Terza domenica di pasqua
“Se fosse necessario rinunciare a tutto
il Vangelo per una sola scena in cui esso sia interamente riassunto, certo non
esiterei a indicare quella dei discepoli di Emmaus”. Così scriveva Jean Guitton, pensatore
francese amico di Paolo VI, nel suo Gesù,
pubblicato nel 1956. In effetti l’episodio contiene una piccola sintesi di vita
cristiana: l’agire di Dio e la vita degli uomini, i grandi riferimenti della
fede e i sentimenti che la accompagnano: smarrimento, delusione, speranza persa
e ritrovata, gioia. Emmaus è il cammino della nostra vita con il Signore, un
cammino che non esclude la fatica. Anche questo è un tempo faticoso, di
speranze mortificate, di racconti inquieti, di strade impervie.
Ecco perché anziché scegliere una delle tante opere che rappresentano
Gesù a tavola con i discepoli, ho preferito prenderne una dei discepoli
in cammino con lui. Un soggetto meno frequente nella storia dell'arte, di cui il capostipite sembra Duccio di Buoninsegna, pittore senese tra ‘200 e
‘300. Raccontano le cronache che il 9 giugno del 1311 ci fu una processione,
con grande partecipazione di popolo e di autorità cittadine, per il
trasferimento della “Maestà” dalla
bottega dell’artista al duomo di Siena. La Maestà di Duccio è una composizione
artistica che da un lato ritrae la Vergine in trono con gli angeli e i santi,
dall’altro ci sono scene evangeliche. Tra queste troviamo anche quella dei
discepoli di Emmaus, in cammino, con Gesù. In alto a destra. Immagine Discepoli di Emmaus - Duccio
Di questo
cammino vorrei riprendere i tre verbi fondamentali, che riguardano Gesù e che segnano i suoi movimenti.
1.
Gesù in
persona si avvicinò e camminava con loro. È un’immagine di prossimità e di
compagnia buona.
Duccio ha rappresentato questa vicinanza itinerante vestendo Gesù da
pellegrino: col cappello, il bastone, il mantello, la bisaccia e la conchiglia
che indossavano i viaggiatori che nel medioevo andavano a Santiago. Nel grande pellegrinaggio
della vita, sono qui con te, anche se non mi riconosci. Un Gesù paziente,
discreto, rispettoso dei cammini degli uomini. Scalzi i discepoli e scalzo anche lui. Non ha fretta di rivelarsi:
aspetta i tempi della vita, ascolta prima di parlare, chiede di raccontare. Che sono questi discorsi che stavate facendo
lungo la via? La manifestazione di Gesù inizia con la manifestazione del
cuore dell’uomo. Anche se è un cuore triste, ferito, deluso. Non aver paura di
raccontare al Signore quello che ti capita, compresi i drammi di questo tempo.
E tutte le volte che qualcuno ascolta qualcun altro, c’è qualcosa di divino che
si compie. Su questo racconto poi, Gesù ci mette del suo, ci mette la sua vita,
la sua parola, la sua lettura. Spiegò in
tutte le scritture quello che si riferiva a lui. Parla e ascolta. La
guarigione ha bisogno di entrambi i movimenti, ha bisogno anche di accogliere
parole vere, profonde, perché le nostre parole sono limitate. A volte ci chiudono
in circuiti involutivi: bisogna ospitare parole vere, che riscaldino il cuore. Ieri
era il 25 aprile. Quante parole si dicono e si scrivono. Quante ferite ancora
aperte e quante accuse che gli uni riversano sugli altri. Forse le parole vere
sono quelle di Papa Francesco quando ci invita a mettere fine alla parola
guerra, a spegnere i focolai di odio presenti nel mondo. Questa è la resistenza: resistere alla cultura
dell’odio e dell’indifferenza che neanche il coronavirus riesce a sconfiggere. E
trovare parole di perdono, di riconciliazione, di pace.
2.
Il secondo verbo di movimento che appartiene a
Gesù è una specie di provocazione: fece
come se dovesse andare più lontano. Nell’immagine di Duccio lo si nota
bene: bastone ben piantato per terra, mano tesa in avanti, piedi su un terreno
sconnesso, nella determinazione di Gesù di proseguire il cammino. Gesù ci
spinge sempre in avanti. Ha in mente qualcosa in più. Oltre la stagnazione, ma
anche oltre la sola compagnia, oltre le tue parole e anche oltre le sue. Nel
senso che la sua parola domanda ospitalità, trasformazione, accoglienza. Gesù
vuole portarci più lontano. Là lo si riconosce. Non so se avete letto quella
straziante lettera ospitata da Famiglia
Cristiana di un padre e di un nonno che si congeda dai suoi famigliari
descrivendo la casa di riposo in cui si trova come “prigione dorata”. Sembra
infatti che non manchi niente ma non è così…manca la cosa più importante, la
vostra carezza, il sentirmi chiedere tante volte al giorno "come stai
nonno?", gli abbracci e i tanti baci, le urla della mamma che fate dannare.
In questi mesi mi è mancato
l'odore della mia casa, il vostro profumo, i sorrisi, raccontarvi le mie storie
e persino le tante discussioni. Ecco qua l’invito ad andare più lontano. Anche nell’incontro
tra le generazioni, vincendo la cultura dello scarto.
3. Infine
il terzo passaggio. I due infatti sono stati bene insieme e lo pregano: Non andartene: rimani con noi perché il solo
ormai è al declino. Guardate la mano del discepolo più giovane che sembra
invitare Gesù a casa sua. Ed egli entrò
per rimanere con loro. Un lungo cammino per
rimanere. Gesù sparirà poi dalla vista, ma non ritirerà la sua presenza:
rimane. Niente e nessuno riesce a modificare
questa sua determinazione. Non lo vedi, ma c’è. E il rimanere è affidato ad un
gesto: un pane spezzato. Forse per questo Duccio non dipinge la scena classica
dei discepoli a tavola. Perché quella scena si ripete sempre sull’altare di
fronte al quale la Maestà è collocata. Gesù lo riconosci quando spezzi il pane
con lui. Quando celebri l’eucaristia e quando diventi eucaristia, pane spezzato
per gli altri. Non vediamo l’ora di poter celebrare la messa insieme. Ma c’è
una messa solenne che in questo tempo si compie, fatta di tanta gente che si spezza
per gli altri. Lì c’è il Signore che si fa conoscere e che rimane. Anche in
quella città che appare sulla destra, dove non solo Duccio, ma questo tempo ci aspetta.
Buonasera,
RispondiEliminaHo letto ora l'ultima omelia che accompagna un suo fedele a fine giornata terrena verso incontro decisivo con il Risorto nostra pace. Componeva. Vorrei per me non avesse sole esequie e ritirato mutismo, ma possibilità di amicizia, ricomprensione, percorrenza. Sa bene non essere il solo ad aver lasciato le mie mani repentinamente, senza una parola, anzi, come non mi fossi accorta anche di qualche parola di troppo, stizzita, stizzita di che? Ho perso un fratello che spero ritrovare. Qui, lo vede, siamo tutti ancora troppo lontani, inimicati, freddi, smemorati. Anche a questo serve la poesia, a ricordare che la vita è animata da fuoco d'amore, dono libero e immenso, tesoro spirituale, ma anche corpi che percorrendo mondo sanno costruire civiltà. Lasci stare. Come sta? Fa freddo da tanti anni. A Treviso, a Martellago, ovunque non si voglia proprio avvicinare la debolezza, "neanche per un attimo" (Alessio Lega). Tempo combattuto, di muri che non posso vedere. Lei li può vedere? I suoi fedeli non corrono mai in chiesa a piangere ed offrire suppliche? Che cosa stiamo facendo? Perché siamo così mal disposti? Vangelo non è solo parole