venerdì 18 marzo 2016

Funerale M. Pia Geremia


Oliva (M. Pia) Geremia in De Vecchi (18 mar. 2016)

Is 25, 6.7-9 – Lc 12, 35-40

State pronti, con la veste cinta ai fianchi e le lampade accese. Per quanto le parole di Gesù siano un chiaro monito rivolto all’esistenza umana, la provvisorietà è una logica che non ci appartiene. Siamo tenacemente ancorati alla vita e quando essa, in maniera brutale e quasi beffarda, ci viene strappata avvertiamo una lacerazione che ci espone all’inquietudine e alla ribellione. Così ci troviamo accanto a Maria Pia con le nostre domande inevase, con un dolore rispetto al quale nessuna parola umana sembra sufficiente, con gli interrogativi che riguardano il senso dei giorni, di ciò che siamo e di dove andiamo. Dove ti nascondi, Signore? Quali varchi ci inviti a percorrere perché la delusione su di te e sulla nostra vita non prevalgano su di noi?

Sì, perché la fede oggi chiede ragione di se stessa, chiede ragione di quel Dio amante della vita che qualche volta facciamo fatica a capire e a riconoscere. Un Dio che non sempre allontana le nostre angosce, ma che proprio nell’angoscia ama darci appuntamento, per aiutarci a comprendere la serietà del suo coinvolgimento e per spingere la nostra fede su strade di radicalità e di fermezza. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli. Maria Pia era una donna sveglia e vigilante e la sua morte è un’occasione che il Signore ci dà per destarci dal sonno, per rimettere in gioco la nostra vicenda credente e per non lasciarci sopraffare dal ladro che non è Dio ma una mentalità vuota di lui che erode il nostro cuore e ci convince che possiamo star bene lo stesso.

Maria Pia oggi consegna un messaggio differente, che con pazienza ha elaborato come credente, come madre e moglie, come amica e testimone di vita buona.

1.    Il primo messaggio, come una sorta di istantanea, è custodito nel sorriso di Maria Pia, quello stesso con cui ha salutato i suoi famigliari prima dell’operazione. Una donna solare, positiva, piena di gioia di fronte alla vita. E tuttavia sempre composta, propositiva, mai fuori misura. Una donna che sembra dirci: «La vita è bella e val la pena di viverla tutta! Custodiscila ogni giorno con stupore e fedeltà». Questa sorella non è stata risparmiata dalla fatica e dal sacrificio, fin dai primi vagiti, dato che sua madre è morta di parto. Ma in questo mondo Maria Pia si è sentita ugual-mente accolta e amata. Altre mani si sono prese cura di lei, garantendole affetto, sostegno, futuro. Un’esperienza che l’ha fortificata e l’ha aiutata a crescere. «Non ti preoccupare – sembra dirci oggi questa donna – nella vita c’è speranza. Anche nei momenti di incertezza siamo custoditi». Maria Pia si metteva ogni giorno nella mani di Dio e mai dimenticava di dire ai suoi figli: Va’ pian e fatte el segno dea croze. Va’ pian, rifletti, non lasciarti prendere dal tumultuoso incedere degli impegni e delle preoccupazioni. E fatte el segno dea croze: ricordati che sei segnato da un’esperienza d’amore che non ti perde, che raggiunge l’uomo anche quando sembra abbandonato e senza speranza. Chi mai potrà separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù?

2.    Maria Pia ci raggiunge oggi anche con un altro messaggio, tra i fornelli di casa sua. Vegnio magnar qua domenega? Era la domanda che puntualmente ogni fine settimana rivolgeva a suo figlio, alla nuora e al nipotino. Il pranzo per lei era un’occasione di grande importanza in cui la famiglia ritrovava i legami della comunione e dell’incontro. È bella questa immagine che sa di cucina perché è anche quella in cui Dio ama presentare se stesso. Ce l’ha detto il profeta Isaia: Preparerà il Signore degli eserciti su questo monte un banchetto per tutti i popoli, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Il banchetto è il segno della festa che Dio tiene in serbo per ogni uomo, una festa nella quale non c’è più la morte. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre che copriva tutte le genti. Eliminerà la morte per sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto. Perché la festa di Dio asciuga le lacrime? Perché è un abbraccio d’amore. E l’amore sconfigge la morte. E ogni gesto di amore che viviamo in questa terra è terreno sottratto alla morte. Amore praticato, amore detto. Maria Pia non era sempre in grado di esprimere i sentimenti a voce e allora li scriveva nei bigliettini, magari dopo aver dato a Fede le istruzioni per la lavatrice. Ti voglio bene. E da quando si era lanciata sui social, i cuoricini arrivavano anche ad Almiro, perché il suo matrimonio era quanto di più bello la vita le avesse riservato. Ama, sembra dirci Maria Pia, non rinunciare mai a regalare te stesso. E ricordati che ciò che fa la differenza in ogni ricetta è l’amore. Al Masterchef del paradiso si vince così.

3.    C’è un ultimo messaggio che Maria Pia ci lascia. È custodito in un segno che ieri ho visto a casa sua. Un grande uovo di pasqua, già acquistato per Matteo, il nipotino. Un segno di affetto, ma anche un segno di speranza, come se questa nonna ci dicesse: la vita continua, la vita è più forte. E queste parole non sono solo le sue. Sono anche quelle dei cristiani che nel simbolismo delle uova vi hanno visto ben presto i significati di quella vicenda che ha cambiato il senso della loro vita e della storia. Gesù risorto. C’è un guscio che sembra smentire la vita, renderla inimmaginabile. Ma c’è al suo interno una forza capace di aprire una breccia e sorprendere. È la forza di quel giorno dopo il sabato dove alcune donne, presso il sepolcro di Gesù, comprendono che la morte non l’ha reso prigioniero. Donne che corrono in fretta ad annunciare la loro straordinaria scoperta e che come Maria di Magdala dicono a discepoli timorosi: Ho visto il Signore. Tra queste donne pasquali oggi c’è anche Maria Pia. Alla vigilia della settimana santa anche il suo saluto riecheggia di risurrezione e diviene invito a fidarsi di Dio, a percorrere le strade dell’impossibile perché, da quando ha tolto quel macigno dalla tomba di suo Figlio, ogni tomba è sempre provvisoria e non c’è tristezza umana che non possa aprirsi alla speranza e alla vita.








sabato 5 marzo 2016

Omelia 28 febbraio 2016


Terza domenica di Quaresima


Sei al bar, qualcuno prende in mano il giornale e commenta con gli altri le notizie del giorno. Capita anche a Gesù: alcuni, sfogliano la Gazzetta di Gerusalemme e riportano due fatti che dovevano aver turbato non poco l’opinione pubblica della città. Una rivolta sedata dal procuratore romano con la violenza e parecchio spargimento di sangue. E una torre rovinosamente crollata che travolge diciotto persone.

E i commenti del bar sono: se le cose sono andate così è intervenuta la giustizia divina. Noi non sappiamo perché ma Dio ha punito i peccatori.

Gesù prende le distanze da questa mentalità: Dio non produce disgrazie e non distribuisce castighi alla gente. Correggi la tua idea di Dio: lui non è il giustiziere dell’universo. Gesù però approfitta di questi fatti per lanciare anche un altro messaggio ai suoi discepoli. 

1.    Se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo. Significa: ricordatevi che il mondo è soggetto a limiti, a condizionamenti, a pericoli. Il mondo però è anche affidato alla vostra responsabilità. Smettete di andare in cerca delle colpe altrui e custodite con attenzione quello che vi è stato dato. Se non accogliete questa logica di partecipazione e di solidarietà perirete tutti. Pensate a tutte le volte che diciamo: “È colpa di…, le cose vanno male per colpa di…”. E non ci rendiamo conto delle complicità che viviamo. Come i dipendenti del Comune di San Remo che scrivevano messaggi in rete contro i politici corrotti e loro andavano in canoa o a fare la spesa durante l’orario di lavoro. Pensate anche all’utilizzo astuto della legge 104 che prevede la flessibilità nell’orario di lavoro per assistere un famigliare disabile. E allora l’Italia si trasforma nel buon samaritano. Peccato che l’assistenza sia soprattutto quella che dai a te stesso, a un secondo lavoro, con la complicità di quelli che si comportano alla stessa maniera e di organizzazioni sindacali che sistematica-mente coprono il lavoratore. E le aziende vanno in palla. Perirete tutti allo stesso modo. Attiva la responsabilità e non cercare colpe altrui. 

2.    A questo monito corrisponde l’immagine del fico sterile. Se c’è una pianta che in Palestina è particolarmente carica di frutti è proprio il fico. Come ci può essere un fico improduttivo? Ti vien voglia di tagliarlo. Ecco, sembra dirci Gesù: prova a verificare la pianta della tua vita: solo foglie o anche frutti? Ieri un papà e una mamma che sono venuti per il battesimo della loro bambina mi hanno raccontato le difficoltà con cui si sono misurati nel mondo del lavoro per questa nuova nascita. Sei sicuro? Hai pensato all’età? Quali conseguenze professionali, per la tua carriera? Un altro: ce la fate? E sono stato colpito dalle parole del papà: «La vera eredità che lasci ai tuoi figli sono i loro fratelli». Ecco, mentre un mondo incoraggia la sterilità e cerca gestazioni surrogate c’è qualcuno che non si arrende e cerca una vita piena di vita! Sconfiggi la logica della sterilità, non ti rassegnare mai. 
3.    Ma in questa esigenza Dio dice anche una parola di pazienza. È quella di quell’agricoltore che afferma: «Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno». Quell’agricoltore è Gesù che ci conosce bene e sa che c’è bisogno di arieggiare il terreno, di spaccare la crosta che talvolta il tempo crea. E allora questo significa che le speranza di trasforma-zione non muore mai. Dio fa il tifo per te e pensa alla tua parte migliore. È quello che ha detto papa Francesco ai ragazzi della comunità di recupero di Castelgandolfo che è andato a visitare venerdì: «Non lasciatevi divorare dalla metastasi della droga». Ecco, zappa nelle zone della tua aridità, della tua e di quella altrui e lascia che la tua vita porti dei frutti. Non lo leggeremo nel giornale, non lo sentiremo nei commenti del bar, ma forse sarà una vita migliore, capace di darti un po’ di gioia in più e di credere che tu a questo mondo ci sei venuto per qualcosa.