domenica 30 aprile 2017

Omelia del 30 aprile 2017


Terza domenica di pasqua


La strada è un luogo importante. Ci ricorda il movimento della vita, le trasformazioni, le scoperte. Ci sono strade capaci di ricordarci passaggi fondamentali, varchi oltre i quali la nostra vita è cambiata. Una strada di grande fascino è quella di Emmaus, villaggio poco lontano da Gerusalemme, dove due discepoli ritrovano la sorpresa di Dio, il Signore che ancora li accompagna. Forse anche noi, abbiamo percorso questa strada e forse essa può raccontarci ancora qualcosa di bello.

1.   È la strada della fiducia ritrovata. Gli inizi di quella strada sono segnati dalla delusione: Si fermarono col volto triste. È la tristezza di chi ha visto naufragare un disegno, una destinazione nella quale c’era la presenza del Signore. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele. A volte il Signore sembra venir meno agli impegni che ha preso. La vicenda di questi due discepoli ci fa però capire che quegli impegni erano nella nostra testa e non nei disegni di Dio. I due di Emmaus credevano ancora in una liberazione politica, Gesù invece li vuole condurre altrove: fece come se dovesse andare più lontano. A volte vorremmo che il Signore risolvesse i nostri problemi: di salute, di lavoro, di coppia. E vorremmo che intervenisse modificando la realtà, modificando l’altro. E invece il Signore qualche volta vuole modificare noi, i nostri assetti interiori. Il nostro matrimonio è in crisi: ho sposato uno che non era così. Può essere. Ma se non era così ed è stato con te in questo tempo, non è che lui sia diventato così anche per qualche tua responsabilità? Forse non deve cambiare lui, ma devi cambiare anche tu! Lasciati condurre, vai più lontano.

2.   È la strada del cuore che si scalda. Dopo che i discepoli hanno scoperto il Signore, si diranno l’un l’altro: Non ci ardeva forse il cuore quando parlava con noi? La strada di Dio è fatta di parole che ridanno energia alla vita, parole che strappano dal gelo. Ieri, al monumento di Via Cacciatora c’è stata una singolare rievocazione dell’eccidio, in cui si è sentito il secco rumore di una rivoltella che sparava, come in quel tragico 29 aprile del 1945. Quegli spari ci hanno ghiacciato. E in quella situazione sentivamo il bisogno di una parola diversa, capace di lenire quel dolore. Le parole umane arrivano fino ad un certo punto, anzi a volte fanno peggio. Abbiamo bisogno di una parola che ci restituisca a noi stessi, alla nostra verità, a ciò che Dio ha in mente. Così anche nella vita: a volte diciamo tante parole. Ma esse sono spesso chiacchiere, banalità, unilateralità: non riscaldano il cuore. Lascia che Dio ti suggerisca la sua parola, magari tra quelle che ascolti ogni domenica. Parole di riconciliazione, di perdono, di una nuova comprensione della realtà. E prova a dire anche tu qualcuna di queste parole. A chi ne ha bisogno.

3.   È la strada del pane spezzato. Un gesto che apre gli occhi e fa vedere l’invisibile. È il gesto dell’ultima cena ma è anche il gesto della solidarietà e della condivisione. È il gesto che il Signore ha scelto per farsi presente. È quello che facciamo nella messa ogni domenica, ma è anche quello che rende riconoscibile il Signore nella vita di ogni giorno. Diventare pane spezzato. Qualche ora fa è morto Giuliano Santi, salesiano godigese che ha passato la sua vita tra i ragazzi di Madras. Aveva 84 anni, 65 dei quali passati a insegnare mestieri, assistere, dare dignità, futuro. Unico criterio che dava per l’accoglienza dei ragazzi era che fossero poveri, molto poveri. E tra quei poveri ha voluto essere sepolto. Ecco il pane spezzato, riconoscibile anche tra le strade polverose dell’India. Gesù sparisce dalla vista, ma non sparisce dalla vita di chi l’ha incontrato e accetta di spezzarsi per gli altri.


Rimani con noi perché si fa sera. Rimani anche sulle nostre strade, Signore, e apri i nostri occhi all’incontro.

Omelia Pasqua 2017


PASQUA 2017


Risvegli. È un film degli anni Novanta che racconta la storia vera di un medico britannico che somministra un nuovo farmaco a pazienti affetti da particolari patologie che inducevano una sorta di stato dormiente. E i pazienti si risvegliano. Ed è bella la battuta cinematografica di uno di loro: «Mi chiamo Leonard Lowe. Qualcuno mi ha spiegato che sono stato da qualche altra parte per un po’ di tempo. Sono tornato».  Io credo che la pasqua funzioni proprio così: sia quel farmaco salutare che ci fa tornare, che ci risveglia a un’esistenza vera rispetto a quella intorpidita e a volte narcotizzata in cui questa società talora ci imprigiona. Chi, che cosa ti addormenta? Ci sono tanti sonni che ci imprigionano: la superficialità, la produttività, la volgarità, la malvagità… Ognuno ha un sonno di morte che lo opprime. E da esso ci risvegli e ci guarisce il Signore. In che modo?


1.   Anzitutto ci viene a trovare e ci dà uno scossone. Un’antica omelia del sabato santo ci presenta Gesù che scende nel regno della morte e che dice ad Adamo: «Svegliati tu che dormi, risorgi dai morti».  A volte il Signore ci sorprende e ci apre improvvisamente gli occhi restituendoci a una nuova comprensione della vita. Hai vissuto un rapporto clandestino con una donna che non è tua moglie: una forza che ti travolge e che ti porta spesso a casa sua. Ma, mentre cercavi amore alternativo, si è acceso il display del telefono e hai visto la foto dei tuoi bambini. E tanto è bastato per vestirti in fretta ed andartene a casa. Svegliati. Non svendere quello che di più bello possiedi: risorgi dai morti!

Separato: tuo figlio ti chiede di stare un po’ con lui. Ma hai tanto da fare. Il ragazzo però ti vede al bar e quell’immagine, di cui non ti ha mai parlato, continua a ronzargli nella testa. Svegliati, risorgi da questo stato di abbandono. Se una relazione è finita, un’altra rimane: appartieni ancora a qualcuno che ti cerca: tuo figlio.


2.   Poi il Signore toglie le pietre. Chi la rotolerà via? Ci pensa lui: toglie il sasso e fa entrare luce nella tomba. Tu ti risvegli se assecondi questo movimento e se, prima ancora, lo ritieni possibile! Perché noi a volte non ci crediamo: non crediamo che il Signore possa liberarci da quello che grava sulla nostra vita. Lasciamo al loro posto le pietre e arrediamo i sepolcri. Perché paradossalmente ci danno una certa sicurezza e ci consentono di starcene tranquilli.
Il sepolcro della tristezza, del pessimismo, della solitudine. Sei malato, hai addosso tutti i mali del mondo e ti senti solo e sfortunato. Ma a quelli che vengono ancora a trovarti continui a ripetere le solite lamentazioni e non c‘è verso di trovare una via d’uscita e così anche gli ultimi che ti venivano incontro se ne vanno. E così puoi credere ancora di più che sei proprio sfortunato!
E il sepolcro del rancore? Anche questo è ben arredato! Perché? Perché ci dà l’idea di essere forti. Se con tuo fratello l’eredità è stata oggetto di incomprensioni e di liti, i vostri figli devono pagarne il prezzo? Se un nipote ti invita al matrimonio bisogna difendere l’onore ferito o ricercare la concordia scomparsa? Sulla scena internazionale si addensano scenari di guerra: è esplosa in Afghanistan la madre di tutte le bombe. Ma noi abbiamo un arsenale ancora più distruttivo perché è capace di esplodere tra una generazione e l’altra. Accetta l’invito perché quello è il Signore che rimuove la pietra. Seppellisci l’ascia di guerra prima che la guerra seppellisca te!


3.   Infine ci si risveglia mettendosi in moto. I vangeli pasquali sono pieni di corse: di gente che va e viene dal sepolcro, che corre ad annunciare, che si lascia afferrare e condurre da una buona notizia. A volte pensiamo che prima nasca la fede e poi il movimento. Invece la fede appartiene a chi si mette in moto, a chi annuncia, testimonia, si confronta, non ha paura di metterci la faccia. Non avevano ancora capito che egli doveva risuscitare dai morti. Lo capiscono un po’ per volta, lasciandosi interpellare e rispondendo a chi li interpella. Oggi i credenti sono sottoposti ai tiri incrociati di chi non li guarda più con astio o la sufficienza di un tempo. Siamo guardati con indifferenza o con un sorta di deprezzamento, come a dire: Vai ancora dietro a queste cose? Mi sembrano belle le parole che un giovane tecnico ha detto a un cliente che lo aveva chiamato a riparare un cavo: Io sono contento di credere. E tu sei contento? Non diffondiamo la fede con le argomentazioni, ma con un po’ di luce risorta negli occhi, con la fede di Maria di Magdala che annuncia: Ho visto il Signore!