lunedì 31 ottobre 2011

Omelia 30 ottobre 2011

Trentunesima domenica del T. O.

Il papa ad Assisi tra i rappresentanti di altre religioni giovedì scorso l’ha ricordato chiaramente. Nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura. Le parole del papa ci mettono di fronte all’incoerenza che anche i cristiani in alcuni momenti hanno vissuto. Distanza tra le parole di pace e di amore custodite nel vangelo in nome del Creatore e Padre di tutti gli uomini e fatti che sembrano smentirle. Una situazione che si presenta anche ai tempi di Gesù e dalla quale egli mette in guardia per non correre il rischio di scribi e farisei accusati di occupare una cattedra importante - quella di Mosè – dalla quale però la parola esce indebolita dall’incoerenza. Quali sono le contraddizioni dei farisei?

1.    Dicono e non fanno. Ai pronunciamenti non corrisponde l’azione, la vita. È quello che talvolta avviene nell’educazione di un figlio: gli diamo per la vita indicazioni che non vedono la stessa adesione da parte nostra. Tra queste anche le indicazioni della fede, col rischio che un ragazzo le segua fino a quando all’osservanza del bambino sulla base dell’autorevolezza dei genitori non subentri la verifica dell’adolescenza in cui le scelte non avvengono perché l’ha detto qualcuno ma per la loro consistenza e per l’effettiva possibilità di essere raccolte e adoperate nella vita. Questo però non significa che le parole non siano importanti. Gesù non invita i farisei al silenzio e neppure i discepoli a non prestare ascolto. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono. Le parole non possono sempre corrispondere ai fatti: esse si dicono talvolta proprio per intuire nuovi orizzonti, nuovi appelli. Altrimenti navighiamo verso un’altra deriva, quella di chi rinuncia a dire alcunché perché le parole sono difficili da applicare alla vita. Pensate per esempio a quando ci troviamo di fronte a comportamenti moralmente discutibili di qualche personaggio. Mentre qualcuno si scandalizza qualche altro sostiene che nessuno può fare la morale. E se qualcuno si azzarda ecco che vengono riesumati i suoi scheletri dall’armadio. La parola non va taciuta, ma la parola deve trovare la forza della partecipazione perché la parola non è mai disgiungibile dall’uomo. Io sono anche le mie parole e se il resto della vita non corrisponde alle parole c’è qualcosa in me che mi nasconde o che rimane nascosto.

2.    Altra incoerenza corrisponde alla portata dell’impegno e alla condivisione di responsabilità. Legano pesanti fardelli che loro non muovono neppure con un dito. Scribi e farisei sono l’espressione di un onere gravoso che però ricade solamente sugli altri. Si potrebbero fare varie osservazioni su questo tempo di crisi e sugli oneri che ne derivano per le parti sociali. Tutti portano il fardello? Art. 31 della costituzione: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose». L’esperienza sembra dire invece che le famiglie più numerose siano le più penalizzate. Proprio questa componente sociale che ringiovanisce il Paese e pensa al suo futuro in realtà è gravata come ogni altro nucleo familiare. E non c’è alcuna tutela quando intervengono licenziamenti, che sia un single o che sia un padre di quattro figli piccoli. I fardelli che – come si ribadisce – tutti in questo tempo dobbiamo portare, non sono certo gli stessi. Ma il fardello qualche volta è all’interno della famiglia stessa e riguarda la divisione dei compiti e delle responsabilità. L’attenzione ai figli o ai genitori anziani, la cura della casa, la custodia delle relazioni di coppia e di famiglia: chi se ne occupa? A volte c’è una delega irresponsabile che ci rende un po’ farisei, scaricando sugli altri quello che noi non tocchiamo neppure con un dito.

3.    E infine c’è un’incoerenza che non riguarda solo le parole, ma anche le opere: Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente… per i primi posti, i saluti sulle piazze. Le opere non sempre esprimono convinzione credente. A volte esse sono legate alla ricerca dell’apparenza, alla facciata della vita. Riapre il Bolshioi e non puoi mancare sul palcoscenico mediatico. Non stai cercando le opere, ma te stesso, la tua visibilità. A volte può capitare anche in certe situazioni familiari nelle quali qualcuno ha bisogno di apparire. E non solo gli adolescenti. Anche genitori che per non perdere la stima dei figli appaiono sempre accondiscendenti alle loro richieste. O il coniuge che deve apparire sempre piacevole agli occhi degli amici e interpreta la parte del simpatico, dell’elegante, dell’erudito condizionando pesantemente l’altro che vive alla sua ombra sobbarcandosi altri oneri familiari. Ma di cosa hai bisogno? Chi sei veramente? La grandezza che Gesù indica è quella di chi si mette a servizio non quella di chi mette gli altri a proprio servizio. È quella di Paolo che scrive ai Tessalonicesi: Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre… Come una madre, non come una comparsa o uno stuntman. Ci sono tre livelli da mettere insieme: le parole, i gesti e le intenzioni. Solo così la coerenza diviene piena e il vangelo credibile. E sulla grande piazza delle religioni forse potremo rivelare un po’ di più il solo Maestro e l’unico Padre, quello dei cieli.

Nessun commento:

Posta un commento