Diciottesima domenica del T. O.
Laurence Binyon è un poeta inglese noto per aver pubblicato sul Times una poesia che, alla vigilia della prima guerra mondiale, scosse molto l’opinione pubblica londinese.
Io scendo tra le genti come un'ombra,
Io siedo accanto a ciascuno.
Nessuno mi vede, ma tutti si guardano in faccia,
E sanno ch'io sono lì.
Il mio silenzio è simile al silenzio della marea
Che sommerge il campo di gioco dei bimbi […]
Io siedo accanto a ciascuno.
Nessuno mi vede, ma tutti si guardano in faccia,
E sanno ch'io sono lì.
Il mio silenzio è simile al silenzio della marea
Che sommerge il campo di gioco dei bimbi […]
Io
Sono più tremenda degli eserciti,
Io sono più temuta del cannone. […]
Io sono il primo e l'ultimo istinto dei viventi...
Sono la Fame.
Io sono più temuta del cannone. […]
Io sono il primo e l'ultimo istinto dei viventi...
Sono la Fame.
La fame, primo e ultimo istinto dei viventi. Gesù
lo sa bene. E proprio per questo si fa conoscere mentre la fame si fa sentire,
al termine di una giornata in cui molta gente lo ha seguito. Sarebbe più comodo
mandare a casa tutti, come suggeriscono i discepoli, ma lui prende sul serio la
fame degli uomini e ad essa dà risposta. Pane in abbondanza per tutti,
addirittura che avanza. Quel pane è lui stesso, cibo di eternità; perché in ogni
fame c’è sempre una fame più grande: di conoscenza e di verità, di appartenenza
e d’amore, di compimento e felicità. Ma
quello che emerge nel vangelo che abbiamo ascoltato è la partecipazione dei
discepoli alla sazietà del mondo: Voi
stessi date loro da mangiare. Siamo affamati, ma ci saziamo solo se rispondiamo alla fame degli altri. Non rimanere inerte, sembra dire Gesù, non
fuggire: puoi contribuire al desiderio di felicità degli uomini. Come?
1. Anzitutto
considera quello che c’è. Il miracolo accade in ragione di una iniziale
disponibilità, anche se sembra inadeguata o insufficiente. «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse:
«Portatemeli qui». Oggi noi siamo segnati da una logica di programmazione
che funziona con progetti, stanziamenti, valutazione delle risorse: le grandi
opere. Ma le grandi opere del cristianesimo sono sempre partite con
un’insufficienza affidata alle mani di Dio. Basti pensare a S. Giuseppe
Cottolengo a Torino. La sua Casa della Divina Provvidenza nasce in precarie
condizioni economiche. Oggi è una struttura che raccoglie oltre quattromila
ospiti. A volte alcune situazioni della vita ci sembrano insormontabili. E non
solo quelle segnate dal limite, come l’assistenza di un malato. Anche quelle
che riguardano la vita e il futuro, come fare una famiglia o un figlio dato che
in 10 anni sono aumentate del 10% le famiglie senza figli. Con la crisi, con
l’imprevedibilità delle situazioni… Porta al Signore la tua disponibilità e
lascia che lui accresca quel dono.
2. Ma
oltre la disponibilità, il miracolo ha bisogno della diffusione. Spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i
discepoli alla folla. Il cristiano è coinvolto nella distribuzione del
nutrimento buono, di una cultura fatta di dono, di amore percepito e realmente
dato. Ha fatto molto riflettere nei giorni scorsi il caso di due gemelli nati
da una donna thailandese che ha prestato il suo utero a una coppia australiana.
Al terzo mese a uno dei bambini viene diagnosticata una malformazione e, di
fronte al rifiuto della gestante di interrompere la gravidanza, i genitori
australiani decidono di prendersi solo il bambino sano. Una storia di miseria
umana: ma quella più grande non è quella di una donna che per far fronte alla
povertà della sua famiglia arriva a scelte estreme. Povertà anche di chi
ambiguamente sembra fare scelte d’amore e poi ne limita la forza. A volte si ha
l’impressione che il pensiero cristiano in relazione a vita nascente sia
piuttosto restrittivo; ma proprio in questo caso vediamo che non basta intuire
dei varchi: bisogna passarci e assumersene le responsabilità. Come la donna
thailandese che tenendo il bambino ha dichiarato: «Lo amo come un figlio e farò qualunque cosa per lui».
3. Infine
il miracolo avviene con un’operazione di raccolta. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici
ceste piene. Porta con te il ricordo di qualcosa di buono perché quello che
hai ricevuto continui a nutrirti. Nei giorni scorsi Claudio Risé ha rieditato
un libro, Felicità è donarsi, in cui
racconta una sua esplorazione solitaria della Sardegna, all'insaputa dei
genitori. Quindicenne, a Civitavecchia si imbarcò su un rimorchiatore, guardato
con diffidenza dall'equipaggio. Ma un giovane mozzo, intuendo che il coetaneo
era digiuno, gli si avvicinò porgendogli due mele. «Feci per frugarmi in tasca
– ricorda Risé – alla ricerca di spicci. Mi fulminò con gli occhi scuri. “Che
fai? – disse –. Sono per te. Da me”». Quel ricordo mi ha accompagnato ogni
giorno confida lo psichiatra, ha spezzato il mio egocentrismo e ha inaugurato
il mio essere-con.
Ecco
perché al termine di ogni messa il sacerdote, raccogliamo e riponiamo il pane
avanzato. Perché sia ricordo buono di un essere-con
che cambia la vita.
Io sono la fame. Non
è bella cosa la fame. Ma può essere l’esperienza che cambia la vita. Se trovi
colui che ti sazia e se impari a farti nutrimento per gli altri.
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