Diciannovesima domenica del T. O.
Forse l’opera d’arte
maggiormente conosciuta della pittura giapponese è “La grande Onda” dipinta da Katsushika Hokusai presso la spiaggia di
Kanagawa nel 1830 ca. http://it.wikipedia.org/wiki/La_grande_onda_di_Kanagawa L’onda diviene il riflesso di un animo agitato,
sconvolto, continuamente sballottato e che non ha mai tregua. L’onda è un
respiro bloccato mentre i flutti si raccolgono in alto e sembrano abbattersi
come artigli minacciosi di un rapace. È quello che la vita talvolta ci riserva
in quelle esperienze che minano la nostra stabilità. Pensate ai cristiani di
Mosul: l’onda del fanatismo islamico integralista e violento che li sta
spazzando via. Oltre centomila. Pochi sacchi con i vestiti, alcuni addirittura
in pigiama su carovane di auto improvvisate o a piedi lungo il deserto. Una
fuga verso Nord, nel Kurdistan, mentre l’Europa sembra sorda di fronte alla
tragedia. Che si fa quando arriva l’onda che devasta la vita? I discepoli sulla
barca sono l’icona di una situazione di difficoltà nella quale Gesù non è
assente e offre possibilità di comprendere quanto sta succedendo e di venirne
fuori.
1. Accettare la prova. Anzitutto
il brano inizia con una decisione molto ferma da parte di Gesù: Costrinse i discepoli a salire sulla barca e
a precederlo sull’altra riva. Sembra che
la sedentarietà tranquilla non piaccia al Maestro preoccupato più della qualità
della fede dei discepoli che della qualità della loro vita. Pensate alle parole
di Papa Francesco: «Quando la chiesa diventa chiusa, si ammala. Preferisco
mille volte una Chiesa incidentata, piuttosto che chiusa e malata». Proprio perché
la fede si dà come cammino essa non può che correrne il rischio, accettando di
crescere anche attraverso la prova. Il termine basanízo che indica la barca agitata
dalle onde è lo stesso verbo che si usa per la prova dei metalli preziosi, per
verificare se si tratta davvero di oro. Gesù a volte ti trascina in situazioni
complesse per vedere se si tratta di fede o di buona salute, di adesione a lui
o a te stesso, di bigiotteria ornamentale o dinamica di vita. Non è lui la
causa delle tragedie umane ma un’onda che arriva, come a Refrontolo, è sempre
un monito rivolto all’esistenza: come imposti la vita? Di chi ti fidi? Quali sono
le tue sicurezze?
2. Riconoscere le paure. Ma
non è così semplice riconoscere il Signore. Quando egli arriva, sul finire
della notte, credono che si tratti di un fantasma. E gridarono dalla paura. Dio qualche volta ci sembra confuso e i
suoi progetti ci spaventano come se si trattasse di una presenza estranea, che
non condivide la sorte degli uomini. In Francia in questi giorni il Consiglio
superiore per l’audiovisivo ha espresso un parere negativo rispetto alla
decisione di alcune grandi reti televisive di trasmettere il filmato “Cara futura mamma”, dedicato al
riconoscimento e alla valorizzazione dell’umanità dei bambini e delle persone
affette dalla “sindrome di Down”. Si trattava di una serie di immagini che
volevano incoraggiare una mamma gestante ad accogliere anche un bambino così. L’authority
afferma invece che è sconveniente «disturbare la coscienza delle donne che, nel
rispetto della legge, hanno fatto scelte diverse di vita personale». Ecco il
fantasma che si aggira: la vita che ci fa paura e il vangelo che sembra
contrastare la nostra felicità. «Coraggio,
dice Gesù, sono io, non abbiate paura». Sono
io è il nome santo di Dio che vuol dire ci
sono. Il fantasma da combattere non è lui, ma le tue paure che talvolta
cambiano i contorni della vita popolandole di spettri. Paura di mettere al
mondo un figlio, paura che gli immigrati ci portino le malattie, paura che l’altro
invada spazi vitali. Non è che le paure siano diventate più grandi di Dio, più
grandi di quel “sono io” con cui ti accompagna?
3. Camminare sull’acqua. C’è
un altro passaggio che il Signore ci fa fare. «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed
egli disse: «Vieni!». Dalla tempesta si esce se impariamo a sfidare le
leggi della natura, dell’ovvio, delle consuetudini e delle mode. C’è un altro
equilibrio da ricercare, quello che nasce dalla fede. Ieri è venuto un uomo sulla
quarantina per il funerale della mamma. Ricordando la malattia di questa donna,
ha raccontato due episodi. Il primo quando in seguito a un aneurisma la donna era
stata ricoverata e lui le era stato accanto per tutta la notte stringendole la
mano. «In quel momento c’è stato il primo bilancio della mia vita e la verifica
di quello che conta davvero e ti tiene in piedi». Il secondo, quando ha visto
come si prendevano cura di sua madre alla Casa dei Gelsi. «Io le sono sempre
stato vicino ma non riuscivo a farlo quando si sporcava. Quando ho visto la
serenità con cui il personale la puliva, scherzando senza mai svendere la
dignità di mia madre, mi sono chiesto: ma da dove arriva questa energia?».
Ecco, la vita qualche volta ci fa capire che c’è una zona dove l’impossibile si
trasforma, dove le acque non ti sommergono, dove ci può essere una mano che ti
rialza. È il senso di quella “Carta del coraggio” che oggi gli scout
sottoscrivono a S. Rossore.
«Uomo di poca
fede, perché hai dubitato?». Non lasciarti sommergere dall’onda perché c’è
qualcuno che la vince e su di essa ti fa camminare. Forse può essere un modo
nuovo per guardare ai problemi e per imparare ad uscirne.
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