Ventottesima domenica del T. O.
La
festa appartiene alla vita degli uomini e anche nel nostro paese ce ne sono
molte: la contrada, la classe, la semplice voglia di stare insieme e
divertirsi. Ma a volte succede qualcosa di strano: giunge un ospite seducente
che strega gli animi e confonde. È l’alcool. E ci si apparta con una bottiglia
di vodka che diventa padrona della vita e consegna allo stordimento e al vuoto.
Ci dobbiamo interrogare sul senso della festa. Lo devono fare i ragazzi rapiti
da un mito di trasgressione che sembra consacrare una sorta di riconoscimento
sociale e lo devono fare anche gli adulti che qualche volta sono complici della
situazione e incapaci di suggerire prospettive differenti. Se indichiamo il
nulla è chiaro che di qualcosa lo si riempirà, ma non è detto che sia quello
che ci tiene in piedi.
Anche
il Signore oggi ci parla di una festa: è quella che Dio intende realizzare con
ogni uomo. È bella questa determinazione di Dio di coinvolgere proprio tutti,
buoni e cattivi, fino ai crocicchi delle strade. Di che festa si tratta? Come
la si custodisce?
1. Anzitutto
è una festa di nozze. Dio vuole farci capire che la festa nasce da un incontro
vero, da un dono d’amore all’altro. Lui per primo si dona e vuole coinvolgerti
in quella stessa logica. Le feste funzionano quando sposi qualcuno, quando la
tua vita diventa partecipazione vera alle sorti dell’altro, non quando ti
giochi a metà. La gioia è essere gioia per qualcuno da amare senza riserve. Pensate
al fenomeno delle convivenze che stanno aumentando. A volte queste situazioni
sono passaggi graduali verso il matrimonio. A volte divengono scelte di chi non
vuol scegliere. E perché? Perché non si sa mai, perché non servono tante
dichiarazioni ma solo la personale decisione... Però sentiamo che sotto c’è il
rischio di un impegno preso a metà, di cercare una uscita di sicurezza. Trova
la bellezza di un sì che continua. La festa cerca sempre misure di eternità.
2. La
proposta di Dio però trova qualche ostacolo. Venite alle nozze! Ma quelli non se ne curarono e andarono chi
al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li
insultarono e li uccisero. A volte Dio disturba. Abbiamo altre cose da
fare: il campo e i propri affari. Lavoro ad oltranza, anche due o tre lavori e
non ti rendi conto che qualcosa ti sta sfuggendo di mano. Il contatto con la
tua famiglia, l’attenzione al mondo, l’incontro domenicale con il Signore. E
tiriamo fuori delle scuse: non ho tempo, servono soldi, piuttosto che andare a
messa per farsi vedere meglio fare il proprio dovere a casa. A messa ci vai
solo per farti vedere? O c’è un incontro da vivere che dà senso al tuo
quotidiano? Perché ci stupiamo dei giovani che sballano, ma quale orizzonte
indichiamo loro? La domanda segreta che
un figlio fa ai genitori non è “come si fanno i soldi” ma “cosa ci sono venuto
a fare in questo mondo”? Noi dobbiamo dare varchi, non prigioni.
3. Infine
la festa ha bisogno di un abito. Vuol dire: non viverla superficialmente, ad intermittenza.
Entra in tale logica, lascia che essa divenga un habitus, qualcosa che ti rivesta dalla testa ai piedi. Importante
questo aspetto perché possiamo entrare nel mondo di Dio ma con un abito che non
è il suo. E magari crediamo di operare per lui, di agire per suo conto mentre
stiamo cercando qualcos’altro: riconoscimento, risarcimento, controllo.
Partecipo a un gruppo ma mi devono dire che sono bravo. Animo un’iniziativa ma
elimino chi non la pensa come me. Faccio servizio ma devo farlo con i miei amici.
È la festa di Dio o la tua festa che cerchi? La festa la devi fare vestito di
nuovo, cercando una sorpresa, lasciandoti spiazzare dalle tue idee di ogni
giorno! Altrimenti non è festa: è programmazione aziendale, è cuccia calda, è
autocelebrazione. Rivestiti di novità e porta nel mondo lo stile di Dio! Forse
le nostre feste avranno qualcosa in più da dirci e forse chi ci sta accanto
vedrà che la festa possiede una sorgente.
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