Omelia
Quarta domenica di Pasqua – 3 maggio 2020
Chi
non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è
un ladro e un brigante. Ladri e briganti erano personaggi ben conosciuti
dal Caravaggio che, frequentando i bassifondi e le taverne della Roma del ‘600,
incrociava varia e provocante umanità, che poi finisce nei suoi dipinti. Del
resto, lo stesso Caravaggio era un personaggio piuttosto suscettibile,
scontroso e veloce anche con le armi, dato che nel 1606 colpisce a morte un
avversario durante una rissa. Come a dire: il bene e il male convivono dentro
di noi e i quadri che dipingiamo, col pennello o con le parole, hanno sempre
riscontro nel cuore di ciascuno. E l’immagine di questo mondo articolato e contrastante
appare in un quadro del primo Caravaggio, dipinto tra il 1593-95 e conservato a
Roma nei Musei Capitolini. La buona ventura. Caravaggio, La buona ventura - Roma Un soggetto che poi verrà riprodotto due-tre anni
dopo, in un’altra versione, conservata al Louvre. Noi ci soffermiamo sulla
prima, che forse esprime una maggiore immediatezza.
Vediamo due personaggi, entrambi
agli inizi della stagione adulta della vita. A sinistra una giovane donna, con
il turbante, vestiti ampi, tipici dell’abbigliamento zigano. A destra un
giovane uomo, giacca damascata, colletto e polsi ricamati, i guanti, un cappello
piumato, una spada: è un nobile del ‘600, uno che pensa di essere
sufficientemente sicuro per la posizione sociale, per i soldi che ha, per le
armi che riesce a maneggiare. Osserviamo i volti e gli sguardi: gli occhi si
incrociano, ognuno guarda in quelli dell’altro.
Gli occhi del giovane, senza riuscirci, cercano di dominare una seduzione, da parte della donna e di quello che sta annunciando, come se volesse dire: sentiamo cosa mi racconti, non riuscirai a ingannarmi. In lui osserviamo curiosità, attrazione, una certa supponenza. Lo sguardo della
zingara, invece, sicuro di sé, prevale su quello del suo interlocutore: lo cattura con
gli occhi, gli sorride e quasi lo ipnotizza. Ma il problema non è in quello che sta dicendo, ma in quello che sta facendo. Guardate le mani di questa donna: mani abituate ad un gioco sporco, come
dichiarano le unghie sporche della mano sinistra. E infatti, con gesti di
grande scaltrezza, di cui il giovane manco si rende conto, gli sta sottraendo
l’anello d’oro che porta al dito. Una pennellata di giallo che si fa fatica a
vedere, ma ben documentata dai restauri dell’opera nel 1985. Le dita si muovono abilmente: accarezzano, coprono, muovono e l'anello viene sfilato.
Ecco allora il senso delle parole di
Gesù. Attento a chi si avvicina alla tua
vita, al tuo recinto. Non sempre vuole il tuo bene: vuole i tuoi soldi, la
tua attenzione, le tue convinzioni, la tua libertà. Oggi è la Giornata delle Vocazioni, la giornata per pensare in grande la vita, per farne un dono. Stai
attento a chi ti seduce, a chi ti convince che l’esistenza riuscita sia quella
dello youtuber o dell’influencer a indicare tendenze, a provare ristoranti, a mostrare balletti o inedite performances. Forse c’è qualcosa in più:
da cercare e da custodire.
Gesù presenta un’altra figura cui rivolgere la vita:
quella del pastore. Il pastore che è lui e forse il pastore che possiamo diventare
anche noi. Come si riconosce questa fisionomia?
1. Il
pastore entra dalla porta. Anzi è
lui stesso la porta. Io sono la porta
delle pecore. Stai attento alle porte che apri e alle porte che chiudi.
Perché in esse si gioca l’accoglienza di Dio e di una vita vera. Mi ha colpito
in questi giorni la notizia che in Piemonte è stata sgominata una banda per lo
sfruttamento di lavoratori immigrati clandestini tra le viti del Monferrato. E
a Prima pagina il 1 maggio, festa del
lavoro, un insegnante di italiano per stranieri raccontava il caso di due
ragazzi africani che vengono in Italia, a Forlì e iniziano a lavorare tanto da
essere insostituibili nelle loro aziende. Stesso percorso per entrambi. Poi
arrivano i decreti sicurezza. Un ragazzo ottiene la cittadinanza, l’altro no.
Inspiegabilmente. E siccome non si può tornare a casa a motivo della pandemia,
questo ragazzo si trova immediatamente clandestino, lavora in nero, paga
l’affitto in nero. È condannato all’invisibilità e alla povertà. Ecco la porta
che il pastore ci invita ad aprire. Dove non ci sono solo dei ragazzi che
cercano vita: c’è lui alla porta, anche in questo nostro Paese che ha bisogno
di una manodopera di cui non disponiamo. Fa’ entrare il pastore.
2. Il
pastore chiama le pecore per nome ed esse ascoltano la sua voce. È quello che lo differenzia dal ladro e dal
brigante. Un’immagine che ci suggerisce il desiderio della relazione. Gesù non
vuole sudditi, ma discepoli, fratelli, capaci di ascoltare la sua voce e di
conoscerlo mediante la voce. In questi giorni ci sono state varie polemiche
sulla messa, sulla riapertura delle chiese. E ci siamo scatenati, da una parte
e dall’altra. Da una parte i difensori della sicurezza che dicono che si può
pregare anche in cucina. Dall’altro quelli che avvertono la mancanza
dell’eucaristia e vorrebbero partecipare di persona all’appunta-mento
domenicale. E abbiamo innescato una polemica senza renderci conto che anziché
ascoltare il Signore, la sua voce, stavamo ascoltando noi stessi, le paure, le
pretese, le rivendicazioni. Ascoltare il Signore. Che parla anche con la voce
dei nostri ragazzi che oggi avrebbero fatto la loro prima comunione: Caro Gesù sappiamo che tu sei sempre con noi
e anche nei momenti più tristi e bisognosi, sei pronto a sostenerci. Noi
aspetteremo e quando sarà il momento riceveremo la prima comunione. Intanto ti
preghiamo di guarire gli ammalati. Le mie pecore ascoltano la mia voce ed
esse mi seguono.
3. Infine riconosci il pastore perché le sue pecore le conduce fuori e cammina davanti ad esse. Non è un Dio che arreda recinti ma
apre orizzonti. Questo è un tempo per ripensarsi in uscita. Non è un invito a
uscire di casa, come tanto vorremmo, ma a venir fuori in quella novità che il Signore ti chiede,
anche quando sei a casa. Vieni fuori
con la tua intraprendenza, con la tua generosità, con la tua voglia di
giocarti, con i sì nei quali consegni il meglio di te. Non abbiamo bisogno di chi racconta la sua insulsa giornata di lockdown ai followers ma di gente capace di spendersi per gli altri, di camminare davanti agli altri sollevando il velo dell'indifferenza e della mediocrità. Come d. Giuseppe Berardelli, prete di Bergamo, che rinuncia al respiratore procuratogli dalla sua parrocchia, per darlo a un paziente più
giovane, in difficoltà. Ecco un uomo che è uscito, che ha camminato avanti, indicando un di più di vita, speranza, di umanità. Dove cammini? La grande domanda non è "quando si potrà uscire di casa", ma "che ci vado a fare fuori di casa". Portare vita, suggerisce Gesù, vita in abbondanza.
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