Funerale Antonio
Bortolotto (24 marzo 2016)
Rm 8,31-35.37-39 Lc 23,35-46
A volte ti chiedi
se il Signore si non si sia distratto. Perché pazienza che prima o poi si muoia,
pazienza che qualche volta quel prima
arrivi quando proprio non te lo aspetti, ma quando la vita si accanisce e scuote
una famiglia già tanto provata i conti proprio non tornano. Antonio e Bruna
nove anni fa avevano perso la loro figlia Giada. Una vicenda che li ha segnati
profondamente e che ha colpito anche la nostra comunità perché Giada era un
piccolo raggio di sole che splendeva di altruismo e bontà. E ora che il Signore
è tornato a prendersi Antonio, nel cuore della notte, in una modalità
improvvisa e velocissima ci troviamo prigionieri dello sconcerto e dello smarrimento.
Ma che fai, Signore? Cosa vuoi dirci con questi eventi nei quali ci pare di
naufragare?
Domande che
rimangono inevase in questa settimana dove anche nelle parole di Gesù risuona
il grande interrogativo della distanza divina: Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? Ecco, noi oggi non
abbiamo molte risposte. Abbiamo però qualcuno che interroga il Padre con noi e
ci insegna a bussare al cuore di Dio.
Antonio se n’è
andato la notte della domenica delle Palme quando, inoltrandosi nella Santa
Settimana, la chiesa si mette in ascolto della Passione del Signore. E sentiamo
che quella pagina non è solo sua: appartiene ad Antonio, appartiene a Bruna e
appartiene a tutti noi. E allora vorrei ritrovare in quella vicenda alcuni
snodi che ci aiutino ad accostare da credenti quello che stiamo vivendo.
1. Il
racconto inizia con queste parole: Quando
venne l’ora. Gesù è consapevole che sta arrivando un momento decisivo per
la sua vita. E ad esso si prepara. Quali ore segnano la nostra vita? A volte
sono ore molto terrene, fatte di impegni, appuntamenti incalzanti, frenesia.
Oppure ore di evasione, di stordimento nelle quali ci tentiamo di allontanarci
da ritmi produttivi che vogliono catturarci, senza renderci conto che è un
divertimento che ci svuota. Anche Antonio guardava l’ora. Anzitutto quella
della sua attività professionale, svolta con passione, intraprendenza, onestà.
Le ore di lavoro del cristiano non corrispondono sempre alle ore del mondo. Ma
questo tempo dato alla professione non impediva ad Antonio di riconoscere anche
l’ora della famiglia e dell’aiuto da dare agli altri. Riempiva di attenzioni
sua moglie e non dimenticava di dare una mano a chi poteva aver bisogno di lui.
Quante cose facciamo ogni giorno: cosa passa e cosa resta? Quando sopraggiunge l’ora con che cosa vai incontro al
Signore? Siamo di passaggio, sembra dirci oggi Antonio. Impara a guardare il
cielo e non lasciarti catturare da un tempo vuoto di eternità.
2. Mentre
sopraggiunge l’ora, Gesù si reca nell’orto degli ulivi. Gli ulivi qui in chiesa
ci aiutano a ricordare questo momento nel quale Gesù si inginocchia e prega. Una
preghiera che diventa lotta. Entrato
nella lotta pregava più intensamente. Per capire Dio bisogna sintonizzarsi
con lui, aprire il cuore, ascoltare la sua voce. E questo richiede pazienza,
forza, combattimento. La preghiera è il terreno di questo esercizio che ci
porta pazientemente a far spazio ai disegni di Dio, a scrutarne gli
intendimenti, a zittire le nostre ragionevoli considerazioni per far posto ad
orizzonti più ampi. I discepoli sopraffatti dal sonno non pregano. E a quel
punto non capiscono più niente: fuggono, tradiscono, rinnegano. La crisi di
fede che anche noi a volte patiamo, è spesso anticipata dalla crisi della
preghiera. Non preghiamo e non capiamo più niente, né di noi, né di Dio. E la
vita interiore si addormenta: rimangono luoghi comuni, banalità, scongiuri.
Antonio viveva una preghiera credente. Con molta discrezione poiché su queste
faccende era un tipo piuttosto riservato, ma anche con il desiderio di guardare
oltre. E in quell’oltre c’era sua figlia: nella preghiera Antonio sentiva la
sua vicinanza, sentiva di non essere solo. Sentiva che Dio non abbandona e che
non può andar perduto ciò che nell’amore si vive. Che ne hai fatto della
preghiera? Non dimenticartela mai perché essa ti salva dalla solitudine e dal
vuoto, ma anche dalle tentazioni di onnipotenza e di metterti al posto di Dio.
3. C’è
un altro momento della passione che oggi può dirci qualcosa. Il dialogo tra
Gesù e quel malfattore appeso con lui. Mentre uno dei due condannati inveisce contro
Gesù e lo insulta, l’altro chiede: Signore,
ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. E Gesù lo prende sul serio: In verità ti dico: oggi con me sarai in
paradiso. Antonio non era un malfattore, anzi era un uomo di grade bontà e
rettitudine. Eppure, da quando Giada se ne era andata, il pensiero di andare da
lei era diventato costante. E lo confidava a più di qualcuno. Guarda che a me la morte non spaventa, Vado
dalla mia Giada... Come se dicesse: Signore, portami con te, voglio
riabbracciare mia figlia. Non sappiamo che cosa abbia determinato la morte di
Antonio. Sappiamo però che quel suo cuore ad un certo punto non ce l’ha fatta
più e forse, proprio vedendo quel cuore spaccato dall’amore e dal dolore il
Signore è venuto a prenderselo, dicendo le stesse parole rivolte al malfattore:
Oggi con me sarai in paradiso. Il
Signore non ci perde, non perde niente di quello che nell’amore abbiamo
costruito. E se Antonio se n’è andato, forse non è una tragica fatalità, non è
perché Dio era distratto, ma perché aveva ascoltato ormai troppe preghiere. E
siccome anche Dio è un Padre che ha
perso un Figlio, tra padri ci si capisce e si arriva a darsi una mano anche su
strade impensabili. Chi ci separerà
dall’amore di Dio in Cristo Gesù? Forse il dolore, il pericolo, la spada. Né
morte né vita ci allontaneranno da colui che è morto per noi.
Affidiamo
Antonio all’abbraccio di Dio e a quello di sua figlia. Per Bruna e per tutti
noi chiediamo occhi di fede e di speranza.
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