Sesta domenica del T. O.
Il lebbroso colpito da piaghe porterà
vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà
gridando: “Impuro! Impuro!”. Quante volte questo grido è
risuonato nella storia, sia da parte di chi si è trovato a vivere una
situazione di emarginazione, sia da parte di chi ha emarginato, ghettizzato,
privato qualcuno del diritto di esserci. La Giornata del Ricordo,
ci ha rammentato ieri la tragedia di molti nostri connazionali barbaramente
uccisi e gettati nelle foibe da dove solo un esiguo numero di cadaveri è stato recuperato. Quanta lebbra segna i rapporti umani, quanta presunzione di
stabilire confini tra puro e impuro, tra chi può stare a questo mondo e chi no!
Nel vangelo di oggi Gesù è alle prese con questa situazione: un lebbroso, un
escluso dalla legislazione giudaica che lo raggiunge sfidando tutte le
precauzioni sanitarie e i divieti sociali. Vediamo che succede, perché
l’approccio di Gesù forse può essere d’aiuto anche a noi per superare alcune
barriere che ci dividono e sconfiggere le lebbre che ci colpiscono.
1. L’evangelista
ci dice che Gesù ebbe compassione. Ed
è bello questo approccio pieno di tenerezza e di partecipazione interiore. Ma
alcuni codici antichi, anziché parlare di compassione,
parlano di indignazione da parte di
Gesù. Sembra un sentimento opposto, in realtà è l’altra faccia della compassione.
Mentre Gesù dimostra accoglienza e misericordia verso l’escluso, si arrabbia
per tutto ciò che genera esclusione. Compassione e rabbia. Sono i due
sentimenti con cui Gesù si oppone al male. Servono entrambi, perché la rabbia
da sola degenera in violenza, la compassione rischia di fermarsi
all’assistenza. Noi ci commuoviamo quando sentiamo la canzone di
Mirkoeilcane a Sanremo, che ci racconta l’emigrazione con gli occhi dei
bambini, ma ci siamo dimenticati della rabbia, della lotta per la giustizia,
del coraggio della denuncia. E mangiamo tranquillamente i mandarini di Cosenza raccolti da immigrati che ricevono un euro a
cassa. La compassione è fatta anche di rabbia.
2. Poi
Gesù fa un gesto. Tese la mano e lo
toccò. La lebbra si vince toccando, mettendo mano. Un gesto sconcertante
che sanciva una scomunica sociale anche per Gesù. Chi toccava un lebbroso era
considerato ugualmente lebbroso. Finché
noi non mettiamo mano nelle concrete vicende dell’altro non c’è guarigione.
Gesù non salva con i decreti attuativi ma con le mani in azione. Penso alle
mani della sorella del presidente nordcoreano che hanno consegnato un invito al
presidente della Corea del Sud in occasione dei giochi olimpici, per
ristabilire quanto prima i rapporti
tra i due paesi. «Facciamolo accadere»,
ha detto il presidente sudcoreano. Ecco le mani che si toccano, che sconfiggono
la lebbra della boria, della presunzione egemone, della violenza e che forse
potrebbero sconfiggere anche alcune nostre distanze e scomuniche. Facciamolo accadere.
3. Infine
mi pare che per sconfiggere la lebbra e l’esclusione serva anche la volontà, la
decisione. «Se vuoi, puoi guarirmi». Come
“se vuoi?”, sembra chiedere Gesù: certo che lo voglio, sono venuto per questo! E infatti, dichiara: «Lo voglio, sii purificato». Non bastano
le emozioni o le intenzioni: ci vogliono le decisioni, le scelte. Ce l’ha fatto
capire quel papà che martedì è venuto a raccontarci l’esperienza vissuta con Emanuele, suo figlio sedicenne morto di droga. Amministratore delegato di una grossa
azienda, non si era reso conto di quello che stava vivendo suo figlio che una
notte decide di farla finita. A quel punto crolla tutto il castello
imprenditoriale e professionale, ma a quel punto nasce anche la decisione di
mettere la vita a disposizione di altri ragazzi e genitori perché non si ripeta
quel tragico errore. Lo voglio, ha detto papà Giampietro: ci sarò. E ha detto a
suo figlio: Scusami, Ema, se non mi fermo a
piangerti come farebbero altri padri: io vado avanti. Atteggiamento ben
diverso da quei genitori di Lucca conniventi con l’assunzione di sostanze
dopanti da parte dei loro figli ciclisti. Non solo sapevano: incoraggiavano.
Ecco la lebbra che per essere vinta ha bisogno di responsabilità, di volontà,
di sì e di no. E allora la vita cambia. E forse non sentiremo più il grido “Impuro, impuro” ma quello di un’umanità
sollevata, liberata dalla lebbra, restituita a se stessa, quella cui anche noi possiamo contribuire a dar forma.
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