione. Ce l’ha ricordato S. Paolo parlando delle opere della carne e del frutto dello Spirito. Notate il plurale e il singolare: opere (tante), frutto (uno). La carne ti frammenta, ti divide, lo Spirito invece ti ricrea nell’unità. Come vuoi vivere la vita, frantumato o riunificato? Lascia che lo Spirito raccolga la tua vita in quell’umanità che Gesù è venuto a inaugurare. Pensate al dramma del calcio truccato con cui ci siamo confrontati ancora una volta. Per quanto veniamo da una stagione che già ci ha fatto vedere desolazione e degrado certe logiche sembrano invincibili e arrivano fin sotto casa visto che non si tratta di Serie A, ma di campionato dilettanti e Lega Pro. Che pena vedere quei portieri che fingono di lasciarsi sfuggire la palla! Uomini disgregati, mercenari consegnati a chi offre di più. È proprio la vita che lo Spirito vuole portarti a fuggire.

3.    E infine lo Spirito è vento che guida verso tutta la verità. Abbiamo bisogno di questa brezza salutare, a tanti livelli: personali, sociali, familiari, ecclesiali. I cristiani hanno incontrato la verità, ma nello stesso tempo sono in cammino verso di essa. La verità non sta in tasca: la verità ci precede. La verità è Gesù che ha sempre qualcosa di nuovo da farci capire. Pensa a che cosa vuol dire se un po’ di questo vento comincia a soffiare a casa tua: forse le tue idee non sono così granitiche come sembra, l’altro potrebbe avere un po’ di ragione. L’impostazione pastorale di una comunità: guarda che la verità non sono i campiscuola e neanche il grest e i suoi laboratori. Ma anche la vita della chiesa, la comprensione che essa ha di Gesù Cristo e del suo vangelo: cosa deve farci ancora capire Gesù? Pensate ad esempio ala questione famigliare: cosa vuole dirci il Signore su separazioni e nuove nozze? Abbiamo da capire ancora qualcosa: anche la Chiesa ha bisogno di lasciarsi condurre.

Vieni santo Spirito… Chiediamo anche a noi allo Spirito di soffiare sulla nostra vita, di suggerirci ciò che Dio tiene in serbo per noi, di darci la persuasione che, anche se non lo vediamo, Gesù ci è accanto e ci accompagna.

domenica 10 maggio 2015

Omelia 10 maggio 2015


Sesta domenica di Pasqua
 
Quanti cuori popolano il nostro quotidiano! Di ogni forma e colore ci ricordano che l’amore è l’anima dell’esistenza. Eppure la varietà delle rappresentazioni denota anche la nostra fatica a dare un volto chiaro all’amore e il rischio di attribuire ad esso significati differenti se non addirittura contraddittori: pensate alla realtà della famiglia e al modo con cui cerchiamo di identificare l’amore di due persone che danno forma a tale realtà. Anche Gesù oggi raccomanda ai discepoli di vivere nell’amore: «Rimanete nel mio amore». Di che amore si tratta?

1.    Intanto è l’amore di Gesù. Come io ho amato voi. Oggi assistiamo a tante declinazioni dell’amore o di quello che ci sembra tale. Domenica scorsa a pranzo ho avuto un’interessante discussione con un gruppo di giovani godigesi su fede e prospettive di vita. E una di loro diceva: «Io non credo in una entità superiore. Io seguo il karma. Interessante, dico. Che cos’è? «È uno stile. Rispetta gli altri, non li infastidire ed esigi che anche gli altri facciano altrettanto. E così il mondo sarà migliore». Certo, una prospettiva molto rispettosa. Ma se qui dentro ci potesse essere anche qualcosa che si chiama amore, non è certo l’amore di Gesù. L’amore di Gesù non vuol dire evitare fastidi, ma giocarsi per l’altro, donare la vita. E mi colpiva molto che sempre questa ragazza dicesse: io non darei mai la vita ad un figlio, perché questo è un gesto di egoismo. Che vita gli offrirei, in che mondo? Appunto. Un mondo dove non hai prodotto amore, ma ombelico, il tuo al quale giri intorno! E la vita che ti hanno dato i tuoi è stata un gesto di irresponsabilità? Bella festa della mamma!

2.    L’amore di Gesù non genera servi, ma amici. Qual è la differenza? Tutto quello che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. L’amore di Gesù è un amore che rende partecipi, che coinvolge attivamente, che rende consapevoli di un progetto. Dio non vuole sudditi compiacenti ma uomini appassionati di un disegno comune. E quel disegno è amore. Pensate a quello che è successo a Roma, in zona Tiburtina dove un uomo di 34 anni è stato aggredito perché il primo maggio indossava insieme ad altri una maglietta dove era rappresentata una famiglia con padre, madre e figli. Si è preso del retrogrado, del cristiano integralista e poi gli hanno strappato la maglietta, in nome della libertà per tutti. Anche noi a volte rischiamo di pensare alla realtà cristiana come al luogo della chiusura mentale, del fuori moda. Ma Dio segue le mode o l’amore? Ecco il punto: a volte il nostro amore è parziale perché non ne condividiamo la progettualità ampia, quello che Dio ha in mente. Ci interessa quello che conosciamo noi e non badiamo a quello che Gesù ci ha fatto conoscere.

3.    E infine l’amore di Gesù è un amore che dipende da lui e non da noi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi. L’amore funziona quando restituiamo a Dio la sorgente. Mi stupiscono in queste ore i commenti che i giornali ospitano in relazione all’idea di Papa Fracesco e all’Anno santo della misericordia. Vi sono dei sacerdoti cui verrà affidata la possibilità di assolvere anche da peccati particolarmente gravi, come l’aborto. Questa facoltà normalmente è riservata solo ai sacerdoti penitenzieri e, nel tempo di quaresima e pasqua, a tutti i sacerdoti. Mi ha stupito che qualcuno si sia stupito! Come se alcuni peccati non potessero trovare misericordia al cospetto di Dio. Guarda che l’iniziativa è di Dio ed è sempre aperta per tutti perché, se introduciamo paletti, forse i primi a rimetterci siamo proprio noi! In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Ecco l’amore cristiano. Sorprendente, divino, libero, gratuito.

In questo amore il Signore ci invita a rimanere. Questo è l’unico suo comandamento che ci libera da altri gravami e fraintendimenti e ci restituisce un modo nuovo di pensare a Dio e di pensare agli uomini.

domenica 3 maggio 2015

Omelia 3 maggio 2015


Quinta domenica di Pasqua

Vi ricordate Il profumo del mosto selvatico? Bellissimo film in cui ad una storia d’amore si accompagna la passione per una vite nelle quale è racchiusa la vicenda di una famiglia. Una storia articolata di un amore ostacolato. Il cambiamento avviene quando un improvviso incendio devasta la vigna: sfidando le fiamme il giovane riesce a recuperare un pezzo della radice della vite madre da cui ripartirà la nuova coltivazione e anche la sua storia sentimentale. Ritrova la vite, ritrovi una storia d’amore e di famiglia. Anche Gesù si serve di questa immagine carica di bellezza per raccontarci la sua storia con noi. Io sono la vera vite e il padre mio è l’agricoltore. Che cosa custodisce questa simbologia?
 
1.    Custodisce innanzitutto l’idea di una vita che cresce, che si diffonde, che crea legami. Il cristianesimo non è una storiella edificante ma energia che muove l’esistenza e ne libera le misure più alte. È capacità di pensare in maniera nuova, diversa, risorta. È uscire da prospettive omologanti. Perché uno spacca tutto? Non sempre e non solo perché è imbecille. Uno spacca anche per vedere oltre, quella realtà che non riusciamo a mostrare presi come siamo a inscatolare il nostro presente. Avete visto con quanta determinazione la mamma di Baltimora ha tirato via suo figli dagli scontri con la polizia? Ecco una donna che indica una vita diversa e credibile, tanto che il figlio se ne torna a casa tutto remissivo. Il cristianesimo è breccia su una vita che sta in piedi, non sulle scimmiottature.

2.    Nell’immagine della vigna c’è poi un verbo che ritorna per ben sette volte. Il verbo rimanere. La vite funziona se rimani attaccato ad essa, come i tralci. Rimani attaccato a Gesù. Attaccati a lui vuol dire attaccati a quel progetto d’amore che lui ti ha affidato. Oggi facciamo una certa fatica a rimanere e siamo attratti da collocazioni che sono sempre altrove rispetto a dove un certo progetto ci ha posti. Ci sentiamo in deficit di aspettativa e continuiamo a sognare la nostra realizzazione altrove. Qualche giorno fa si rifletteva con un papà separato sulle modalità del suo coinvolgimento nella prima comunione del figlio accanto alla sua ex moglie. Non possiamo creare, diceva, una famiglia che non c’è più perché questo riempie il bambino di illusioni. È vero, la vostra relazione di coppia è venuta meno, ma la vostra realtà di padre e di madre rimane. Un bambino può aver diritto di vedere i suoi genitori che gli rimangono accanto in un momento importante? Può aver diritto ad un padre e una madre che pur separati rimangono rispettosi l’uno dell’altra? C’è un rimanere che non viene meno anche quando si giunge ad una separazione. Altrimenti si generano mostruosità educative, come quella di una bambina di nove anni che non intende più andare a trovare uno dei due genitori separati perché anche lei dei “rifarsi una vita”. Di chi sono quelle parole? Ecco il mito che ci strega: rifarsi la vita, uscite di sicurezza. Insegna a tuo figlio ad affrontare le difficoltà, non a fuggirle, come forse stai facendo tu, sulla scorta di alibi indecenti.

3.    E infine l’immagine della vite richiama quella del frutto. Chi rimane nella vite porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Gesù rende fruttuosa la vita: non solo vegetazione, ma sostanza. Abbiamo visto l’inaugurazione dell’Expo: un evento mediatico di grande impatto. Però abbiamo sentito le parole di Papa Francesco e il monito che l’alimentazione non rimanga “tema” ma diventi “volti”, specie di chi ha fame. Facciamo in modo che l’Expo sia occasione di un cambiamento di mentalità, per smettere di pensare che le nostre azioni quotidiane – ad ogni grado di responsabilità – non abbiano un impatto sulla vita di chi, vicino o lontano, soffre la fame. Inizia a combattere la cultura dello spreco, del prodotto selezionato, del cane o del gatto che mangia meglio dell’immigrato. E allora la vita porta frutto. Di altruismo e di universalità. La globalizzazione della solidarietà.

Amiamo non a parole e con la lingua, ma con i fatti e nella verità. La vite è un’esperienza di verità, per ritrovare autenticamente la nostra esistenza e per saperla promuovere anche negli altri.