mercoledì 4 ottobre 2017

Omelia 1 ottobre 2017


Ventiseiesima domenica del Tempo Ordinario

Non vi è mai capitato di aprire un vino blasonato e scoprire tristemente che sa di tappo? Tante promesse, magari anche una spesa considerevole. E poi la tristezza di un prodotto che devi buttare. Viceversa una bottiglia poco interessante può riservare grandi sorprese!

È la storia anche di quei due figli di cui ci parla il vangelo di oggi. Sembra una storia presa da casa nostra: un ragazzo apparentemente obbediente che poi si defila e uno ribelle che poi si pente. Chi dei due ha fatto la volontà del Padre? Chi dei due è il vino buono? State attenti dice Gesù alle etichette che mettete addosso agli altri e state attenti anche a voi stessi, perché a volte sotto un’immagine apparentemente pulita e brillante, si nasconde qualche torbido, qualche pozza stagnante. Ecco allora l’invito di Gesù. Conversione. Rimetti in  gioco la vita sulle strade della verità e sulle strade del vangelo.

Come si percorrono queste strade?

1.   Occhio ai no che dici. «Figlio, oggi va a lavorare nella vigna». «Non ne ho voglia». Anche noi siamo spesso così, regolati dalle nostre voglie, dall’immediatezza del desiderio e delle emozioni. Mi piace, non mi piace; mi diverte, non mi diverte. Ma le cose belle della vita non sono solo il divertimento, ma anche l’impegno che metti in ciò che fai, nella tua capacità di coinvolgi-mento, di partecipazione. Avete sentito la storia di Elisa, quella mamma di Lovadina morta dei giorni scorsi? Prima di andarsene ha impacchettato diciotto regali da consegnare alla sua bambina ad ogni compleanno, fino al diciottesimo anno d’età. Questa mamma non ha detto “non ho voglia”, anche quando avrebbe avuto tutte le ragioni per dirlo. Ha deciso di esserci fino alla fine e anche oltre la sua stessa fine. Non ti sottrarre ai tuoi compiti, a ciò che di bello puoi regalare al mondo.

2.   Smetti di recitare la commedia. È il secondo figlio, apparentemente ubbidiente e ossequioso, ma poi estraneo alla volontà del padre. «Si, signore». Ma non andò. Quanti sono i che si trasformano in teatro e poi diventano no? Non solo quelli dei ragazzi, ma anche quelli detti in chiesa, nel matrimonio, nel battesimo dei figli, nelle scelte di consacrazione, in un impegno nella comunità. Sono anche quelli che appartengono a convinte professioni di fede, senza riconoscere le spaventose incoerenze che si creano. Pensate allo scandalo di quei docenti universitari che dietro a una facciata di ineccepibile professionalità erano dei corrotti che si spartivano le cattedre a seconda dei loro interessi e tagliando fuori chi non entrava nel loro giro. Erano insegnanti di diritto tributario. Ma di quale giurisprudenza erano discepoli? Attenzione, perché il vangelo non ci chiede ragione solo della messa domenicale: interroga l’economia, i diritti umani, la solidarietà, la passione per la pace e la giustizia. Quelli che fanno professione di appartenere a Cristo si riconosceranno dalle loro opere. Ora non si tratta di fare una professione di fede a parole, ma di perseverare nella pratica della fede. È meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo (Ignazio di Antiochia).

3.   Però Gesù conclude con un altro monito. Si può cambiare rotta. Mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo rimangono fermi nella convinzione di essere i migliori, i pubblicani e le prostitute hanno cambiato vita. I nostri no più risoluti e i nostri sì ipocriti possono trasformarsi. Avete sentito di quel quarantenne che sabato scorso a Bergamo aveva tirato sotto una ragazza? Era fuggito, pensando di salvarsi, di farla franca. Nessuna testimonianza contro di lui, eccetto quella della sua coscienza, che l’ha portato dai carabinieri a confessare l’accaduto e ad assumersene la responsabilità. La grandezza di un uomo non sta nella capacità di non sbagliare mai, ma nella possibilità di cambiare rotta. E se la rotta su cui ritorni è quella del vangelo, la vita forse è anche più bella. Perché non trovi più un padrone da cui fuggire e perché non hai più bisogno di fingere.




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