domenica 6 novembre 2011

Omelia 6 novembre 2011

Trentaduesima domenica del T. O.

Mentre oggi alle porte della chiesa o di un municipio è lo sposo che attende la sposa e la sposa in genere indugia qualche minuto per farsi desiderare, ai tempi di Gesù le usanze matrimoniali erano diverse. La sposa attendeva lo sposo nella nuova casa insieme alle amiche cui era chiesto di preparare l’incontro. E lo sposo volutamente ritardava per suscitare il desiderio, aumentare la sorpresa, creare qualche domanda. E poteva capitare che l’attesa si protraesse oltre misure normali generando una gara di resistenza nella quale però il sonno rischiava di avere la meglio. Come nella parabola che abbiamo ascoltato con la quale Gesù suggerisce ai suoi discepoli l'atteggiamento dell'attesa, per non essere come quelli che non hanno speranza. Che cosa ci dice della vita cristiana?

1.    Anzitutto ci regala una pagina di giovinezza, di vita che comincia. Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che uscirono incontro allo sposo. Negli scontri indignados che accompagnano questo tempo emerge con frequenza la problematica di un mondo giovanile pesantemente condizionato e mortificato dalla situazione che stiamo vivendo. Qualcuno parla dello sterminio della speranza che conduce a comportamenti riprovevoli anche se non del tutto incomprensibili, come quelli che abbiamo visto a Roma. C’è un lavoro importante da fare. Lo deve fare la famiglia continuando a suggerire a ragazzi e giovani comportamenti responsabili: la preparazione e non la raccomandazione. Lo deve fare la politica con scelte che incentivino il merito e anche il turn-over nelle aziende. Lo devono fare gli stessi giovani perché uno dei dati con cui il nostro Nord-est su confronta è la chiusura di molte aziende ereditate da figli che non avevano né il genio né la tenacia dei padri. In questi giorni è uscito uno studio americano (Jane McGonigal, La realtà in gioco) attribuendo grandi meriti ai video-games, l’uso dei quali da parte dei giovani vedrebbe una sensibile diminuzione della criminalità. È questa l’opzione che presentiamo ai giovani? Mettiamo loro in mano un play-station e la società andrà meglio? Dobbiamo ritrovare la pagina della giovinezza a livello sociale, nella fiducia da parte degli adulti e nella responsabilità degli stessi giovani.

2.    La seconda riflessione riguarda l’attesa che sembra profilarsi oltre il dovuto e che provoca il sonno: Si assopirono tutte e si addormentarono. Il fatto che l’intorpidimento riguardi tutte, ragazze sagge e stolte, ci fa capire che l’evenienza non è in se stessa buona o cattiva. Può capitare: sei sopraffatto dal sonno e dormi. Ad un certo punto però quel sonno è interrotto da un grido: «Ecco lo sposo, andategli incontro». Forse ci sono situazioni dormienti della nostra vita, segnate da un’attesa che va per le lunghe: situazioni dolorose o faticose dove vorremmo un cambiamento che non arriva. Quando hai a che fare con la malattia tua o altrui, quando la famiglia o il lavoro non sono quello che sognavi, quando ti rendi conto che quell’abitudine da cui volevi liberarti ritorna e rallenta la tua vigilanza. A volte avvertiamo l’esigenza di sospendere i pensieri perché vediamo che non ci portano fuori e talvolta acuiscono il dolore. Meglio gestire l’ordinario, fare di necessità virtù, muoversi tra equilibri precari piuttosto che franare. Questo però non deve impedire di sentire il grido nella notte. Ecco lo sposo. Andategli incontro. Il passo da fare è di non rimanere sotto le coltri della rassegnazione e di andare incontro a Dio, ai suoi progetti. Dove Dio ci chiama ad andargli incontro? Ci siamo meravigliati in questi giorni perché un parroco suona le campane alla chiusura quotidiana della Borsa e qualcuno nei giornali rimpiange i vecchi parroci che pensavano al bene delle anime. Ma quelle campane forse vogliono proprio svegliarti dal sonno per non assecondare lo strapotere di una finanza senza regole. Sono un grido nella notte di un’economia cieca e rassegnata a logiche di profitto modello volpe nel pollaio. Ecco dove lo sposo ci chiede di destarci e di andargli incontro.

3.    Infine la questione dell’olio. Non è solo il problema di dormire e svegliarsi, c’è anche quello di alimentare la lampada con una riserva di combustibile che le sagge prendono e le stolte dimenticano. Di che olio si sta parlando? La cruda risposta delle vergini sagge a quelle stolte ce lo fa capire. “Dateci un po’ del vostro olio…”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Non si può dare il proprio olio ad altri: bisogna procurarselo investendo il vangelo, custodendo ciò che produce. L’olio è un cristianesimo praticato. Non a caso, quando le vergini stolte dicono “Signore, signore, aprici”, lo sposo risponde: “Non vi conosco”. Qualche capitolo prima Gesù aveva detto: Non chi dice “Signore, Signore” entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio”. Non importa se lo sposo ritarda. Tu vivi il vangelo e renditi visibile con esso. Raccoglilo in piccoli vasi, giorno per giorno e fanne la riserva della tua vita. Perché quando lo sposo giunge ti trovi e ti riconosca.

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