sabato 20 ottobre 2012

Domenica 21 ottobre 2012

Ventinovesima domenica del T. O.
Ricordate? È un pezzo che parliamo di graduatorie umane di primi e ultimi posti, di criteri di grandezza secondo il mondo e secondo Dio. Ne parliamo perché il vangelo ne parla, in continuazione, facendoci capire che questi discorsi proprio non entrano. Gesù, per ben tre volte, ha ricordato ai suoi discepoli che sta andando a Gerusalemme per consegnare la propria vita. Sta cercando di far capire che l’unico modo per salvare la vita è donarla. Se la doni a qualcuno non va perduta.
E per tutta risposta, due discepoli avanzano una richiesta che sembra ignorare tale logica: Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra. La gloria. Ecco le aspettative, altro che donare la vita!
È quello che riconosciamo anche in noi, frequentemente in ascolto del Signore e del suo vangelo e poi presi, nella vita, da altre logiche. Che cosa torna a ricordarci Gesù?

1.    Gesù innanzitutto interroga i suoi discepoli in relazione ai loro desideri: Che cosa volete che io faccia per voi? Che cosa vorresti da Dio? Certo, nei confronti di Dio ci sono numerose e variegate attese che riguardano soprattutto la sfera della salute, della prosperità, dei legami familiari. Sono i motivi per cui più frequentemente preghiamo. A volte però ci sono attese che riguardano il volto pubblico della fede e l’esigenza che Dio intervenga nel contesto di quella che viene oggi identificata come “religione civile”. Un sacerdote, nei giorni scorsi, mi raccontava di essere stato interpellato per la celebrazione di una messa in una caserma, in occasione di una ricorrenza militare. All’inizio ha opposto un po’ di resistenza, ma la pressione era così forte che non ha potuto sottrarsi. Sa, lo prevede il protocollo. Ebbene, durante la celebrazione di fronte a truppe schierate, nessuno rispondeva, solo un paio si sono accostati alla comunione. Mi hanno fatto riflettere in questi giorni le prime battute del sinodo sulla nuova evangelizzazione nelle quali sono risuonate parole di autocritica: «Ci siamo rinchiusi in noi stessi mostriamo un’autosufficienza che impedisce di accostarci come una comunità viva e feconda […] Abbiamo burocratizzato la vita di fede e sacramentale». Burocrazia della fede: a volte vorremmo che Dio fosse un timbro su una carta, una benedizione su scelte discutibili e vorremmo che anche la chiesa corrispondesse all’idea di Dio che abbiamo in mente. Ma forse Dio ha in mente qualcosa in più.

2.    Già, che cosa ha in mente Dio? Gesù lo fa capire: Potete bere il calice che bevo, ricevere il battesimo con il quale sono battezzato? Gesù sta parlando della sua passione ormai prossima. Il calice da bere è quello della volontà del padre, il battesimo corrisponde alla sua immersione nel mistero della morte, solidale con gli uomini. Ecco che cosa vuole fare Dio per noi: vuole strapparci dalla morte e per farlo non ha paura di abbassarsi e di immergersi in tale oscura realtà. Questa condivisione disarma la morte e ne strappa il potere. È questa la gloria di Dio e la gloria cristiana da ricercare. Il calice lo berrete, il battesimo lo riceverete. Anche noi siamo stati raggiunti da tale dono. A volte però viviamo un cristianesimo così esposto sulle periferie del mistero che non ci accorgiamo dell’essenziale e, anziché gioire per la meraviglia che Dio opera nella nostra vita, cerchiamo un religioso di appartenenza o di etica condivisione. Ma, hai capito che sei stato liberato dalla morte? Ma, hai capito che dall’esperienza del male e del peccato ci puoi uscire? Abbiamo un sommo sacerdote che ha attraversato i cieli! Egli sa avere giusta compassione per le nostre debolezze. Accostiamoci con fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia!

3.     Ma il calice e il battesimo di cui Gesù ci rende partecipi non ci dicono solo un evento: ci dicono anche uno stile. Ed è questo che dobbiamo cercare, rompendo con altri modi di fare: Tra voi non è così. Quello che vince è lo stile del servizio. Vuoi essere grande? Mettiti a servizio degli altri. Qui ci sono le vere misure. Sul sito di Repubblica c’è un video che riporta lo scontro tra un prete di Aversa, da anni in lotta contro i veleni dei rifiuti e i veleni delle cosche, e il prefetto di Napoli che lo rimprovera aspramente e a lungo per essersi rivolto al prefetto della sua città, una donna, chiamandola solo “signora” e non “signor prefetto”. Ecco: si possono avere tutti i titoli di questo mondo, garantiti dall’istituzione, e si può essere piccoli. Si può vivere tra il degrado di una periferia, tra il lezzo delle discariche ed essere grandi. Perché si è difeso l’uomo e l’ambiente, perché non ci si lascia intimidire dalla tracotanza di un potere che ha perso se stesso e perché non ci si lascia dominare nemmeno dall’amor proprio ferito. Il figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la sua vita. Sei grande se servi e se no a cosa servi? Gesù ce l’ha ripetuto per ben tre volte: forse la strada da intraprendere è proprio questa e forse la Giornata Missionaria parte proprio da qui.

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