domenica 16 dicembre 2018

Omelia 16 dicembre 2018


Terza domenica di Avvento

Due bambini immigrati, uno cinese e il compagno dello Sri Lanka, stanno andando a scuola a Milano. E inciampano in un portafoglio pieno di soldi. Con tutto quel denaro tra le mani, la situazione si fa impegnativa. E allora consultano due amiche, una italiana e una peruviana e alla fine decidono di consegnare tutto a qualcuno di cui si fidano, all’insegnate che riesce a rintracciare il proprietario, un pensionato che aveva appena ritirato la tredicesima alla posta. Una storia a lieto fine, con tanto di pizza offerta ai ragazzi. Ma la domanda che emerge in questo semplice episodio è molto intrigante: che cosa dobbiamo fare? La vita non è fatta solo di idee, di riflessioni: è fatta di scelte ed è fatta di gesti che ci raccontano, che dicono di noi. Cominciare a fare è un modo per ritrovare se stessi, per intraprendere strade differenti, per far posto al Signore. Ebbene nel vangelo di questa domenica varie categorie di persone si recano da Giovanni Battista e gli chiedono per tre volte: Che cosa dobbiamo fare? La predicazione del Battista aveva scosso le coscienze e la gente cercava strade di cambiamento e di novità. E Giovanni indica pratiche possibili, pratiche buone. Giovanni che non fa sconti su Dio e sulla sua Parola, apre dei varchi semplici e raggiungibili come se volesse dirci: non spaventarti per quello che ti è chiesto, per quelle trasformazioni che ti sembrano impossibili. Comincia da quello che puoi fare, come restituire un portafoglio al suo proprietario. Andiamo a vedere chi sono coloro che si rivolgono a Giovanni.

1.    Innanzitutto ci sono le folle. Che cosa dobbiamo fare? La risposta è nella condivisione generosa di quello che si possiede: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». Provate a pensare: il termine condivisione è legato oggi quasi esclusivamente alle foto o ai post che pubblichiamo sui social. Giovanni ha in mente un’altra condivisione: il vestito e il cibo, dignità e sostentamento. Non limitarti alle immagini e alle riflessioni: apri il frigo, l’armadio, il portafoglio. Prova a dare qualcosa di tuo agli altri, ma prova a riempire di dignità il tuo gesto, di arricchirlo dell’interesse, della stima, del coraggio di guardare l’altro negli occhi, magari di creare una relazione buona. Sul Corriere di venerdì c’era un’intervista a una coppia di sposi di Mantova che dopo aver messo al mondo cinque figli e adottati altri otto, ne ha avuto in affido, in periodi più o meno lunghi, un’altra novantina. A Natale siederanno a tavola in 24. Germana Giacomelli, madre d’Italia, come la definiscono, ora ha 71 anni e ricorda come è iniziata l’avventura con suo marito Giampaolo. trentatré anni fa. «Avevo già messo al mondo quattro figli. Mio marito possedeva due panifici, io un negozio di scarpe. Mi crede se le dico che non sapevamo come spendere i soldi? Auto, abiti griffati, viaggi, ristoranti, colf. Non mi mancava nulla eppure mi sentivo priva di tutto. Stavo malissimo. Ero in perenne attesa di qualcosa che desse un senso alla vita. Ma non sapevo dove cercarlo». «Alla fine come l’ha trovato?» chiede l’intervistatore. «Mi sono messa a pensare agli altri». Ecco una bella storia di sostegno e di dignità, restituita a tanti ragazzi che hanno trovato vita, salute, lavoro, famiglia. L’affido… ci avete mai pensato?

2.    Seconda categoria è costituita dai pubblicani, gli esattori delle tasse che ogni tanto ricaricavano le imposte di un loro ulteriore guadagno. «Maestro, che cosa dobbiamo fare?» Giovanni  indica la giustizia, l'onestà. Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Interessante questo passaggio, non solo per l’Agenzia delle entrate e le sue riscossioni ma anche per le imposte in più che noi facciamo pagare a qualcuno, com’è successo a quell’operaio moldavo di 28 anni trovato morto in una radura a Sagron del Mis. Inizialmente si pensava ad una sua imperizia mentre tagliava degli alberi. Dalle indagini dei carabinieri è emerso che il giovane era stato colpito da un cavo in acciaio durante l’installazione di una teleferica. Giunto sul posto, il titolare della ditta avrebbe caricato il corpo sull’auto della vittima e l’avrebbe lasciato nei pressi di un dirupo. Non si sa se il cadavere vero sia quello del morto o di chi elude le proprie responsabilità. Noi forse non ci comportiamo così ma all’altro a volte estorciamo più di quello che può dare: pensiamo a certe vicende di separazione e al gioco delle convenienze economiche. Perché andarsene di casa per qualcuno vuol dire rivendicare mantenimento crescente, per altri vuol dire povertà. Non esigete di più di quello che vi è stato fissato. A dire il vero quello che era stato fissato era l’amore, ma se questo non c’è più, forse non bisogna smarrire l’onestà, la misura, la possibilità di andare avanti con dignità, figli in primo luogo.

3.    Infine i soldati, gente che a volte agiva brutalmente, senza troppi scrupoli. «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». È la vita che rinuncia alla violenza, al sopruso, alla giustizia sommaria. Pensate a questi due giovani che popolano in questi giorni la cronaca di Strasburgo in maniera così diversa, il criminale e la vittima italiana, Antonio Megalizzi: uno che ha ceduto a logiche di terrore di fanatismo, l’altro appassionato per la pace e la fraternità tra i popoli. Ecco la scelta: ci sono due lupi che combattono dentro di noi, uno cattivo che vive di odio, rabbia e risentimento; l’altro buono che vive di speranza e generosità. Quale vince? Quello cui dai da mangiare. Ma attento che alla fine il lupo non mangi anche te.

Che cosa dobbiamo fare? Una domanda importante. Non rimanerci troppo sopra. Inizia a cambiare qualcosa. Inizia a cambiare aprendo un po' di vangelo. 






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