domenica 12 aprile 2015

Omelia 12 aprile 2014


Seconda domenica di Pasqua


Ci si sta preparando all’ostensione della Sindone e com’era prevedibile si accendono i dibattiti sulla verità di questo lino. «Quella della Sindone è la storia di una incredibile leggenda […] fatta passare dalla Chiesa per “autentica”». L'ha scritto recentemente Paolo Mieli, giornalista e storico, su due intere pagine del Corriere della Sera. Quello che è singolare è che mentre si cerca di avvalorare tale tesi, venga ignorata quasi totalmente la mole di ricerche scientifiche che hanno rivelato tutto ciò che quel telo contiene di “storico”, visibile e microscopico. Esse documentano un'immagine la cui formazione non si può spiegare scientificamente e che però corrisponde alle descrizioni del Vangelo. Il che rende altamente probabile la sua autenticità. Se dobbiamo fare scienza, dobbiamo metterci di fronte a tutta la realtà, senza selezionarla in base alle nostre idee. Questa vicenda ci riconduce ancora una volta all’esperienza della fede: come si diviene credenti? C’è uno spazio di ragionevolezza che dia solidità umana a questo atteggiamento?

Tommaso ci guida nel cammino. Lui è il “Gemello”: gemello delle nostre incertezze e delle nostre aperture, dei nostri sospetti e della ritrovata possibilità di credere. Che succede a Tommaso?

  1. Anzitutto i vangeli ci mettono di fronte a un’assenza. Tommaso, uno dei Dodici, non era con loro quando venne Gesù. Dov’era Tommaso in quel momento? Non lo sappiamo. Sappiamo però che quell’assenza pesa sulla sua vicenda credente. Ecco, quando non ci sei la tua conoscenza del Signore si indebolisce. L’incontro con il Signore è custodito in un’esperienza di comunione, è custodito dalla fede di chi vive la medesima avventura credente. Oggi noi vogliamo privatizzare la fede e ci dimentichiamo che la professione personale della fede è sempre collegata a quella comunitaria: io credo-noi crediamo. La fede non te la inventi ma ti è sempre consegnata da una comunità che te ne fa dono e se prendi le distanze da tale comunità anche la tua fede ne esce indebolita.
  2. Tommaso ad un certo punto rientra ma quella distanza lo ha trasformato: invece di accogliere con gioia il racconto degli amici inizia ad avanzare pretese. Se non vedo il segno dei chiodi e non metto la mano nel suo costato non crederò. Sembra una richiesta legittima quella di Tommaso che non si accorge tuttavia di limitare le sue possibilità di indagine e di conoscenza. Lui vuole conoscere mettendo le mani, manipolando con i propri criteri. A volte questo è l’atteggiamento che anche noi abbiamo e che ci preclude le strade di Dio. Oggi noi siamo sudditi di un sistema sperimentale dove riteniamo che il criterio del vero debba essere affidato alla scienza. È vero ciò che può essere riprodotto in laboratorio. È proprio così? Ma l’incontro con Dio non è la combinazione di elementi chimici! L’incontro con Dio è un rapporto interpersonale: e le persone si conoscono nel rispetto, nella libertà, nella gratuità. Quand’è che hai conosciuto qualcuno? Quando hai preteso il suo DNA o quando ci sei stato insieme? Nei confronti di Dio noi abbiamo tante pretese: se interviene in certe circostanze, se la messa è in una certa maniera, se i fatti della vita sono spiegabili. Ho già deciso come dev’essere Dio! E se avesse qualcos’altro da dirti? Un altro volto da mostrarti? Passa dalla pretesa alla sorpresa!
  3. E infine Tommaso riconosce il Signore. Otto giorni dopo. E il Risorto gli mostra le ferite. Tommaso però mette via le sue pretese. Il vangelo non ci dice che abbia messo la mano. Ci ricorda invece la sua professione di fede: Mio Signore e mio Dio! Che cosa ha visto Tommaso? Come è nato il credente? Tommaso ha visto una trasformazione possibile, più forte della morte. Ha visto che la ferita può essere una feritoia, può essere attraversata dalla luce. Ecco, credenti non si diventa per ragionamenti, per estenuanti confronti fede-ragione. Si diventa per la forza della pasqua, quando sui terreni delle fatiche e delle ferite umane scopri che si sta aprendo un varco. A volte noi ci portiamo dietro numerose ferite: della nostra infanzia, dei rapporti mal gestiti, di parole pesanti come pietre, di rimorsi e di rammarichi. Prova a vedere se la ferita può ospitare un po’ della luce di Dio. Il biglietto da visita con cui il Risorto si presenta è pace e perdono. Tu incontri il Signore se lasci che questi atteggiamenti trasformino la vita.
    Molti altri segni sono stati compiuti da Gesù. Di che segni si tratta? Di quelli non scritti che, ovunque c’è un discepolo, possono essere posti e diventare nuova occasione di incontro di Dio e della sua sorprendente iniziativa nella vita degli uomini.

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