Quinta domenica del tempo ordinario
Vi ricordate la
celebre poesia di David Maria Turoldo quando gli diagnosticarono il tumore che
lo avrebbe portato alla morte nel 1992?
il Drago è certo, insediato nel centro
del ventre come un re sul suo trono.
E calmo risposi: bene! Mettiamoci
in orbita: prendiamo finalmente
la giusta misura davanti alle cose;
e con serenità facciamo l'elenco:
e l'elenco è veramente breve. […]
La malattia è
un’esperienza che sconvolge la vita. Il drago non è un gattino che fa le fusa:
ti terrorizza e ci morde. Ma la malattia può essere anche l’occasione per
guadagnare la giusta misura davanti alle
cose, la verità dell’esistenza, sia
per il malato, sia per chi gli vive accanto.
Nel vangelo di oggi
Gesù visita a casa di Pietro la suocera malata: Era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei.C’è la donna inferma, ma c’è anche gente che le gira intorno preoccupata, dato che alcuni non tardano a informare Gesù. Cosa ci suggerisce questa situazione, come agisce Gesù?
1.
Anzitutto è utile sapere che ci troviamo in
una sezione del vangelo nota come “la giornata di Gesù a Cafarnao”. Ebbene in
questa giornata, fatta di solitudine e preghiera, di incontri e predicazione, c’è
spazio anche per l’esperienza del limite e della fragilità. Gesù non fugge di
fronte al male, anzi: venuta la sera,
dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Noi,
figli di Vasco Rossi, vorremmo che la vita fosse sempre “una splendida
giornata”, stravissuta, straviziata,
stralunata. Invece qualche volta essa ci riserva anche le pagine della
debolezza, come ricorda Giobbe: L’uomo
non compie forse un duro servizio sulla terra e i suoi giorni non sono come
quelli d’un mercenario? Vivere la malattia e stare accanto ad una persona
malata è faticoso. A volte in questa circostanza vedi fuggire anche le persone
più care. Tuo marito, i tuoi figli, gli amici. Ma la malattia ci ricorda che la nostra umanità si gioca anche qui
e se la nostra giornata non ce ne vede partecipi perdiamo un’occasione per
essere uomini.
2.
Come agisce Gesù nella malattia? Poche
parole ma di grande intensità: Egli si
avvicinò e la fece alzare prendendola per mano. Gesù si avvicina e prende
per mano la donna. C’è un contatto: Gesù non ha paura della prossimità. Tocca
con mano la donna e la situazione. Ma qual è l’obiettivo: La fece alzare. Egheiro. È il verbo della risurrezione. Cerca nella
malattia contatti di risurrezione, aiuta il malato a risorgere. Pensate a
quello che è capitato in Canada proprio in questi giorni. La Corte Suprema ha
aggiunto anche questo stato a Belgio, Olanda e Svizzera paesi nei quali è
lecito per un medico aiutare una persona a uccidersi quando questa sia «un
adulto competente che chiaramente acconsente a terminare la sua vita e che ha
una condizione medica grave e irrimediabile». Gesù pone gesti di risurrezione e
noi facciamo leggi che decretano la morte. E ci pare che siano gesti di libertà
e di civiltà. Ma dove sta la civiltà di un popolo? Nella morte o nella vita? Si
tratta di un capitolo complesso che non deve portarci a sottovalutare la fatica
di certe situazioni terminali, ma neanche esporci alla tentazione di far sparire
i problemi facendo sparire l’uomo. Poni gesti di risurrezione: stai accanto,
scopri i legami di solidarietà, strappa l’ospedale ad una pervasiva logica
aziendale, fa’ l’infermiere e fa’ il medico cercando l’uomo, trattando i malati
come persone e non come numeri. Egheiro!
3.
E infine la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. Qui l’evangelista
ci fa capire qual è il criterio che stabilisce la guarigione. Servire. In greco
diakoneo. È il verbo del servizio
cristiano. Sei guarito dal male quando interpreti la vita come dono per gli
altri. Allora qui comprendiamo che non si tratta solo di malattie del corpo, ma
anche di quelle del cuore. Sia che tu sia malato, sia che tu sia sano,
ricordati che la grande febbre della vita è quella dell’egoismo, della chiusura.
Apri la tua vita agli altri: se sei malato evitando di chiuderti, se sei sano
regalando qualcosa di te.
E
allora il drago non vince, perché non trova più quel trono su cui regnare. E la
malattia diviene speranza: di guarigione e occasione per essere uomini.
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