Funerale Ezio Pierantozzi (4
aprile 2016)
Ap
21,1-7 - Gv 20, 11-18
C’era un'immagine
che girava sui social stamattina in ricordo di Ezio. Era l’orto del quartiere
Muson dove Ezio passava il suo tempo animando il lavoro con le sue
conversazioni. Quel pezzo di terra ci ricorda che anche la risurrezione del
Signore avviene in un orto, un giardino nel quale le domande dell’uomo si
intrecciano con i segni di Dio. «Donna,
perché piangi, chi cerchi?». «Hanno
portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto».
La morte ci disorienta, ci porta via non solo i nostri cari, ma anche le nostre
persuasioni. E forse Dio ci dà appuntamento in un giardino fatto di terra per
ricordarci anzitutto la nostra fragilità: L’uomo
– afferma un’antica preghiera di Israele – è
come l’erba del campo: al mattino germoglia e fiorisce, alla sera è falciata e
dissecca.
1. Un
primo regalo che ci fanno i nostri cari che se ne vanno è ricordare questa
condizione esistenziale. Noi viviamo spesso in una bolla di insipienza che ci
sottrae alla verità della vita. Viviamo travolti da ritmi lavorativi e da una
serie di preoccupazioni che talvolta ingannano l’esistenza, come se dovessimo
rimanere per sempre in questo mondo. Rallenta, sembra dirci ora questo
fratello, prendi contatto con la terra, perché da essa proveniamo e ad essa
ritorniamo. Insegnaci a contare i nostri
giorni – prosegue la preghiera di Israele – e giungeremo alla sapienza del cuore. Ezio conosceva la sua
malattia, ne è sempre stato partecipe e se ad essa inizialmente si ribellava,
poi ha imparato a conviverci, continuando a esprimere con dignità i suoi
affetti, le sue convinzione, la sua dedizione agli altri.
2. Ecco,
questa è la seconda eredità che Ezio ci lascia: le relazioni che ha vissuto.
Con la sua famiglia, certo: moglie, figlie, nipoti. Ma anche con una famiglia
straordinariamente ampia che lui ha costruito. Marchigiano di origine, era giunto
a Godego negli anni ’70, a motivo dell’insegnamento. E in questo nostro
contesto, a dire il vero un po’ chiuso e sospettoso nei confronti dei
“foresti”, lui si era inserito perfettamente, tanto da diventare promotore e
animatore di numerose iniziative sportive, culturali, amministrative. Per
qualche anno assessore allo sport è anche all’origine della nostra Pro-loco. La
sua missione però era soprattutto a scuola dove l’insegnante sapeva di essere
anche un educatore, stabilendo sempre con i suoi studenti un rapporto di cordialità,
confidenza e sostegno, senza che venisse meno l’autorevolezza. Vivere sulla
terra non vuol dire solo ricordarsi che siamo fatti di terra: vuol dire anche
rendere la terra più abitabile, renderla anticipo di quella città santa che scende dal cielo come
sposa. Oggi siamo spesso incagliati in una pericolosa deriva nel privato dove
l’impegno nei confronti degli altri è visto con sufficienza, con sospetto tanto
da ritenere che la dimensione pubblica
della vita appartenga solo a chi possiede un mandato elettorale o ha tempo da
perdere. E dimentichiamo la grande pagina cristiana della solidarietà e della
ricerca del bene comune. Non ti chiudere, sembra dirci Ezio. Ritrova gli altri
nella tua vita. Perché non si tratta solo di fare del bene a loro. Si tratta di
diventare se stessi, di scoprire i lati più belli dell’esistenza, la capacità
di voler bene, la gratuità, la gestazione di qualcosa di nuovo di cui anche tu
sei capace. Ecco la dimora di Dio con gli
uomini!
3. Infine
nella terra di Ezio c’era anche l’esperienza della fede. Per alcuni versi lui
aveva una fede all’antica che lo portava ad apprezzare il gregoriano, preti e
parrocchie all’insegna della semplicità e della famigliarità. Per altri era un
uomo in ricerca, critico su ciò che non andava nei cristiani e nella chiesa,
affascinato da Francesco d’Assisi e da Papa Giovanni. Mi pareva un uomo che
indicasse strade di verità, secondo quello che diceva Ignazio Silone, uno dei
suoi autori preferiti: Mi dà fastidio stare con gente che dice
di attendere la vita nuova con la stessa noia con cui si attende il tram. Ecco, non si può vivere la fede con noia.
Lasciati prendere dalla sorpresa di Dio, come Maria di Magdala, quando al
sepolcro si sente chiamare per nome. Maria!
…Rabbuni!
A questa sorpresa affidiamo Ezio, perché il Signore lo
prenda con sé e nell’abbraccio della misericordia gli consenta di vedere i
cieli nuovi e la nuova terra che lui ha preparato per chi in lui crede e in lui
vive.
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