domenica 12 ottobre 2014

Omelia 12 ottobre 2014


Ventottesima domenica del T. O.

La festa appartiene alla vita degli uomini e anche nel nostro paese ce ne sono molte: la contrada, la classe, la semplice voglia di stare insieme e divertirsi. Ma a volte succede qualcosa di strano: giunge un ospite seducente che strega gli animi e confonde. È l’alcool. E ci si apparta con una bottiglia di vodka che diventa padrona della vita e consegna allo stordimento e al vuoto. Ci dobbiamo interrogare sul senso della festa. Lo devono fare i ragazzi rapiti da un mito di trasgressione che sembra consacrare una sorta di riconoscimento sociale e lo devono fare anche gli adulti che qualche volta sono complici della situazione e incapaci di suggerire prospettive differenti. Se indichiamo il nulla è chiaro che di qualcosa lo si riempirà, ma non è detto che sia quello che ci tiene in piedi.

Anche il Signore oggi ci parla di una festa: è quella che Dio intende realizzare con ogni uomo. È bella questa determinazione di Dio di coinvolgere proprio tutti, buoni e cattivi, fino ai crocicchi delle strade. Di che festa si tratta? Come la si custodisce?

1.     Anzitutto è una festa di nozze. Dio vuole farci capire che la festa nasce da un incontro vero, da un dono d’amore all’altro. Lui per primo si dona e vuole coinvolgerti in quella stessa logica. Le feste funzionano quando sposi qualcuno, quando la tua vita diventa partecipazione vera alle sorti dell’altro, non quando ti giochi a metà. La gioia è essere gioia per qualcuno da amare senza riserve. Pensate al fenomeno delle convivenze che stanno aumentando. A volte queste situazioni sono passaggi graduali verso il matrimonio. A volte divengono scelte di chi non vuol scegliere. E perché? Perché non si sa mai, perché non servono tante dichiarazioni ma solo la personale decisione... Però sentiamo che sotto c’è il rischio di un impegno preso a metà, di cercare una uscita di sicurezza. Trova la bellezza di un sì che continua. La festa cerca sempre misure di eternità.

2.     La proposta di Dio però trova qualche ostacolo. Venite alle nozze! Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. A volte Dio disturba. Abbiamo altre cose da fare: il campo e i propri affari. Lavoro ad oltranza, anche due o tre lavori e non ti rendi conto che qualcosa ti sta sfuggendo di mano. Il contatto con la tua famiglia, l’attenzione al mondo, l’incontro domenicale con il Signore. E tiriamo fuori delle scuse: non ho tempo, servono soldi, piuttosto che andare a messa per farsi vedere meglio fare il proprio dovere a casa. A messa ci vai solo per farti vedere? O c’è un incontro da vivere che dà senso al tuo quotidiano? Perché ci stupiamo dei giovani che sballano, ma quale orizzonte indichiamo loro? La domanda segreta  che un figlio fa ai genitori non è “come si fanno i soldi” ma “cosa ci sono venuto a fare in questo mondo”? Noi dobbiamo dare varchi, non prigioni.

3.     Infine la festa ha bisogno di un abito. Vuol dire: non viverla superficialmente, ad intermittenza. Entra in tale logica, lascia che essa divenga un habitus, qualcosa che ti rivesta dalla testa ai piedi. Importante questo aspetto perché possiamo entrare nel mondo di Dio ma con un abito che non è il suo. E magari crediamo di operare per lui, di agire per suo conto mentre stiamo cercando qualcos’altro: riconoscimento, risarcimento, controllo. Partecipo a un gruppo ma mi devono dire che sono bravo. Animo un’iniziativa ma elimino chi non la pensa come me. Faccio servizio ma devo farlo con i miei amici. È la festa di Dio o la tua festa che cerchi? La festa la devi fare vestito di nuovo, cercando una sorpresa, lasciandoti spiazzare dalle tue idee di ogni giorno! Altrimenti non è festa: è programmazione aziendale, è cuccia calda, è autocelebrazione. Rivestiti di novità e porta nel mondo lo stile di Dio! Forse le nostre feste avranno qualcosa in più da dirci e forse chi ci sta accanto vedrà che la festa possiede una sorgente.

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