PASQUA 2020 (12 aprile 2020)
«Mi alzo all’alba per
studiare nel brillio dell’occhio del mio modello il riflesso ardente del sole
che spunta all’orizzonte», è quello che in una lettera, nel 1898, Eugène Burnand, pittore
svizzero scrive all’amico Paul Robert, descrivendogli il dipinto che stava
realizzando.
L’opera è forse la corsa al sepolcro
più emozionante che la storia dell’arte conosce.
Tutto comincia con la scoperta
di Maria di Magdala che, di fronte al sepolcro vuoto: corre per dare l’annuncio
ai discepoli. E poi loro, Pietro e Giovanni riprendono quella corsa, tornando
al luogo da cui è partita. Al sepolcro. Eccoli qua. Con le loro espressioni
intense, gli occhi luminosi, i capelli scompigliati, le mani che vogliono dirci
qualcosa. Il mattino di pasqua ha bisogno della corsa di questi due discepoli,
per arrivare a noi, per destare anche le nostre corse. Perché il cristianesimo
non sopporta la vita sedentaria, il divano. È via, odòs, come i primi cristiani identificavano inizialmente la loro fede.
Che cosa ci raccontano Pietro e Giovanni di questa corsa?
1.
È una
corsa che non ha età, che raccoglie ogni età. Pietro con i tratti dell’uomo
maturo, Giovanni con quelli di un giovane. È la corsa degli adulti e dei
ragazzi, dei giovani e degli anziani. In questo periodo in cui siamo rinchiusi,
tutti abbiamo il desiderio di uscire e tutti cerchiamo appoggi nel Codice Ateco o nel cagnolino di casa. Gesù ci
fa capire che la corsa, almeno la sua, appartiene a tutti. Gesù risorto ci ha
regalato tante suggestioni anagrafiche in questi giorni, aiutandoci a cogliere
una fede ricca del dono di tutti. Dei bambini, dei loro disegni, del pane che
hanno impastato e cotto il giovedì santo. Degli genitori che hanno aiutato i
loro figli a costruire una croce, ma che soprattutto la croce l’hanno e la
stanno portando con la loro responsabilità, famigliari e professionali. E poi
la corsa di due anziani, seduti dietro casa il venerdì santo, ad osservare il
campanile. Fermi immobili, ma sentimenti e pensieri correvano molto. Non
smettere di correre, mai. La fede è una corsa, una staffetta. Perché vive di
testimonianza, da persona a persona. Qualcuno arriva prima, qualcuno poi. È
importante aspettarsi, condividere.
2.
È una
corsa ricca di pensieri, di affetti, di emozioni. Osservate i colori: Giovanni è vestito di cielo, Pietro di terra. Osservate gli sguardi.
Giovanni sembra osservare un punto fisso di fronte a sé, sembra custodirlo
nelle mani raccolte. Pietro invece ha la fronte corrugata, gli occhi inquieti,
come inquieto è anche il gioco della mani. Pietro ha un vuoto da colmare,
quello del rinnegamento, il confronto con la sua meschinità. La corsa pasquale
non appartiene ai perfetti, ma ai salvati. Penso al bene che mi hanno fatto le
testimonianze ascoltate venerdì sera. Testimonianze dal carcere dove qualcuno
ci ha raccontato il male che lo abitava e il cambiamento, disperazione e
speranza. In carcere sono diventato
nonno: mi sono perso la gravidanza di mia figlia. Un giorno, alla mia nipotina,
non racconterò il male che ho commesso ma solamente il bene che ho trovato. Le
parlerò di chi, quando ero a terra, mi ha portato la misericordia di Dio…. È
vero che sono andato in mille pezzi, ma la cosa bella è che quei pezzi si
possono ancora tutti ricomporre. Non è facile: è l’unica cosa, però, che qui
dentro abbia ancora un significato. A volte, anche noi siamo a pezzi, ma
Dio ci ricompone. Come più di qualcuno ha sperimentato in questi giorni,
deponendo arroganza, onnipotenza, spirito di rivalsa e di vendetta. Abbiamo
speso buona parte della nostra vita per essere i migliori. Ora ne comincia un’altra. Quella per essere migliori. E basta. Per quel Dio che
conosce questa parte di noi e ci invita a liberarla, ad uscire dal carcere del
risentimento, dei sensi di colpa, della paranoica sensazione che siano sempre
gli altri a sbagliare. Esci dal sepolcro: tira fuori la parte migliore di te.
3. È una corsa nella luce. È un dipinto
pieno di luce. Quella del mattino, quella che brilla, condensata, proprio nella
pupilla di Pietro. Sei peccatore ma Dio con la sua luce può catturare i tuoi
occhi. E questa luce dice che c’è nell’aria qualcosa di nuovo. Questa immagine
ci restituisce l’idea di un cristianesimo vivo, di un incontro. Noi non siamo i
seguaci di un libro, neanche di un’etica buona. Ma del Signore risorto e vivo. Qualche
volta vorremmo vederlo, essere confortati dai segni. Il tempo pasquale ce li
regala, se li sappiamo cogliere. Come mi è capitato venerdì, spostando un faro
dell’illuminazione della croce che avevo collocato sul sagrato. Quella luce provvida
ha stampato un’ombra sulla facciata della chiesa, innalzando sorprendentemente una
sorta di albero maestro. Non era più il patibolo, ma un vessillo, un invito a
prendere il largo, a fidarci di Gesù risorto, vivo e ben presente sulla scena
della chiesa e del mondo. Suggestioni,
forse. Che ti lasciano però sempre di fronte ad un bivio, alla possibilità di
scegliere tra il disincanto e la fede. Il discepolo amato sceglie la seconda ipotesi:
entra nel sepolcro e vide e credette. Da quel momento il
mattino si è acceso, dei colori di Burnand, della stessa luce con la quale Gesù
risorto, talora con sorpresa illumina anche noi.
Nessun commento:
Posta un commento