sabato 9 agosto 2014

Omelia 10 agosto 2014


Diciannovesima domenica del T. O.

Forse l’opera d’arte maggiormente conosciuta della pittura giapponese è “La grande Onda” dipinta da Katsushika Hokusai presso la spiaggia di Kanagawa nel 1830 ca. http://it.wikipedia.org/wiki/La_grande_onda_di_Kanagawa L’onda diviene il riflesso di un animo agitato, sconvolto, continuamente sballottato e che non ha mai tregua. L’onda è un respiro bloccato mentre i flutti si raccolgono in alto e sembrano abbattersi come artigli minacciosi di un rapace. È quello che la vita talvolta ci riserva in quelle esperienze che minano la nostra stabilità. Pensate ai cristiani di Mosul: l’onda del fanatismo islamico integralista e violento che li sta spazzando via. Oltre centomila. Pochi sacchi con i vestiti, alcuni addirittura in pigiama su carovane di auto improvvisate o a piedi lungo il deserto. Una fuga verso Nord, nel Kurdistan, mentre l’Europa sembra sorda di fronte alla tragedia. Che si fa quando arriva l’onda che devasta la vita? I discepoli sulla barca sono l’icona di una situazione di difficoltà nella quale Gesù non è assente e offre possibilità di comprendere quanto sta succedendo e di venirne fuori.

1.    Accettare la prova. Anzitutto il brano inizia con una decisione molto ferma da parte di Gesù: Costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva. Sembra che la sedentarietà tranquilla non piaccia al Maestro preoccupato più della qualità della fede dei discepoli che della qualità della loro vita. Pensate alle parole di Papa Francesco: «Quando la chiesa diventa chiusa, si ammala. Preferisco mille volte una Chiesa incidentata, piuttosto che chiusa e malata». Proprio perché la fede si dà come cammino essa non può che correrne il rischio, accettando di crescere anche attraverso la prova. Il termine basanízo che indica la barca agitata dalle onde è lo stesso verbo che si usa per la prova dei metalli preziosi, per verificare se si tratta davvero di oro. Gesù a volte ti trascina in situazioni complesse per vedere se si tratta di fede o di buona salute, di adesione a lui o a te stesso, di bigiotteria ornamentale o dinamica di vita. Non è lui la causa delle tragedie umane ma un’onda che arriva, come a Refrontolo, è sempre un monito rivolto all’esistenza: come imposti la vita? Di chi ti fidi? Quali sono le tue sicurezze?

2.    Riconoscere le paure. Ma non è così semplice riconoscere il Signore. Quando egli arriva, sul finire della notte, credono che si tratti di un fantasma. E gridarono dalla paura. Dio qualche volta ci sembra confuso e i suoi progetti ci spaventano come se si trattasse di una presenza estranea, che non condivide la sorte degli uomini. In Francia in questi giorni il Consiglio superiore per l’audiovisivo ha espresso un parere negativo rispetto alla decisione di alcune grandi reti televisive di trasmettere il filmato “Cara futura mamma”, dedicato al riconoscimento e alla valorizzazione dell’umanità dei bambini e delle persone affette dalla “sindrome di Down”. Si trattava di una serie di immagini che volevano incoraggiare una mamma gestante ad accogliere anche un bambino così. L’authority afferma invece che è sconveniente «disturbare la coscienza delle donne che, nel rispetto della legge, hanno fatto scelte diverse di vita personale». Ecco il fantasma che si aggira: la vita che ci fa paura e il vangelo che sembra contrastare la nostra felicità. «Coraggio, dice Gesù, sono io, non abbiate paura». Sono io è il nome santo di Dio che vuol dire ci sono. Il fantasma da combattere non è lui, ma le tue paure che talvolta cambiano i contorni della vita popolandole di spettri. Paura di mettere al mondo un figlio, paura che gli immigrati ci portino le malattie, paura che l’altro invada spazi vitali. Non è che le paure siano diventate più grandi di Dio, più grandi di quel “sono io” con cui ti accompagna?

3.    Camminare sull’acqua. C’è un altro passaggio che il Signore ci fa fare. «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Dalla tempesta si esce se impariamo a sfidare le leggi della natura, dell’ovvio, delle consuetudini e delle mode. C’è un altro equilibrio da ricercare, quello che nasce dalla fede. Ieri è venuto un uomo sulla quarantina per il funerale della mamma. Ricordando la malattia di questa donna, ha raccontato due episodi. Il primo quando in seguito a un aneurisma la donna era stata ricoverata e lui le era stato accanto per tutta la notte stringendole la mano. «In quel momento c’è stato il primo bilancio della mia vita e la verifica di quello che conta davvero e ti tiene in piedi». Il secondo, quando ha visto come si prendevano cura di sua madre alla Casa dei Gelsi. «Io le sono sempre stato vicino ma non riuscivo a farlo quando si sporcava. Quando ho visto la serenità con cui il personale la puliva, scherzando senza mai svendere la dignità di mia madre, mi sono chiesto: ma da dove arriva questa energia?». Ecco, la vita qualche volta ci fa capire che c’è una zona dove l’impossibile si trasforma, dove le acque non ti sommergono, dove ci può essere una mano che ti rialza. È il senso di quella “Carta del coraggio” che oggi gli scout sottoscrivono a S. Rossore.
 
 
     «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Non lasciarti sommergere dall’onda perché c’è qualcuno che la vince e su di essa ti fa camminare. Forse può essere un modo nuovo per guardare ai problemi e per imparare ad uscirne.

 

 

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