Terza domenica di pasqua
La strada è un luogo importante. Ci
ricorda il movimento della vita, le trasformazioni, le scoperte. Ci sono strade
capaci di ricordarci passaggi fondamentali, varchi oltre i quali la nostra vita
è cambiata. Una strada di grande fascino è quella di Emmaus, villaggio poco
lontano da Gerusalemme, dove due discepoli ritrovano la sorpresa di Dio, il
Signore che ancora li accompagna. Forse anche noi, abbiamo percorso questa
strada e forse essa può raccontarci ancora qualcosa di bello.
1. È la strada della fiducia ritrovata. Gli inizi
di quella strada sono segnati dalla delusione: Si fermarono col volto triste. È la tristezza di chi ha visto
naufragare un disegno, una destinazione nella quale c’era la presenza del
Signore. Noi speravamo che fosse lui a
liberare Israele. A volte il Signore sembra venir meno agli impegni che ha
preso. La vicenda di questi due discepoli ci fa però capire che quegli impegni
erano nella nostra testa e non nei disegni di Dio. I due di Emmaus credevano
ancora in una liberazione politica, Gesù invece li vuole condurre altrove: fece come se dovesse andare più lontano. A
volte vorremmo che il Signore risolvesse i nostri problemi: di salute, di
lavoro, di coppia. E vorremmo che intervenisse modificando la realtà,
modificando l’altro. E invece il Signore qualche volta vuole modificare noi, i
nostri assetti interiori. Il nostro matrimonio è in crisi: ho sposato uno che
non era così. Può essere. Ma se non era così ed è stato con te in questo tempo,
non è che lui sia diventato così anche per qualche tua responsabilità? Forse
non deve cambiare lui, ma devi cambiare anche tu! Lasciati condurre, vai più lontano.
2. È la strada del cuore che si scalda. Dopo che i
discepoli hanno scoperto il Signore, si diranno l’un l’altro: Non ci ardeva forse il cuore quando parlava
con noi? La strada di Dio è fatta di parole che ridanno energia alla vita,
parole che strappano dal gelo. Ieri, al monumento di Via Cacciatora c’è stata
una singolare rievocazione dell’eccidio, in cui si è sentito il secco rumore di
una rivoltella che sparava, come in quel tragico 29 aprile del 1945. Quegli
spari ci hanno ghiacciato. E in quella situazione sentivamo il bisogno di una
parola diversa, capace di lenire quel dolore. Le parole umane arrivano fino ad
un certo punto, anzi a volte fanno peggio. Abbiamo bisogno di una parola che ci
restituisca a noi stessi, alla nostra verità, a ciò che Dio ha in mente. Così
anche nella vita: a volte diciamo tante parole. Ma esse sono spesso
chiacchiere, banalità, unilateralità: non riscaldano il cuore. Lascia che Dio
ti suggerisca la sua parola, magari tra quelle che ascolti ogni domenica.
Parole di riconciliazione, di perdono, di una nuova comprensione della realtà. E
prova a dire anche tu qualcuna di queste parole. A chi ne ha bisogno.
3. È la strada del pane spezzato. Un gesto che apre
gli occhi e fa vedere l’invisibile. È il gesto dell’ultima cena ma è anche il
gesto della solidarietà e della condivisione. È il gesto che il Signore ha
scelto per farsi presente. È quello che facciamo nella messa ogni domenica, ma
è anche quello che rende riconoscibile il Signore nella vita di ogni giorno.
Diventare pane spezzato. Qualche ora fa è morto Giuliano Santi, salesiano
godigese che ha passato la sua vita tra i ragazzi di Madras. Aveva 84 anni, 65
dei quali passati a insegnare mestieri, assistere, dare dignità, futuro. Unico
criterio che dava per l’accoglienza dei ragazzi era che fossero poveri, molto poveri. E tra quei poveri ha voluto essere
sepolto. Ecco il pane spezzato, riconoscibile anche tra le strade polverose
dell’India. Gesù sparisce dalla vista, ma non sparisce dalla vita di chi l’ha
incontrato e accetta di spezzarsi per gli altri.
Rimani con noi perché si fa sera. Rimani anche sulle nostre strade,
Signore, e apri i nostri occhi all’incontro.