lunedì 2 febbraio 2015

Omelia 1 febbraio 2015


Quarta domenica del Tempo Ordinario

Dostoevskij nel celebre romanzo I fratelli Karamazov immagina una vicenda ambientata in Spagna nel 1500, al tempo dell’inquisizione. Dopo quindici secoli dalla morte, Cristo fa ritorno sulla terra. Pur comparendo furtivamente, il popolo lo riconosce e lo acclama come salvatore; tuttavia egli viene subito incarcerato per ordine del Grande Inquisitore proprio mentre ha appena realizzato la resurrezione di una bambina. In prigione l'Inquisitore si reca a trovare Cristo, e, dopo avergli comunicato la sua condanna a morte, gli rimprovera di avere seminato confusione, di aver voluto portare la libertà ad un popolo che è incapace di usufruirne, poiché un popolo felice non può essere libero, ma sottoposto ad un potere autoritario che decida per lui. «Ti ripeto che domani stesso tu vedrai questo docile gregge che i precipiterà ad attizzare i carboni ardenti del tuo rogo, sul quale ti farò bruciare perché sei venuto a disturbarci». La pagina di Dostoevskij è una grande provocazione. Gesù può essere di disturbo e lo può essere anche per gli stessi cristiani. La pagina del vangelo ci aiuta a riflettere. Gesù sta predicando nella sinagoga di Cafarnao ma la sua parola scatena la reazione violentissima di un uomo posseduto. Chi ti possiede? La parola di Gesù o altri progetti? Proviamo ad osservare come si manifesta questa progettualità alternativa..

1.    Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Lo spirito impuro crea distanza, barriera. Noi-Gesù. A volte abbiamo la sensazione che Gesù si allarghi un po’ troppo nella nostra vita e delimitiamo gli spazi. Fin qui puoi arrivare, non andare oltre. Pensate alla questione convivenza. È il segnale che la vicenda famigliare si sta staccando dalle prospettive cristiane. Che vuoi da noi Gesù? Lasciaci provare a modo nostro. E si aggiungono anche i genitori: “Piuttosto che si separino, meglio che provino”. Ecco, l’ambiguità è proprio in quella che si definisce “una prova”. Perché di fatto non puoi provare quello che non c’è. Non puoi vedere un panorama se non vai oltre a quel valico che non ti consente più di tornare indietro.  Non puoi dire che è amore se ti giochi a metà, se tieni aperta una via di fuga. Il matrimonio non è “giochiamo” a marito e moglie, come si faceva da bambini, ma impariamo ad “esserlo”, senza sconti sulla fiducia reciproca. Gesù non ostacola la felicità ma ne apre l’autenticità. Lui parla con autorità, non come gli scribi. Perché se il matrimonio non aggiunge nulla alla convivenza senti una certa inquietudine? E perché quando decidi di sposarti dopo anni di convivenza ti viene la tremarella? Vuol dire che non è la stessa cosa! Sta’ sempre in guardia dagli scribi di questo tempo perché diffondono una sapienza mondana che alla fine ti imprigiona. 
 
2.    Sei venuto a rovinarci. Dopo la distanza ecco il sospetto. Questo è il peccato delle origini: Dio antagonista, Dio che non sia così necessario o che, peggio, voglia l’infelicità degli uomini. Questo è tempo di pensare se avvalersi o meno della religione a scuola. E questa scelta ci sembra il crocevia di una certa libertà variamente motivata: basta con queste ingerenze, siamo in uno stato laico, la religione non c’entra con la scuola… Il sospetto è che la chiesa voglia controllare lo stato, arrogarsi diritti sulla gente. E invece vediamo proprio in questo nostro contesto quanto la questione religiosa sia diventata nevralgica. Il secolarismo voleva ostruirle la porta ed essa rientra dalla finestra e in maniera spesso violenta, incontrollata, acritica, tanto che un ragazzino francese in questa settimana scrive: «Io non sono Charlie. Io sto con i terroristi». Gesù dice all’uomo posseduto: «Taci! Esci!». Forse anche noi dobbiamo imparare a uscire dal mondo del sospetto perché è proprio questo atteggiamento l’alleato della nostra infelicità. Senza Dio non esponi la vita alla libertà ma al vuoto e alla confusione. L’uomo è più “alto” di quel che sembra e senza quella misura diventa uno gnomo. Sei venuto a rovinarci? No. Ti stai rovinando da solo!

3.    Io so chi sei: il santo di Dio. In questa espressione che sembra una professione di fede, c’è in realtà il tentativo diabolico della cattura. So chi sei, ti tengo in mano, non hai misteri per me. È un Dio che ha cessato di stupire, che viene ridotto a sistema, a fotocopia. Lo so già. Che cosa sai? La tua presunzione, i tuoi schemi. Dio invece è novità, è sorpresa che coinvolge non solo i pensieri ma la vita, come se si trattasse di un parto. Non a caso l’intervento di Gesù costa fatica: straziandolo e gridando forte. Lascia che il Signore metta un po’ a soqquadro la vita. Quando capita non ti ha abbandonato ma sta facendo nascere l’uomo nuovo che si fida di lui.

Chi è costui che comanda persino agli spiriti impuri e questi gli obbediscono? Che te ne fai di Dio? Il disturbo del grande inquisitore o la bella notizia della vita? Accoglierlo vuol dire lasciarlo agire, lasciarlo agire vuol dire tornare a sorprendersi. Di lui e di noi.  

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