domenica 9 dicembre 2012

Omelia 9 dicembre 2012

Seconda domenica di Avvento

L’analisi logica è importante. Ti costringe a riconoscere bene com’è organizzato il discorso: soggetto, verbo, complemento... Non è solo un esercizio letterario, ma un accesso alla realtà per non confondere gli elementi, per non attribuire valore a chi non ne ha e dimenticare ciò che invece è fondamentale. Anche Luca, che padroneggia bene il greco, costringe i suoi lettori all’analisi logica, per abilitarli a riconoscere il vero soggetto che misteriosamente agisce, per non finire vittime della confusione e di un grande inganno. I nomi altisonanti, con cui si apre il vangelo di oggi, non devono trarre in inganno. Mentre si evocano l’imperatore, il procuratore romano, i re giudei insofferenti a Roma, i sommi sacerdoti, il soggetto unico e indiscusso è la Parola di Dio. Non lo dimenticare, non confondere il tempo con l’eterno, le logiche momentanee con l’orizzonte. Cerca il disegno più grande: quello che Dio ha in mente. La sua Parola: l’unica che non cambia, non tergiversa, non viene meno. Non si tratta di analisi logica, ma di far posto alla logica di Dio, al suo logos che ormai irrompe sulla scena del mondo. Di che parola si tratta? 

1.    La Parola di Dio venne. Il verbo greco egheneto ha il sapore dei grandi accadimenti: non indica solo un movimento di luogo ma qualcosa che nasce, che dà vita a una sorpresa, che irrompe sulla scena. La Parola di Dio, quella stessa che egli ha adoperato per creare il mondo ora agisce in mezzo agli uomini, rivela i progetti di Dio, il suo modo di vedere le cose. Dio non se ne sta chiuso in se stesso ma si fa conoscere, dice il suo punto di vista. E mentre lo fa la sua novità è in azione. Quale parola viene nella nostra vita? A quale consegniamo la nostra possibilità di cambiamento? Mentre le forze politiche si stanno ormai orientando alla prossima legislatura, ascoltando molti dei loro discorsi, comprendiamo che le scelte dei cristiani non potranno prescindere dall’unica Parola capace di generare novità. Siamo chiamati ad aderire non agli slogan ad effetto e neanche alle strategie delle alleanze e degli equilibri, ma a chi sa assecondare il divenire della Parola, a chi consente varchi al vangelo e ai valori imprescindibili con cui il cristiano si colloca sulla scena del mondo: in primo luogo a un principio di verità, per non perdere il contatto con la realtà e con quanto questi mesi ci hanno aiutato a capire e al principio della solidarietà, per non dimenticarci che il bene nostro è legato a quello degli altri.

2.    Ma la Parola ha un destinatario: venne su Giovanni Battista. E quando la Parola va da qualcuno, ecco che quel tale diventa voce. Dio resta muto se non ha qualcuno che gli presta la voce. Voce per dire di lui, della sua presenza, del suo modo di vedere le cose. In questi giorni una persona ci ha chiesto di far conoscere un’iniziativa: metti un drappo con l’immagine di Gesù Bambino sul balcone di casa per ricordare il senso del Natale, per essere voce del Natale cristiano. Ci si interrogava sull’opportunità di questo gesto. C’è bisogno, non ce n’è bisogno? Cristianesimo della visibilità o del mistero nascosto? E qualcuno, citando S. Ignazio, osservava: “Meglio essere cristiani senza dirlo che dirlo senza esserlo”. Certo, ma Ignazio stabilisce una priorità non un’esclusione. E in questo tempo in cui parcheggiare un discorso cristiano lontano da intenti polemici, sembra impossibile, forse ci è chiesto di far sentire nuovamente la voce, come Giovanni Battista. Voce della Parola. Magari semplicemente esponendo un drappo e rendendo ragione di tale gesto.

3.    Il coraggio di parlare, però, ci conduce considerare un’altra situazione nella quale la Parola risuona: Venne su Giovanni Battista nel deserto. Il deserto ti fa pensare al vuoto, all’assenza di interlocutori. Ma il deserto è anche il tempo dei grandi ricominciamenti biblici e Dio non lo teme, anzi ne fa la via di accesso nel mondo. Oggi su Avvenire è pubblicata una lettera che Asia Bibi scrive dal Pakistan dove sta scontando un’ingiusta detenzione. Perché questa donna, madre di cinque figli, è cristiana ed è stata condannata all’impiccagione per blasfemia contro Maometto. Sentite che dice in un passaggio: Un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’islam. Io l’ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta onestà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana. «Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui». Voce di uno che grida nel deserto. E quella voce, uscita da una cella senza finestre, forse più di ogni altra, ci sta dicendo come la Parola possa fortificare una persona, sconfiggere l’odio tra i popoli e le religioni, abbattere anche il muro di indifferenza che ci rende a volta estranei alla persecuzione che ancora molti patiscono per la fede.

La Parola ha bisogno della voce e quando la trova il deserto cessa di essere tale. Ce lo auguriamo. Per Asia Bibi e anche per noi.

La Lettera completa di Asia Bibi la trovi qui: http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/scrivodaunacella.aspx

Se vuoi il drappo rosso con Gesù da esporre, vieni a S. Agnese.

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