sabato 9 agosto 2014

Omelia 3 agosto 2014


Diciottesima domenica del T. O.

Laurence Binyon è un poeta inglese noto per aver pubblicato sul Times una poesia che, alla vigilia della prima guerra mondiale, scosse molto l’opinione pubblica londinese.

Io scendo tra le genti come un'ombra,
Io siedo accanto a ciascuno.
Nessuno mi vede, ma tutti si guardano in faccia,
E sanno ch'io sono lì.
Il mio silenzio è simile al silenzio della marea
Che sommerge il campo di gioco dei bimbi […]

Io Sono più tremenda degli eserciti,
Io sono più temuta del cannone. […]
Io sono il primo e l'ultimo istinto dei viventi...
Sono la Fame.
La fame, primo e ultimo istinto dei viventi. Gesù lo sa bene. E proprio per questo si fa conoscere mentre la fame si fa sentire, al termine di una giornata in cui molta gente lo ha seguito. Sarebbe più comodo mandare a casa tutti, come suggeriscono i discepoli, ma lui prende sul serio la fame degli uomini e ad essa dà risposta. Pane in abbondanza per tutti, addirittura che avanza. Quel pane è lui stesso, cibo di eternità; perché in ogni fame c’è sempre una fame più grande: di conoscenza e di verità, di appartenenza e d’amore, di compimento e felicità.  Ma quello che emerge nel vangelo che abbiamo ascoltato è la partecipazione dei discepoli alla sazietà del mondo: Voi stessi date loro da mangiare. Siamo affamati, ma ci saziamo solo se rispondiamo alla fame degli altri. Non rimanere inerte, sembra dire Gesù, non fuggire: puoi contribuire al desiderio di felicità degli uomini. Come?

1.    Anzitutto considera quello che c’è. Il miracolo accade in ragione di una iniziale disponibilità, anche se sembra inadeguata o insufficiente. «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui». Oggi noi siamo segnati da una logica di programmazione che funziona con progetti, stanziamenti, valutazione delle risorse: le grandi opere. Ma le grandi opere del cristianesimo sono sempre partite con un’insufficienza affidata alle mani di Dio. Basti pensare a S. Giuseppe Cottolengo a Torino. La sua Casa della Divina Provvidenza nasce in precarie condizioni economiche. Oggi è una struttura che raccoglie oltre quattromila ospiti. A volte alcune situazioni della vita ci sembrano insormontabili. E non solo quelle segnate dal limite, come l’assistenza di un malato. Anche quelle che riguardano la vita e il futuro, come fare una famiglia o un figlio dato che in 10 anni sono aumentate del 10% le famiglie senza figli. Con la crisi, con l’imprevedibilità delle situazioni… Porta al Signore la tua disponibilità e lascia che lui accresca quel dono.
 
2.    Ma oltre la disponibilità, il miracolo ha bisogno della diffusione. Spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Il cristiano è coinvolto nella distribuzione del nutrimento buono, di una cultura fatta di dono, di amore percepito e realmente dato. Ha fatto molto riflettere nei giorni scorsi il caso di due gemelli nati da una donna thailandese che ha prestato il suo utero a una coppia australiana. Al terzo mese a uno dei bambini viene diagnosticata una malformazione e, di fronte al rifiuto della gestante di interrompere la gravidanza, i genitori australiani decidono di prendersi solo il bambino sano. Una storia di miseria umana: ma quella più grande non è quella di una donna che per far fronte alla povertà della sua famiglia arriva a scelte estreme. Povertà anche di chi ambiguamente sembra fare scelte d’amore e poi ne limita la forza. A volte si ha l’impressione che il pensiero cristiano in relazione a vita nascente sia piuttosto restrittivo; ma proprio in questo caso vediamo che non basta intuire dei varchi: bisogna passarci e assumersene le responsabilità. Come la donna thailandese che tenendo il bambino ha dichiarato: «Lo amo come un figlio e farò qualunque cosa per lui».

3.    Infine il miracolo avviene con un’operazione di raccolta. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Porta con te il ricordo di qualcosa di buono perché quello che hai ricevuto continui a nutrirti. Nei giorni scorsi Claudio Risé ha rieditato un libro, Felicità è donarsi, in cui racconta una sua esplorazione solitaria della Sardegna, all'insaputa dei genitori. Quindicenne, a Civitavecchia si imbarcò su un rimorchiatore, guardato con diffidenza dall'equipaggio. Ma un giovane mozzo, intuendo che il coetaneo era digiuno, gli si avvicinò porgendogli due mele. «Feci per frugarmi in tasca – ricorda Risé – alla ricerca di spicci. Mi fulminò con gli occhi scuri. “Che fai? – disse –. Sono per te. Da me”». Quel ricordo mi ha accompagnato ogni giorno confida lo psichiatra, ha spezzato il mio egocentrismo e ha inaugurato il mio essere-con.

Ecco perché al termine di ogni messa il sacerdote, raccogliamo e riponiamo il pane avanzato. Perché sia ricordo buono di un essere-con che cambia la vita.
 
Io sono la fame. Non è bella cosa la fame. Ma può essere l’esperienza che cambia la vita. Se trovi colui che ti sazia e se impari a farti nutrimento per gli altri.

Nessun commento:

Posta un commento