lunedì 31 dicembre 2018

Omelia 30 dicembra 2018


S. FAMIGLIA 2018

I tuoi figli non sono figli tuoi.
Sono i figli e le figlie della vita stessa.
Tu li metti al mondo ma non li crei.
Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.

Sono i versi dedicati ai figli dell’opera Il Profeta, celebre testo del poeta libanese Kahil Gibran. Versi che si chiudono con un’immagine: Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani. Non è per niente facile questa operazione. Oggi nei confronti dei figli c’è in genere un atteggiamento di protezione che da un lato mette al riparo i ragazzi rispetto ai pericoli che possono incontrare, dall’altro li imprigiona in un rapporto simbiotico dove non è il ragazzo ad avere bisogno del genitore, quanto piuttosto il contrario. Tu sei l’arco, dice Gibran, i tuoi figli sono le frecce. Invece succede che il cordone ombelicale sembra trattenere ogni possibilità di crescita e di autonomia. Avete mai visto bambini vestiti come le loro mamme o come i loro papà? È il segnale che qualcosa non funziona. Avete visto mamme che non mollano il figlio, né a nonne né ad amiche, anche quando avrebbero bisogno di aiuto? Chi ha bisogno di chi?

L’episodio di Maria e Giuseppe che non trovano più Gesù con loro per recuperarlo dopo tre giorni di ricerca a Gerusalemme è l’occasione per riflettere sul compito dei genitori e di come essere adulti accanto a dei ragazzi che crescono.

1.    Credendo che egli fosse nella comitiva. Maria e Giuseppe pensano che il loro figlio sia nel gruppo famigliare, in una realtà conosciuta. Primo atteggiamento importante è superare la presunzione di sapere, di avere la situazione sotto controllo. A volte la presunzione è legata all’estensione del frame. Un’immagine della pellicola viene confusa con l’intero film. Tuo figlio a casa è tranquillo ed educato, di conseguenza pensi che sia sempre così. E ti sembra strano se l’insegnante ti rivela la sua aggressività o la sua chiusura. Pensate al fenomeno di bullismo capitato ad Abano Terme a fine novembre. Ragazzi di tredici anni che pestano un loro compagno di scuola. Non parla il bullizzato, non parlano i bulli finché non parlano gli ematomi. E allora gli adulti increduli, da una parte e dall’altra, iniziano a interrogarsi: a mettere insieme i pezzi che prima avevano trascurato: chiusura, isolamento, improvviso calo del rendimento scolastico. Soprattutto dichiarano la loro sorpresa: «Sì, abbiamo sentito ciò che è successo. Pensavamo che certe cose si potessero vedere solamente in televisione». Ecco la carovana: tu pensi che tuo figlio sia quello di sempre, invece sta capitando qualcosa di importante. Ci sei? Dove sei? Prova a sentire anche le impressioni degli altri: se qualcuno ti dice qualcosa su tuo figlio che non ti piace, forse non è un nemico, ma qualcuno che ti sta dando una mano.

2.    Cammina e cammina, chissà con quali sentimenti in cuore, dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri. E a quel punto la domanda: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ecco, nella relazione educativa le domande sono importanti, per trovarsi e per capirsi. Domande corrette, pertinenti, aperte a una risposta che non è quella che ho già in mente. Non è facile: a volte infatti abbiamo paura di fare domande perché le risposte ci fanno paura; altre volte facciamo domande aggressive, sarcastiche che non cercano risposte ma l’affermazione di sé e delle proprie idee. Pensate alle domande inutili: Come è andata oggi a scuola? O a quelle ironiche: Per venire a casa da scuola devi passare per Via Motte? O a quelle indagatrici: Cos’è sta puzza di fumo che ti porti addosso? Chi è quello là con cui parlavi? Guardate alla domanda di Maria. Innanzitutto alla domanda segue la comunicazione di uno stato d’animo. Angosciati, ti cercavamo. Fai capire che c’è qualcosa che ti sta a cuore, che c’è amore in quello che dici. Poi Maria coinvolge anche Giuseppe: Tuo padre e io. Mai agire per conto proprio, sempre in sintonia. Poi rimanere sul fatto, non sulle sue interpretazioni: Perché ci hai fatto questo? Non dice: perché sei fuggito, perché ci hai dimenticato, perché te ne impippi di noi… Non è detto che a quel punto avrete le risposte che state cercando, ma a quel punto voi avrete agito con rispetto e avrete dato un segnale di disponibilità.

3.    Poi c’è la risposta di Gesù. Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Alle domande di Maria e Giuseppe, Gesù risponde con altre domande. Mi pare interessante per due motivi questa risposta. Primo, perché non devi mai cessare di interrogarti su quello che Dio sta suggerendo alla tua famiglia. Perché tu ti comporti in una maniera che ti sembra buona, non è detto che vi sia il disegno di Dio. Allontano i figli dai nonni perché non si sono comportati bene. È proprio quello che ti dice il Signore o ti dice il tuo orgoglio? Secondo: anche tu puoi rispondere ai tuoi figli con le domande: Non voglio più andare a messa, i miei amici non fanno più religione. Credere è da sfigati. Sei proprio sicuro che sia la scelta migliore? Sei sicuro che in duemila anni di storia il cristianesimo abbia seminato scemenze? E continui a girare il risotto, facendo capire che forse c’è un pezzo di strada in più da fare. Proprio così: alla fine non ci sono risposte, ma la strada verso Nazaret, quella in cui Gesù, Maria e Giuseppe accolgono quella loro particolare famiglia e in essa continuano a capire e  a capirsi, a cercare e a trovare, come a casa nostra, come in ogni famiglia disposta a lasciarsi condurre da un progetto più grande del proprio.










1 commento:

  1. Bella omelia condivisibile.

    "Vorrei spesso qualcuno mi spiegasse qualcosa, portasse consolazione, prendesse mani, acciuffasse, raddrizzasse. Cercato nome caro qui, trovate scarse notizie e tanta malizia. Ne sono sdegnata. Vorrei rivederti prima di non poter più stringere mano, guardare occhi per come sono." da Breviloquia on Twitter


    Sono sfinita da questi silenzi

    Spero che non abbia anche lei a malizia, non potrei sopportarlo

    Buona notte nel Signore

    RispondiElimina