domenica 26 aprile 2015

Omelia 28 aprile 2015


Quarta domenica di Pasqua

Alcuni commenti che sono stati postati su facebook dopo la tragedia del Mediterraneo più che creare indignazione lasciano senza parole. Perché ti chiedi se chi ha scritto certe frasi, oltre ad aver perso di vista la pietà, non abbia abdicato anche all’umanità. Settecento persone annegate? Eh, le navi affondano... Sempre troppo pochi. Se ne stessero in Africa. Settecento parassiti in pastura.

Nella rete tuttavia ci sono anche prese di posizione, distanze ed accuse feroci rispetto a chi scrive espressioni del genere. E questo ci fa capire che le due immagini che ritornano nel vangelo di oggi sono di straordinaria attualità: nella vita puoi essere un pastore o puoi essere un mercenario. E non solo in relazione ai migranti, ma anche come genitore, come educatore, come insegnante, come politico, come prete, come amico… Quando hai delle persone che ti sono affidate, questa alternativa si apre continuamente di fronte a te.

E Gesù ci insegna a diventare pastori come lui. Chi è il pastore? Che cosa lo distingue dal mercenario?

1.    Il pastore è qualcuno di bello. L’aggettivo in greco è proprio questo: kalós. Tu sei pastore quando indichi e interpreti qualcosa di bello. Semina bellezza. La bellezza è un frammento della vita di Dio, del suo modo di vedere le cose, del suo mistero, qualcosa di eterno. Abbiamo visto in questa settimana l’approvazione della legge sul divorzio breve. Non c’è il rischio che questa nuova prassi porti con sé la banalizzazione dell’istituto matrimoniale? Lo si può liquidare velocemente e lo stato ti aiuta. Come dire: il matrimonio dura finché dura, non ti preoccupare. E mentre vediamo grande impegno per approvare una legge come questa, non ne vediamo altrettanto nella difesa delle politiche familiari, come quando ti capita di fare i conti con un figlio disabile, come emergeva questa settimana nel dialogo con alcune famiglie segnate da questa problematica e alle prese con la guerra annuale dell’insegnante di sostegno. Fai vedere che la vita può essere qualcosa di bello, che la famiglia può essere qualcosa di bello.

2.    Il buon pastore conosce e dà la vita per le pecore. È un atteggiamento diverso da quello del mercenario che, quando vede venire il lupo, abbandona il gregge e fugge. Le pecore non gli appartengono. Il pastore rimane, senza orario, senza paura di reagire contro il lupo in agguato. Il pastore bello non pensa di mettere in salvo la vita. C’è quando hai bisogno. Provate a pensare alle fughe. Dalle proprie responsabilità. Professionali, sociali, famigliari, comunitarie. Le pecore non gli appartengono. E di fughe, tattiche, qualche volta ben camuffate, ce ne sono parecchie. E molte di essere riguardano padri e mariti. Mi pare che in questo paese ci sia un’identità maschile segnata da modelli culturali non ben… aggiornati. Anzitutto c’è un’esasperazione del lavoro che porta a perdere il contatto con la moglie e i figli. “Ora abbiamo un impegno economico cui far fronte, osservi, poi ci riprenderemo”: ma quel poi non arriva mai e ti allontani sempre di più. Ma c’è anche una certa sopravalutazione del ruolo che porta ad anacronistiche pretese, come quella di seminare i vestiti in giro mentre ti spogli, tanto c’è tua moglie che li raccatta: lei, del resto, è a casa tutto il giorno! L’uomo è l’uomo, non può fare certe cose. E poi la latitanza dai luoghi dell’educazione: la scuola, la parrocchia. Non ho tempo. Però fatalità il tempo per gli amici e per il giro in moto c’è! E se tua moglie ti fa notare che qualcosa non va concludi, supportato dai tuoi compagni di merende, che le donne sono tutte uguali e non sono mai contente. Forse la logica del mercenario non se ne sta solo sulle rotte clandestine del Mediterraneo. Percorre qualche volta anche le nostre case e il lupo divora serenità, condivisione, unità, speranza. Divora anche il futuro equilibrato di un bambino. Il buon pastore dà la vita.

3.    E infine il pastore vero ha anche altre pecore che non sono di questo ovile. Anche queste deve condurre. Sei pastore se non ti prendi a cuore solo ciò che sta nel recinto di casa tua, ma anche una realtà più ampia che ti è affidata perché possa essere partecipe di una storia di vita. Per questo Gesù si fa pastore, perché allunga le strade di Dio. Dove ti dà appuntamento il Signore? In parrocchia, magari allargando lo spazio di presenza, non solo nel momento in cui fai l’animatore o il catechista. E in relazione ai problemi di una città, alle esigenze di questa nostra società: la presenza dell’AVIS ci ricorda oggi anche questa forma di partecipazione mediante la quale materialmente regali ad un altro che non conosci, qualcosa di te! La tua vita scorre oltre le tue vene! E cresce una mentalità universale con la quale perlomeno smetto di allinearmi a visioni riduttive, segnate dai confini dall’orto di casa, cercando di aprire un po’ di più il cuore e la mente a quello che succede dall’altra parte del mondo.

Pastori o mercenari? Il pastore, quello vero, non cessa di dirci che la vita bella è la vita donata e che nella forza di alcune decisioni radicali c’è una sorpresa. Quella di diventare se stessi e quella di aiutare gli altri ad esserlo.

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