sabato 15 ottobre 2011

Domenica 9 ottobre 2011

Ventottesima domenica dl T.O.

Le parole del papa nel recente viaggio a Friburgo hanno col­pito molti, compresi coloro di cui parlava. «Agnostici, che a motivo della questione su Dio non trovano pace; persone che soffrono a causa dei nostri peccati e hanno desiderio di un cuore puro, sono più vicini al Regno di Dio di quanto lo siano i fedeli di routine, che nella Chiesa vedono ormai soltanto l'ap­parato, senza che il loro cuore sia toccato dalla fede».
Chi è vicino a Dio e chi è lontano? La parabola che abbiamo ascoltato ci fa capire che c’è un invito rivolto inizialmente a qualcuno che oppone un rifiuto. Non se ne curarono e anda­rono chi al proprio campo, chi ai propri affari. Ma Dio non si arrende e ricomincia da un’altra parte: «Andate ora ai crocic­chi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». Chi è quell’invitato che trova posto al banchetto? L’agnostico a scapito del credente? Gente religiosa a scapito del cristiano? Non è così facile la divisione, perché se c’è una distanza tra chi rifiuta l’invito e chi vi aderisce, ve n’è una an­che tra chi vi partecipa e chi si dimentica l’abito nuziale. Cer­chiamo di capire chi attende il Signore.

1.    Dio desidera innanzitutto che l’uomo capisca che l’incontro con lui è una festa e nella festa viva la sua esistenza. E non solo in corrispondenza ad alcuni appuntamenti cri­stiani: festa sempre. Come diceva Paolo: sono allenato a tutto e per tutto, alla sazietà e alla fame, all’abbondanza e all’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Posso trasformare ogni istante della vita in una festa. A volte mi pare che facciamo di tutto per renderci la vita tutt’altro che una festa: o perché pensiamo che la festa non esista o perché riteniamo corrisponda a una certa idea che non è quella di Dio. Mi vengono in mente alcune vi­cende familiari. Uno ha una passione o un’attività e quella diviene l’orizzonte interpretativo dell’intera esistenza, sua e degli altri membri della famiglia. È un morbo che colpisce soprattutto gli uomini. Lavoro che ti assorbe e ti isola dalla famiglia con la quale perdi i contatti reali. Oppure un inte­resse, un hobby che condiziona pesantemente gli altri che non ne possono più dei tuoi discorsi, dei tuoi libri, delle tue corse in bici, della tua raccolta di pietre e minerali che in­vadono la casa. La festa che Dio ha in mente deve sempre custodire l’uomo in tutte le sue dimensioni, specialmente nelle relazioni con gli altri. Altrimenti la festa diviene un inferno. Tu vai dietro alla barca e tua moglie va dietro a un altro. E neppure te ne accorgi. Tu hai il lavoro per far fronte al mantenimento e al futuro di un figlio ma ti dimen­tichi che tuo figlio ha bisogno di un padre che sappia dirgli come ci si muove nella vita e non solo in un’azienda, che sia costruttore di senso e non solo di bulloni. La festa è relazione non autocom-piacimento e se dimentichi l’incontro diventi come gli invitati scortesi, presi dal proprio campo e dai propri affari.

2.    Di fronte agli ospiti che rifiutano l’invito, Dio mette in atto un comportamento alternativo e sorprendente. Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chia­mateli alle nozze. Se la festa com’era stata pensata non funziona, Dio riprende da un’altra parte. Mi pare che anche questo sia interessante perché talvolta ci ostiniamo su al­cuni meccanismi che sistematicamente vengono ripetuti e non producono alcunché. Pensate proprio alla logica del matrimonio, a com’è organizzato, a com’è vissuto. Perché quando arriva un invito a nozze la reazione è spesso si­mile a quella di una piccola tragedia che si consuma? Non ci piace la lunghezza di un ricevimento, non ci piacciono alcuni rituali, non ci va di spendere soldi per vestito e per regali. Ma siamo macinati da un meccanismo per il quale fare scelte diverse diviene rischioso. Perché devi rispon­dere ad attese di genitori e parenti, non devi essere di meno di qualcun altro, devi poter invitare il tale che non si sa mai... E devi investire un piccolo capitale, talvolta nep­pure piccolo. E se Dio ci desse appuntamento nei crocic­chi? Se cominciassimo a porre dei segnali differenti nella direzione della sobrietà e della solidarietà? Forse dalla cornice riusciremo a trovare il soggetto: gli sposi, il loro amore. E forse il nostro banchetto sarebbe un po’ più autentico. Ci si può ricordare ad esempio che lo spreco, riso beneaugurante compreso, è tutt’altro che un augurio: è la voce dei poveri del mondo che di riso non ne hanno neppure un pugno al giorno. Vai ai crocicchi e riparti. Da lì ricomincia la festa di Dio.

3.    C’è una terza tappa e riguarda l’abito nuziale. A quel tale che si è introdotto alla festa senz’abito il padrone ricorda la necessità di riconoscere quanto sta vivendo indossando un vestito diverso. Ma habitus in latino prima del vestito indica l’atteggiamento, il modo di essere. Che uomo sei? Ed è proprio per questo che in occasione del battesimo il cristiano riceve una veste: ti sei rivestito di Cristo. Gli at­teggiamenti da assumere sono i suoi. Noi ci cambiamo d’abito in ogni circostanza ma dentro rischiamo di essere sempre un po’ “casual”: casualità, fai da te, viene come viene. Prova a vestirti un po’ di più di vangelo e forse quella festa che cerchi può iniziare. Può iniziare a casa tua, può accompagnare alcune circostanze della vita, può dare agli altri un segnale che la festa raggiunge anche loro. Non perché prendono il tuo posto ma perché tu diventi il posto in cui prende forma una vita altra. Nella festa, appunto. Tua e di tutti.

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