lunedì 23 novembre 2015

Omelia funerale Roberto Morosin


Funerale Roberto Morosin (23 nov. 2015)

(Letture 1Cor 15,20-28 – Mt 10,25-37)



Se la morte è sempre un’esperienza con la quale ci misuriamo a fatica, in alcuni casi essa lancia una vera e propria sfida alla nostra capacità di comprendere. E quando le domande non appartengono solo agli adulti, ma anche ad un ragazzo cui viene tolto un padre, siamo ancor più disorientati. Sembrano vere le parole che accompagnano la celebre danza macabra affrescata all’esterno della chiesa di Pinzolo:

Io sont la morte che porto corona

Sonte signora de ognia persona

Et cossi son fiera forte et dura

Che trapaso le porte et ultra le mura

  1. Anche se queste parole sono dei macigni hanno il pregio di condurci di fronte alla verità della vita, quella stessa verità che Roberto conosceva e con la quale si misurava dal 2012 quando era stato diagnosticato il suo male. Ne ha sempre seguito con attenzione il decorso senza trascurarne la gravità e senza lasciarsi sopraffare. Roberto aveva uno stile molto pragmatico e anche la malattia rientrava nella gestione dei problemi della vita. Questo modo di fare non è risolutivo, ma ha il vantaggio di non nascondersi, di non raccontarsi storie. L’uomo è segnato da una costitutiva fragilità che talvolta dimentichiamo presi da nostri miti di onnipotenza e di invincibilità. Tra poco lo canteremo: ricordati che l’uomo è come l’erba, come il fiore del campo. Ogni fratello che se ne va ci invita a raccogliere la verità dell’esistenza, a vederne anche la vulnerabilità, a vivere i propri giorni sapendo di essere sempre e solo di passaggio. Se una persona, un papà ci ha insegnato questo ha già fatto abbastanza.
  2. Ma questa pagina di verità non è tutta la verità. Accanto al corpo di Roberto brucia una piccola fiamma. È la luce del cero pasquale, accesa nella notte della risurrezione per ricordarci che la morte non è invincibile. Qualcuno è entrato nei suoi possedimenti e l’ha sconfitta. Fratelli, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti… e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno vita in Cristo. Adamo è la nostra prima verità, Cristo è la seconda. Insieme a Roberto noi cristiani custodiamo questa straordinaria speranza che intravede nella morte non una destinazione ma un varco. I cristiani non portano buoni consigli all’umanità ma l’annuncio della risurrezione e della vita. A volte ce lo dimentichiamo lasciando spazio alla tristezza e alla rassegnazione. Roberto oggi ci suggerisce di affidarci al mistero. Non tutto è documentabile attraverso le nostre percezioni e catalogazioni e Dio ama darci appuntamento proprio dove impariamo a vedere con il cuore, con la fiducia. Come ci ricorda il Piccolo Principe: L’essenziale è invisibile agli occhi. C’è di più di quel che vedi, c’è risurrezione e speranza.
  3. Le promesse di risurrezione fatte di cielo non riducono tuttavia le vicende della terra. E Roberto su questa terra c’è vissuto con molta responsabilità. La parabola dei talenti ben interpreta il suo coinvolgimento sulla scena famigliare, su quella professionale, su quella pubblica. Non era sempre tipo facile e qualche volta era anche un po’ burbero. Ma era solo scorza che rivestiva atteggiamenti di attenzione agli altri e disponibilità. Quando accostava un problema lo faceva suo maturando idee e cercando soluzioni praticabili rispondendo ai bisogni reali della gente. Alle persone dava fiducia e seguiva anche alcune situazioni particolarmente impegnative sul piano dei rapporti umani, convinto che ci fosse ovunque un po’ di bene e una possibilità di riscatto. Ma era anche esigente sotto il profilo dei risultati, in primo luogo con se stesso, convinto com’era che tutti dovessero e potessero dare il meglio. Un figlio a scuola, un disoccupato, un’associazione, un amministratore. Quest’ultimo incarico che ha assunto lo lega alla nostra comunità cittadina per la quale ha messo tempo, passione, energie. Mi piace ricordare il suo impegno con le parole di un Godigese che Roberto conosceva e che ogni tanto citava, Giovanni Renier. Divenuto vescovo di Feltre e Belluno, nelle sue Reminiscenze, a metà ‘800 scriveva di sé: “Scevro di ambizioni e di speranze, fui sempre alieno dal corteggiare i felici del mondo, se nol fosse talvolta per altrui giovamento. I posti, la fortuna, le grandi cariche, anche ecclesiastiche, sono assai volte di chi sa procacciarsele, né il merito personale vi ha sempre la maggior parte. Io non mi dico né meritevole, né umile, dico solo che arrossirei di me stesso laddove fossi giunto a mercar onori od impieghi coll'arte del cortigiano". Roberto non era un cortigiano, ma uno che ha cercato di promuovere il bene comune, la solidarietà e la disponibilità. Per questo crediamo che le parole ascoltate nel vangelo, oggi siano anche per lui: Vieni, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone.  

1 commento:

  1. Bella la citazione di Giovanni Renier. Roberto avrebbe apprezzato molto. Grazie.

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