venerdì 17 ottobre 2014

Omelia funerale Vittoria Serena 17 ottobre 2014


Funerale Vittoria Serena – Godego, 17 ottobre 2014 (188/210)

La morte
rabbiosa come una bestia dal collo azzannato
percuote i nudi corpi degli uomini
arrancando per le strade
con il petto gonfio
e il volto bagnato.

È una poesia in cui Vittoria esprime lo sconcerto di fronte ad una realtà tenebrosa con cui oggi ci confrontiamo. La morte come una bestia sanguinaria si aggira per le strade mietendo le sue vittime. Un cappuccio nero, come dice il titolo di questo piccolo componimento, calato sulle attese e sulle speranze degli uomini. Come si fa a morire a vent’anni? Come si fa a morire così? La bestia è passata anche in mezzo a noi seminando dolore e incomprensione. Eppure nelle parole di Vittoria è contenuta anche un’altra verità. La morte è una bestia dal collo azzannato. Colpisce ma è stata già ferita mortalmente, il suo destino è segnato e qualcuno l’ha vinta.

La piccola fiamma del cero pasquale ci ricorda un chiarore che si diffonde nelle tenebre, quello di Gesù che nel mistero della sua morte ci ha liberati dalla morte e ha aperto un varco di vita per sempre. Quei gesti apparentemente senza speranza di Giuseppe di Arimatea che raccoglie Gesù dalla croce nascondono in realtà la sua azione più potente. Egli è sceso nelle profondità dell’abisso, è sceso come ogni uomo, morendo. Ma ha portato un antidoto sul quale la morte non può prevalere: l’amore. La morte regna dove non c’è amore, ma se in casa della morte viene liberata questa energia, la morte è disarmata e sconfitta. E allora comprendiamo le parole di Paolo: Chi ci separerà dal suo amore? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione? Né morte né vita ci separeranno dall’amore di Dio in Cristo Gesù.

In questa azione potente però il Signore coinvolge anche noi, affidandoci alcune responsabilità che allargano l’amore di Gesù e la sua salvezza.

1.    Prendi sul serio il mistero della vita. Della tua e di quella degli altri. Oggi viviamo in un vortice di superficialità che nega talvolta le profondità dell’esistenza: pubblichiamo su facebook le foto ammiccanti e patinate di una serata in discoteca e ci illudiamo che il mondo sia questo. E invece c’è un universo interiore che domanda riconoscimento, attenzione, cura. Un universo fatto di domande, di intuizioni, di risposte. Un universo che domanda anche condivisione, confronto, discernimento, capacità di ritornare sui propri passi. L’ultimo messaggio che Vittoria ha spedito a un’amica diceva: Sto male, non so più che cosa faccio. Vittoria era una ragazza splendida, aperta: “Quando arrivava splendeva il sole”, ha detto un’amica; ma nel cuore c’era un male oscuro. Prenditi sempre cura di te, non presumere mai delle tue sole forze, fatti aiutare. Non prendere scorciatoie, perché a volte la morte può vendere i suoi prodotti spacciandoli come un rimedio: la morte è dominio del menzognero, non dimenticarlo quando ti seduce e ti illude. E negli sguardi di chi incontri cerca sempre di non fermarti alle apparenze, di intercettare l’inquietudine altrui, di farti prossimo. Che succede se quel “come va”, che talvolta utilizziamo all’inglese, cominciassimo a chiederlo per davvero?

2.    Fai buona scorta di amore. Se è questo l’antidoto che sconfigge la morte, meglio dosi abbondanti. E impara a trafficare l’amore perché è nel dono di sé che si trovano le grandi risposte della vita. Vittoria era una ragazza riflessiva ma le riflessioni da sole non bastano: devono trovare sentieri di incontro, di reciprocità, di fiducia, di solidarietà libera e generosa. A volte i mali della vita si vincono non quando qualcuno si interessa di te ma quando tu cominci a esistere per qualcuno. Vittoria lo stava intuendo: l’amore che aveva ricevuto in famiglia lo stava imparando a diffondere, alla nonna con la quale aveva pensato di abitare per non lasciarla sola, con un ragazzo con cui si stava profilando una storia. Ecco, è importante curare l’amore, farlo crescere, interrogarne la verità e l’intensità. Perché quando viviamo nell’amore esso diviene una forza potente, capace di contrastare le tenebre, capace di farci capire che la nostra fragilità può custodire un tesoro. Lasciati amare e impara ad amare perché nell’amore si nasconde il mistero di Dio e della vita.

3.    Non rassegnarti al nulla. Vittoria era una ragazza in ricerca. L’ultimo libro che ha preso in prestito nella nostra biblioteca è stato il De brevitate vitae di Seneca, un’opera nella quale l’autore si chiede il senso del tempo. Oggi noi viviamo una pericolosa deriva dall’eterno, immersi in un presente che sembra catturarci. Ma l’ultimo messaggio che Vittoria ha postato su facebook diceva: Non è mai un addio. Una frase che sembra riconoscere la possibilità di una breccia, di un oltre. È il varco che appartiene al Signore Gesù, alla speranza che ha inaugurato, ai cieli nuovi e alla nuova terra in cui non ci sarà più né lutto, né lamento, né pianto. Non rassegnarti mai al sasso posto sul sepolcro, perché per quanto grosso c’è qualcuno che lo rovescia e fa nuove tutte le cose. Vivi di eternità, apri sprazzi di cielo e non rassegnarti mai di fronte a chi ti dice: non c’è più niente da fare.

Cara Vittoria, consegniamo la tua giovane vita nelle mani di Gesù. Il suo amore ti abbracci e ti faccia comprendere quello che né tu né noi siamo stati in grado di capire. Sia balsamo sulle tue ferite, guarigione dal male che non sei riuscita a combattere, perdono e misericordia per ogni tua fragilità. Continua a restare vicina alla tua famiglia, stampa negli occhi e nel cuore di tua madre un’immagine diversa dall’ultima che  ha visto e ricorda a ogni tuo coetaneo quella vita nuova che ora ti appartiene e che nella speranza è consegnata ad ogni uomo.

 

domenica 12 ottobre 2014

Omelia 12 ottobre 2014


Ventottesima domenica del T. O.

La festa appartiene alla vita degli uomini e anche nel nostro paese ce ne sono molte: la contrada, la classe, la semplice voglia di stare insieme e divertirsi. Ma a volte succede qualcosa di strano: giunge un ospite seducente che strega gli animi e confonde. È l’alcool. E ci si apparta con una bottiglia di vodka che diventa padrona della vita e consegna allo stordimento e al vuoto. Ci dobbiamo interrogare sul senso della festa. Lo devono fare i ragazzi rapiti da un mito di trasgressione che sembra consacrare una sorta di riconoscimento sociale e lo devono fare anche gli adulti che qualche volta sono complici della situazione e incapaci di suggerire prospettive differenti. Se indichiamo il nulla è chiaro che di qualcosa lo si riempirà, ma non è detto che sia quello che ci tiene in piedi.

Anche il Signore oggi ci parla di una festa: è quella che Dio intende realizzare con ogni uomo. È bella questa determinazione di Dio di coinvolgere proprio tutti, buoni e cattivi, fino ai crocicchi delle strade. Di che festa si tratta? Come la si custodisce?

1.     Anzitutto è una festa di nozze. Dio vuole farci capire che la festa nasce da un incontro vero, da un dono d’amore all’altro. Lui per primo si dona e vuole coinvolgerti in quella stessa logica. Le feste funzionano quando sposi qualcuno, quando la tua vita diventa partecipazione vera alle sorti dell’altro, non quando ti giochi a metà. La gioia è essere gioia per qualcuno da amare senza riserve. Pensate al fenomeno delle convivenze che stanno aumentando. A volte queste situazioni sono passaggi graduali verso il matrimonio. A volte divengono scelte di chi non vuol scegliere. E perché? Perché non si sa mai, perché non servono tante dichiarazioni ma solo la personale decisione... Però sentiamo che sotto c’è il rischio di un impegno preso a metà, di cercare una uscita di sicurezza. Trova la bellezza di un sì che continua. La festa cerca sempre misure di eternità.

2.     La proposta di Dio però trova qualche ostacolo. Venite alle nozze! Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. A volte Dio disturba. Abbiamo altre cose da fare: il campo e i propri affari. Lavoro ad oltranza, anche due o tre lavori e non ti rendi conto che qualcosa ti sta sfuggendo di mano. Il contatto con la tua famiglia, l’attenzione al mondo, l’incontro domenicale con il Signore. E tiriamo fuori delle scuse: non ho tempo, servono soldi, piuttosto che andare a messa per farsi vedere meglio fare il proprio dovere a casa. A messa ci vai solo per farti vedere? O c’è un incontro da vivere che dà senso al tuo quotidiano? Perché ci stupiamo dei giovani che sballano, ma quale orizzonte indichiamo loro? La domanda segreta  che un figlio fa ai genitori non è “come si fanno i soldi” ma “cosa ci sono venuto a fare in questo mondo”? Noi dobbiamo dare varchi, non prigioni.

3.     Infine la festa ha bisogno di un abito. Vuol dire: non viverla superficialmente, ad intermittenza. Entra in tale logica, lascia che essa divenga un habitus, qualcosa che ti rivesta dalla testa ai piedi. Importante questo aspetto perché possiamo entrare nel mondo di Dio ma con un abito che non è il suo. E magari crediamo di operare per lui, di agire per suo conto mentre stiamo cercando qualcos’altro: riconoscimento, risarcimento, controllo. Partecipo a un gruppo ma mi devono dire che sono bravo. Animo un’iniziativa ma elimino chi non la pensa come me. Faccio servizio ma devo farlo con i miei amici. È la festa di Dio o la tua festa che cerchi? La festa la devi fare vestito di nuovo, cercando una sorpresa, lasciandoti spiazzare dalle tue idee di ogni giorno! Altrimenti non è festa: è programmazione aziendale, è cuccia calda, è autocelebrazione. Rivestiti di novità e porta nel mondo lo stile di Dio! Forse le nostre feste avranno qualcosa in più da dirci e forse chi ci sta accanto vedrà che la festa possiede una sorgente.

sabato 11 ottobre 2014

Omelia 5 ottobre 2014


Ventisettesima domenica del Tempo ordinario

C'è una bella poesia di Giovanni Pascoli che con molta leggerezza racconta la bellezza di un orto:

E come l'amo il mio cantuccio d'orto,
col suo radicchio che convien ch'io tagli
via via; che appena morto, ecco è risorto.

Tra le proprietà che uno possiede c’è sempre un pezzettino di terra che gli è più caro, dove ci mette un po’ di cura in più. Anche Dio ha questo appezzamento: è una vigna che circonda di grande attenzione e nella quale addirittura risuonano canti gioia: Canterò per il mio diletto un cantico di amore per la sua vigna. Che cosa ci suggerisce questa immagine e perché Gesù ancora una volta se ne serve?

1.     Anzitutto essa corrisponde a qualcosa di bello e vitale. Il cristianesimo non è un codice di procedura ma una realtà che cresce, si diffonde e porta frutto. Questo interroga la nostra modalità di approccio alla fede e la nostra testimonianza. Noi proveniamo da un cristianesimo consolidato che ha dato forma alle nostre comunità, ai loro assetti pastorali. Ma bisogna continuamente interrogarsi su quello che facciamo, sulle modalità con cui operiamo per non correre il rischio che la struttura mortifichi la vitalità evangelica e ci ritroviamo a rincorrere tradizioni che alla fine ci imprigionano. E’ quello che continuamente ripete Papa Francesco: quando la Chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica, la Chiesa perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ONG. E la Chiesa non è una ONG. E’ una storia d’amore. Ecco la vigna, il piccolo appezzamento situato nel cuore di Dio.

2.     Nella vigna tuttavia succede qualcosa di grave. La logica d’amore è sostituita da altre visioni che portano a gesti drammatici. Tutta la cura che il padrone pone nei confronti della sua proprietà è vista con sospetto, con fastidio, fino alla violenza e alla prevaricazione: prima nei confronti dei servi, poi nei confronti del figlio. “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Comprendiamo bene che qui c’è un chiaro giudizio nei confronti dei capi del popolo ostili all’azione di Gesù. I custodi della vigna che ne dimenticano e tradiscono il senso. È lui il Figlio che verrà ucciso fuori della vigna, proprio da loro. Ecco a volte questo capita anche nella nostra vita: Gesù ci è d’impiccio. Ci dichiariamo credenti, ma il vangelo che seguiamo è un altro. Pensate alla vicenda di questi due ragazzini diventati genitori a 13 anni. Una storia gestita bene a quanto sembra, ma che ci interroga in termini educativi. A volte ci pare che la chiesa sia retrograda quando parla di sessualità e riteniamo che in nome di una presunta libertà ogni scelta sia legittima. Invece in questi casi comprendiamo che la sessualità non può essere slegata dall’età, dalla crescita affettiva, dai linguaggi della mente, del cuore e non solo del corpo. Se escludiamo le prospettive evangeliche, non solo uccidiamo Gesù, ma perdiamo anche l’uomo così come Dio stesso lo sogna.

3.     Dio però non si rassegna di fronte a questa situazione e ricomincia da un’altra parte. Costruisce un popolo capace di custodire il suo sogno. A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare. Sono parole che sempre dobbiamo ricordare per non credere di possedere l’esclusiva su Dio. Bisogna essere sempre attenti a questi spostamenti che Dio realizza. Oggi inizia il Sinodo sulla Famiglia. Pensate al modo con cui si parla di tale realtà: o in termini distruttivi che la cancellano o in termini allarmistici che segnalano solo l’emergenza, le situazioni problematiche. E con una simile angolazione fare una famiglia sembra impossibile: meglio adeguarsi ad altri modelli. Un sinodo è l’occasione per ritrovare il sogno di Dio, per riguadagnare fiducia, ma anche per vivere questo nostro tempo, senza dimenticare le situazioni complesse che la famiglia incontra. Perché ci sono famiglie che ancora continuano ad essere tali, nonostante le difficoltà. Sono la pietra scartata dai saccenti di questo tempo che diviene pietra angolare, una meraviglia ai nostri occhi!

Ecco, non lasciarti confondere ed entra con gioia nella vigna: scopri la bellezza di farne parte e impara a custodirne il dono.

sabato 30 agosto 2014

Omelia 31 agosto 2014


Ventiduesima domenica del T.O.

Tu mi sei di scandalo. Skandalon in greco, indica il sasso, quello insidioso che ti fa inciampare. Pietro, definito pochi versetti prima come la roccia, viene paragonato a una pietra scivolosa sulla quale le convinzioni precedenti non stanno più in piedi. È la nostra vita: momenti in cui siamo rocce e momenti in cui siamo sassi pericolosi, per noi e per gli altri.

Quando diventiamo ciottoli ingannevoli? Gesù ce lo fa capire: Perché non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini. Ecco, l’instabilità della vita dipende dai pensieri che coltivi, da quello che ti orienta nel cammino. Segui strade terrene o strade fatte di cielo? Abbiamo sentito in questi giorni di quella bambina americana di nove anni che al poligono dove stava sparando con una mitraglietta, per sbaglio, uccide il suo istruttore. Cosa porta dei genitori a fare una scelta così sconsiderata? Che cosa metti in mano a tuo figlio? Magari non sarà la mitraglietta Uzi, ma ci sono anche altre armi. Mi fa pensare ad esempio una trasmissione di MTV dove vari adolescenti americani presentano la propria casa. Abitazioni enormi e lussuosissime dove la felicità sembra data dalle infinite risorse del conto di tuo padre. Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. Gesù rimette Pietro sulla strada del discepolo: Va’ dietro di me. Qual è il cammino che Gesù indica per tornare ad essere roccia?
 
1.    Se qualcuno vuole venire dietro a me. In questa espressione troviamo un’ipotesi e un appello alla volontà. Diventare discepoli non è scontato: domanda una decisione che va interiormente chiarita, motivata, assunta. Ci sono altri modelli in agguato che rischiano di essere omologati e omologanti. Tu chi sei? Chi vuoi seguire? Non conformatevi a questo mondo. Venerdì sera ero a cena in casa di due amici medici. Ad un certo punto arriva la telefonata di un decesso e la moglie, medico di base, parte per fare la constatazione. Fuori servizio, avrebbe potuto far intervenire la guardia medica, ma lei dice: «Loro conoscono me». E poi torna e racconta che è stata con i familiari e ha detto pure le preghiere. Mentre era assente, il marito mi racconta che il giorno prima aveva caricato in macchina un bambino africano con la mamma e lo aveva portato dallo specialista. «Lei è così». Ecco: chi segui? I codici di procedura? Le ricette in bianco e in rosso che vengono cambiate? O un pezzo di vangelo che il Signore ti affida anche quando sei medico? Se qualcuno vuole venire dietro a me…

2.    Rinneghi se stesso. Rinnegare non vuol dire mortificare quello che di bello e di buono c’è nell’uomo. Vuol dire aderire a un percorso più grande di quello che sei. Rinnega la pretesa di essere tu stesso il centro dell’universo, la chiave di misura e di valutazione di tutto. Lascia spazio a Dio perché l’onnipotente è lui. Pensate alle volte in cui diciamo: “Ho fatto” con la sensazione di essere qualcuno. Descriviamo la nostra giornata all’insegna di quel che abbiamo combinato e ci pare che le nostre opere equivalgano al nostro valore. È una tentazione dell’homo faber. Ma anche l’homo ludens non è da meno: divertimento, piacere, evasione e se non riesco a garantire questi spazi mi sento frustrato. Allora piazzi i figli ai nonni perché le tue vacanze non devono subire il loro stress. Rinnega questa logica, dice Gesù. Trova una visione composita della vita. Non sei solo quello che fai, non sei solo il tuo divertimento. Sei quello che vali, la tua profondità, la tua capacità di incontro, la tua fede. Prova a vedere che succede se liberi anche queste risorse.

3.    Prenda la sua croce e mi segua. Questa immagine che non ci va molto a genio non dice tanto la sofferenza, i patimenti fisici. Il cristiano non li cerca e non li raccomanda. Perché Gesù muore in croce? Per amore. Prendere la croce vuol dire: se vivi un’esistenza nell’amore e nel dono niente e nessuno te la può togliere, anche se tenteranno di convincerti del contrario. Gesù dice queste cose prima della sua morte, ma i suoi ascoltatori conoscevano bene il cammino dei condannati che salivano l’erta del Calvario portando il patibolum sulle spalle. E sapevano anche che la gente li derideva e li insultava: «Sei uno che ha fallito, uno che ha sbagliato tutto e paghi le conseguenze della tua esistenza sconsiderata». È quello che avvertono i cristiani di Mosul che vengono allontanati e perseguitati con una “N” di nazareno dipinta sulle loro abitazioni. Un marchio infamante per i loro aguzzini che inneggiano ad una religione di sopraffazione, di eliminazione, di terrore. Prendere la croce vuol dire: questo modo di impostare la vita non vincerà. Perché ha dimenticato l’amore. E siccome l’amore è l’anima della vita, se perdi l’amore hai perso tutto. Pensate alle eredità: talvolta un genitore opera alcune scelte preferenziali oltre la legittima. Perché un figlio è più in difficoltà, perché ci sono esigenze diverse. E subito monta la gelosia perché sembra di essere defraudati. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Trovi solo quello che hai donato. E nel dono trovi la parte migliore di te.

Ecco, la roccia e il sasso. Secondo Dio o secondo gli uomini? Il rischio di Pietro è sempre in agguato, ma Gesù non si dà per vinto: sostiene l’apostolo, sostiene anche noi.

sabato 16 agosto 2014

Omelia 17 agosto 2014


Ventesima domenica del T.O.

In quel tempo, partito di là. Il verbo greco è exercomai, termine tecnico del vocabolario dell’esodo che indica l’uscita, il passaggio dalla schiavitù alla terra promessa, da un luogo dove uno non riesce a vivere una vita piena e cerca spazi di autenticità e di libertà. Gesù sta vivendo e indicando un movimento esodale, un passaggio da compiere per non rimanere imprigionati. Pochi versetti prima l’evangelista ricordava una polemica con i farisei sulle tradizioni degli antichi: regole che avevano prevalso sulla fede e oscurato il senso di Dio, convenzioni che sono diventate Dio. Provate a pensare se questa non sia talvolta la nostra condizione, rispetto a quel "pensiero unico" con cui interpretiamo ciò che capita allineandoci alla mentalità dominante sui temi della vita, degli affetti, dell'economia. Siamo prigionieri: uscire di là. Come avviene questo passaggio?

1.    Si ritirò nella zona di Tiro e Sidone. Gesù raggiunge innanzitutto un territorio straniero oltre i confini di Israele. Si ritirò, osserva l’evangelista: anacoreo. Verbo che piace molto a Matteo e che indica il percorso di chi prende distanze, di chi ritorna all’essenziale. Ma è interessante che questo ritorno sia nella direzione di un viaggio e non di una cella. Trovi te stesso se percorri strade di novità, se riconosci l’appello di Dio oltre le delimitazioni nelle quali la sua azione ti sembra possibile. Dove abbiamo rinchiuso Dio? In chiesa? In un servizio? In una parrocchia? Come parliamo di lui? Con linguaggi edificanti estranei alle sfide culturali che stiamo vivendo? Ognuno di noi ha dei confini da varcare per ritrovare Dio. Pensate al dramma dei profughi che stanno arrivando nel nostro territorio e alle nostre delimitazioni. Ecco Tiro e Sidone che ci restituiscono un’umanità differente da quella con cui ci misuriamo: aperta alla fraternità e ad una visione del mondo che è tutto sotto lo sguardo di Dio. Non lasciarti imprigionare dal particolarismo, dalla paura, dal sospetto.
 
2.    Ed ecco una donna cananea. Il viaggio di Gesù è segnato da donna che grida e implora il rabbi per sua figlia tormentata da un demonio. A che serve un viaggio se non per udire un grido? Eppure questo grido sembra disatteso. Da un Gesù che inspiegabilmente tira dritto e da discepoli che cercano risposte convenienti. Che sta succedendo? I discepoli dicono a Gesù: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Il verbo apolùo, con cui si indica anche il ripudio matrimoniale, non vuol dire tanto esaudiscila, ma cacciala via. Ci dà fastidio. Ti costa tanto fare un miracolo? Gesù però non acconsente a questa logica, non distribuisce la grazia in caramelle. A volte ci sono cammini lunghi da vivere, purificazioni da accogliere. Viaggio del Papa in Corea. Per i media sembra che il problema più grande sia stato si il telegramma senza risposta che papa Francesco ha inviato alla Cina, sorvolando quel paese. Ma come, a questo papa rispondono tutti! Perché qui non ha fatto il miracolo? Forse perché il miracolo che Dio intende compiere è quello della libertà, della ricerca dei segni, della tenacia del bene. Il miracolo non è solo nella guarigione di un bisognoso, ma anche nella tua guarigione. Supera le pretese magiche o funzionali e vivi anche tu l’avventura della fede. Dio ha racchiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia. Frase un po’ enigmatica ma che ci fa capire che tutti siamo in viaggio sulle strade di Dio.
 
3.    Ma questa pagina ci inquieta anche per le risposte di Gesù, che francamente ci sembrano dure. Non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa di Israele. Non è bene togliere il pane ai figli per darlo ai cagnolini. Nella mentalità di allora Israele era il figlio, oggetto dell’attenzione di Dio, i pagani erano considerati cani. Non necessariamente con disprezzo, ma certamente come gente differente, con cui si tratta in maniera diversa. La missione iniziale di Gesù si inserisce in questa logica in relazione a quello che il Padre gli ha affidato. Ma ciò che sorprende e forse un po’ imbarazza è che anche il Figlio, in questa sua precisa missione, si lasci sorprendere dall’azione del Padre che apre nuovi orizzonti. E l’orizzonte è dischiuso dalla sconvolgente risposta della donna che allude a un cibo per tutti, per i figli e per i cani, per chi prende dalla pagnotta e per chi si accontenta delle briciole. A quel punto Gesù non può che riconoscere: Donna, grande è la tua fede. Avvenga per te come desideri. Ecco, l’esodo è ormai iniziato. La fede è per tutti e anche dove non te lo aspetti Dio apre la sua novità. Il tuo esodo, il tuo cambio di mentalità avviene nel momento in cui con stupore riconosci questa azione. Dove non avresti pensato. Come ieri in Corea: a fronte di un Oriente che ci inquieta un milione di persone ha partecipato alla messa di Papa Francesco. Avvenga per te come desideri. Impara a desiderare secondo Dio e non tarderai a vedere la sua azione.

sabato 9 agosto 2014

Omelia 10 agosto 2014


Diciannovesima domenica del T. O.

Forse l’opera d’arte maggiormente conosciuta della pittura giapponese è “La grande Onda” dipinta da Katsushika Hokusai presso la spiaggia di Kanagawa nel 1830 ca. http://it.wikipedia.org/wiki/La_grande_onda_di_Kanagawa L’onda diviene il riflesso di un animo agitato, sconvolto, continuamente sballottato e che non ha mai tregua. L’onda è un respiro bloccato mentre i flutti si raccolgono in alto e sembrano abbattersi come artigli minacciosi di un rapace. È quello che la vita talvolta ci riserva in quelle esperienze che minano la nostra stabilità. Pensate ai cristiani di Mosul: l’onda del fanatismo islamico integralista e violento che li sta spazzando via. Oltre centomila. Pochi sacchi con i vestiti, alcuni addirittura in pigiama su carovane di auto improvvisate o a piedi lungo il deserto. Una fuga verso Nord, nel Kurdistan, mentre l’Europa sembra sorda di fronte alla tragedia. Che si fa quando arriva l’onda che devasta la vita? I discepoli sulla barca sono l’icona di una situazione di difficoltà nella quale Gesù non è assente e offre possibilità di comprendere quanto sta succedendo e di venirne fuori.

1.    Accettare la prova. Anzitutto il brano inizia con una decisione molto ferma da parte di Gesù: Costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva. Sembra che la sedentarietà tranquilla non piaccia al Maestro preoccupato più della qualità della fede dei discepoli che della qualità della loro vita. Pensate alle parole di Papa Francesco: «Quando la chiesa diventa chiusa, si ammala. Preferisco mille volte una Chiesa incidentata, piuttosto che chiusa e malata». Proprio perché la fede si dà come cammino essa non può che correrne il rischio, accettando di crescere anche attraverso la prova. Il termine basanízo che indica la barca agitata dalle onde è lo stesso verbo che si usa per la prova dei metalli preziosi, per verificare se si tratta davvero di oro. Gesù a volte ti trascina in situazioni complesse per vedere se si tratta di fede o di buona salute, di adesione a lui o a te stesso, di bigiotteria ornamentale o dinamica di vita. Non è lui la causa delle tragedie umane ma un’onda che arriva, come a Refrontolo, è sempre un monito rivolto all’esistenza: come imposti la vita? Di chi ti fidi? Quali sono le tue sicurezze?

2.    Riconoscere le paure. Ma non è così semplice riconoscere il Signore. Quando egli arriva, sul finire della notte, credono che si tratti di un fantasma. E gridarono dalla paura. Dio qualche volta ci sembra confuso e i suoi progetti ci spaventano come se si trattasse di una presenza estranea, che non condivide la sorte degli uomini. In Francia in questi giorni il Consiglio superiore per l’audiovisivo ha espresso un parere negativo rispetto alla decisione di alcune grandi reti televisive di trasmettere il filmato “Cara futura mamma”, dedicato al riconoscimento e alla valorizzazione dell’umanità dei bambini e delle persone affette dalla “sindrome di Down”. Si trattava di una serie di immagini che volevano incoraggiare una mamma gestante ad accogliere anche un bambino così. L’authority afferma invece che è sconveniente «disturbare la coscienza delle donne che, nel rispetto della legge, hanno fatto scelte diverse di vita personale». Ecco il fantasma che si aggira: la vita che ci fa paura e il vangelo che sembra contrastare la nostra felicità. «Coraggio, dice Gesù, sono io, non abbiate paura». Sono io è il nome santo di Dio che vuol dire ci sono. Il fantasma da combattere non è lui, ma le tue paure che talvolta cambiano i contorni della vita popolandole di spettri. Paura di mettere al mondo un figlio, paura che gli immigrati ci portino le malattie, paura che l’altro invada spazi vitali. Non è che le paure siano diventate più grandi di Dio, più grandi di quel “sono io” con cui ti accompagna?

3.    Camminare sull’acqua. C’è un altro passaggio che il Signore ci fa fare. «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Dalla tempesta si esce se impariamo a sfidare le leggi della natura, dell’ovvio, delle consuetudini e delle mode. C’è un altro equilibrio da ricercare, quello che nasce dalla fede. Ieri è venuto un uomo sulla quarantina per il funerale della mamma. Ricordando la malattia di questa donna, ha raccontato due episodi. Il primo quando in seguito a un aneurisma la donna era stata ricoverata e lui le era stato accanto per tutta la notte stringendole la mano. «In quel momento c’è stato il primo bilancio della mia vita e la verifica di quello che conta davvero e ti tiene in piedi». Il secondo, quando ha visto come si prendevano cura di sua madre alla Casa dei Gelsi. «Io le sono sempre stato vicino ma non riuscivo a farlo quando si sporcava. Quando ho visto la serenità con cui il personale la puliva, scherzando senza mai svendere la dignità di mia madre, mi sono chiesto: ma da dove arriva questa energia?». Ecco, la vita qualche volta ci fa capire che c’è una zona dove l’impossibile si trasforma, dove le acque non ti sommergono, dove ci può essere una mano che ti rialza. È il senso di quella “Carta del coraggio” che oggi gli scout sottoscrivono a S. Rossore.
 
 
     «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Non lasciarti sommergere dall’onda perché c’è qualcuno che la vince e su di essa ti fa camminare. Forse può essere un modo nuovo per guardare ai problemi e per imparare ad uscirne.

 

 

Omelia 3 agosto 2014


Diciottesima domenica del T. O.

Laurence Binyon è un poeta inglese noto per aver pubblicato sul Times una poesia che, alla vigilia della prima guerra mondiale, scosse molto l’opinione pubblica londinese.

Io scendo tra le genti come un'ombra,
Io siedo accanto a ciascuno.
Nessuno mi vede, ma tutti si guardano in faccia,
E sanno ch'io sono lì.
Il mio silenzio è simile al silenzio della marea
Che sommerge il campo di gioco dei bimbi […]

Io Sono più tremenda degli eserciti,
Io sono più temuta del cannone. […]
Io sono il primo e l'ultimo istinto dei viventi...
Sono la Fame.
La fame, primo e ultimo istinto dei viventi. Gesù lo sa bene. E proprio per questo si fa conoscere mentre la fame si fa sentire, al termine di una giornata in cui molta gente lo ha seguito. Sarebbe più comodo mandare a casa tutti, come suggeriscono i discepoli, ma lui prende sul serio la fame degli uomini e ad essa dà risposta. Pane in abbondanza per tutti, addirittura che avanza. Quel pane è lui stesso, cibo di eternità; perché in ogni fame c’è sempre una fame più grande: di conoscenza e di verità, di appartenenza e d’amore, di compimento e felicità.  Ma quello che emerge nel vangelo che abbiamo ascoltato è la partecipazione dei discepoli alla sazietà del mondo: Voi stessi date loro da mangiare. Siamo affamati, ma ci saziamo solo se rispondiamo alla fame degli altri. Non rimanere inerte, sembra dire Gesù, non fuggire: puoi contribuire al desiderio di felicità degli uomini. Come?

1.    Anzitutto considera quello che c’è. Il miracolo accade in ragione di una iniziale disponibilità, anche se sembra inadeguata o insufficiente. «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». Oggi noi siamo segnati da una logica di programmazione che funziona con progetti, stanziamenti, valutazione delle risorse: le grandi opere. Ma le grandi opere del cristianesimo sono sempre partite con un’insufficienza affidata alle mani di Dio. Basti pensare a S. Giuseppe Cottolengo a Torino. La sua Casa della Divina Provvidenza nasce in precarie condizioni economiche. Oggi è una struttura che raccoglie oltre quattromila ospiti. A volte alcune situazioni della vita ci sembrano insormontabili. E non solo quelle segnate dal limite, come l’assistenza di un malato. Anche quelle che riguardano la vita e il futuro, come fare una famiglia o un figlio dato che in 10 anni sono aumentate del 10% le famiglie senza figli. Con la crisi, con l’imprevedibilità delle situazioni… Porta al Signore la tua disponibilità e lascia che lui accresca quel dono.
 
2.    Ma oltre la disponibilità, il miracolo ha bisogno della diffusione. Spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Il cristiano è coinvolto nella distribuzione del nutrimento buono, di una cultura fatta di dono, di amore percepito e realmente dato. Ha fatto molto riflettere nei giorni scorsi il caso di due gemelli nati da una donna thailandese che ha prestato il suo utero a una coppia australiana. Al terzo mese a uno dei bambini viene diagnosticata una malformazione e, di fronte al rifiuto della gestante di interrompere la gravidanza, i genitori australiani decidono di prendersi solo il bambino sano. Una storia di miseria umana: ma quella più grande non è quella di una donna che per far fronte alla povertà della sua famiglia arriva a scelte estreme. Povertà anche di chi ambiguamente sembra fare scelte d’amore e poi ne limita la forza. A volte si ha l’impressione che il pensiero cristiano in relazione a vita nascente sia piuttosto restrittivo; ma proprio in questo caso vediamo che non basta intuire dei varchi: bisogna passarci e assumersene le responsabilità. Come la donna thailandese che tenendo il bambino ha dichiarato: «Lo amo come un figlio e farò qualunque cosa per lui».

3.    Infine il miracolo avviene con un’operazione di raccolta. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Porta con te il ricordo di qualcosa di buono perché quello che hai ricevuto continui a nutrirti. Nei giorni scorsi Claudio Risé ha rieditato un libro, Felicità è donarsi, in cui racconta una sua esplorazione solitaria della Sardegna, all'insaputa dei genitori. Quindicenne, a Civitavecchia si imbarcò su un rimorchiatore, guardato con diffidenza dall'equipaggio. Ma un giovane mozzo, intuendo che il coetaneo era digiuno, gli si avvicinò porgendogli due mele. «Feci per frugarmi in tasca – ricorda Risé – alla ricerca di spicci. Mi fulminò con gli occhi scuri. “Che fai? – disse –. Sono per te. Da me”». Quel ricordo mi ha accompagnato ogni giorno confida lo psichiatra, ha spezzato il mio egocentrismo e ha inaugurato il mio essere-con.

Ecco perché al termine di ogni messa il sacerdote, raccogliamo e riponiamo il pane avanzato. Perché sia ricordo buono di un essere-con che cambia la vita.
 
Io sono la fame. Non è bella cosa la fame. Ma può essere l’esperienza che cambia la vita. Se trovi colui che ti sazia e se impari a farti nutrimento per gli altri.