sabato 30 settembre 2017

Omelia 24 settembre 2017


Venticinquesima domenica del Tempo ordinario

C’è un’espressione che ha segnato profondamente il pensiero teologico: Dio è il totalmente altro. A volte può diventare pericolosa e stabilire una distanza inopportuna tra l’uomo e Dio, una distanza che Dio stesso ha superato. Ma in alcuni casi può essere d’aiuto, specie se riguarda i pensieri di Dio, il suo modo di fare, quello che lui ha in mente: Dio non sta nei nostri contenitori, nelle nostre schematizzazioni e neppure, come abbiamo sentito nel vangelo, nelle nostre rivendicazioni sindacali. I contratti di Dio sono stabiliti solo in base al suo amore, imprevedibile e a volte sconcertante. Vediamo dunque come agisce il Totalmente altro.

1.   Anzitutto lui coltiva una vite. Un albero che ha bisogno di cura, di attenzione, di coinvolgimento. Un albero che racconta una storia importante. La vigna non è una pianta di pomodori. Che cosa stai coltivando? A volte invece di far crescere la vigna ci attraggono altre coltivazioni meno impegnative, come nella storia di quella ragazza universitaria di Pordenone che ha vinto il ricorso contro suo padre che gli aveva ridotto i soldi del mantenimento perché non studiava e perdeva tempo in divertimenti. La Corte d’Appello ha dato ragione alla ragazza perché non può mantenersi da sola. Guarda che la vita è fatta di partecipazione, di impegno. Tira fuori l’energia, la tua disponibilità. Coltiva la vigna non le zucche.

2.   Poi Dio esce e chiama a tutte le ore, dall’alba alle cinque del pomeriggio. Nella sua azienda assume personale di continuo: c’è sempre posto e non è mai troppo tardi per coinvolgerti nei progetti di Dio. Non si tratta solo dell’impegno che puoi assumere in parrocchia, ma anche della decisione che sempre puoi mettere di giocarti un po’ di più nella direzione del vangelo. Prova ad andare nella vigna di casa tua, nella tua famiglia ti stanno aspettando. Prova a coinvolgerti in un progetto di solidarietà. Prova a credere nelle tue possibilità di riscatto. Qualche mese fa il Corriere pubblicava la storia di alcuni baby camorristi assunti dalla Whirpool in un progetto di inserimento professionale che ha salvato un centinaio di ragazzi dalla criminalità. Non è mai troppo tardi per trovare la parte migliore di te, quella che non emerge se rimani tutto il giorno ozioso.

3.   Infine la questione più scottante: quella della paga. Il Dio totalmente altro non paga in base all’orario lavorativo ma in base al suo amore. E se ci dà fastidio questo suo modo di fare, se ci sembra ingiusto, vuol dire che non abbiamo capito che la paga vera non è tanto al termine del rapporto lavorativo, quanto nel fatto di lavorare. Se noi lavoriamo per la paga il lavoro diventa pesante, ci aliena. Se il lavoro è qualcosa di bello la prospettiva cambia: ho avuto non l’onere ma la fortuna di iniziare prima. Perché è vero che nella vigna a volte si suda, ma in quella coltivazione c’è anche qualcosa di appassionante, di straordinariamente fecondo. Se capita, come ho sentito ieri al mercato, che siccome hai preso tante messe da piccolo ora non ne vuoi prendere neanche una, vuol dire che quelle messe erano solo pesantezza. Se il catechismo per tuo figlio ti sembra qualcosa di fastidioso, un impegno in più, piuttosto che trasmettere questi sentimenti, tienilo a casa. E se assumi un servizio in parrocchia fallo con gioia, perché il dramma peggiore che incontra il cristianesimo è la tristezza, vivere come prigionieri quello che è un cammino di libertà. Prova a vedere se ti sei perso qualcosa per strada, magari la fiducia di Gesù che conta proprio su di te.

lunedì 18 settembre 2017

Omelia 17 settembre 2017


Ventiquattresima domenica del T. O.

Se ricordate, in Egitto, nello scorso mese di aprile, c’è stato un sanguinoso attacco ad alcune chiese cristiane in cui persero la vita numerosi fedeli riuniti per la celebrazione della Domenica delle Palme. La moglie cristiana di un agente di guardia, qualche tempo fa è intervenuta con gli assassini di suo marito, dicendo loro: "Vi perdono e chiedo a Dio di perdonarvi. Prego che Dio possa aprirvi gli occhi e illuminare le vostre menti". Un gesto talmente grande che ci disorienta e che ci pone di fronte alla domanda che Pietro rivolge a Gesù nel vangelo: Quante volte dovrò perdonare? Fino a dove possiamo spingerci, fino a quando è ragionevole tale atteggiamento? Quando qualcuno ci ferisce, quando qualcuno usurpa ciò che ci appartiene, quando qualcuno ci tradisce. Ebbene, Gesù vuole farci capire che la sua proposta non è ragionevole: è dirompente. Spacca schemi, consuetudini, umana contabilità. Dio non ci mette in mano la calcolatrice ma il suo amore sconsiderato. Vediamo allora quali sono le strade del perdono. Vi propongo tre passaggi: ricorda, molla, prova.

1.   Ricorda. Il perdono nasce dalla capacità di ricordare. Ricorda il vangelo: guarda che il cristianesimo non è fatto delle tue misure ma di quelle di Gesù. Ricorda quante volte sei stato perdonato, ricorda i diecimila talenti che appartengono al condono che ti è stato fatto: non è abbastanza? Noi teniamo registri contabili aggiornatissimi per quanto riguarda i debiti altrui, per quanto riguarda i nostri ci dimentichiamo di segnare. Ma c’è un’altra realtà da ricordare. Ce l’ha suggerita il Siracide, questo saggio dell’AT che forse si è trovato più volte a creare pace tra i figli di Israele. Ad un certo punto dice: Ricordati della fine e smetti di odiare. Cosa vuoi portare di là: le tue ragioni o il tuo amore? Cosa lasci in eredità ai tuoi figli: il rancore da custodire da una generazione all’altra o la fraternità e la concordia?

2.   Molla. Il servo cui è stato condonato il debito enorme va dal suo collega che gli doveva pochi soldi e non si limita a chiedere la restituzione: lo prese per il collo e lo soffocava. A volte siamo così: prendiamo gli altri per il collo e li soffochiamo. Con le nostre pretese, le cattiverie, le chiacchiere, le azioni legali. Molla la presa. Vi siete separati perché non andavate più d’accordo, perché dovete continuare a farvi del male, a insultarvi, a usare i figli come arma? Molla la presa. E le considerazioni che fai sull’odioso parente o vicino di casa? Guarda che forse non stanno soffocando solo lui, ma anche te e i tuoi figli che ti ascoltano. Molla la presa. Proviamo a vedere se si può curare anche la comunicazione. A volte i problemi nascono perché diciamo parole inadeguate, mal dette o mal comprese. Qualcuno, come se manifestasse un merito afferma: Quello che ho in cuore, io ce l’ho anche in bocca. Non sarebbe augurabile che ce l’avessi anche in testa, che passasse attraverso la verifica dell’intelligenza? Anche le parole soffocano e occorre imparare a dosarle, a selezionarle, a dirle quando è il caso e con chi è il caso.

3.    Infine prova. Era quello che diceva papa Francesco in Colombia paese in cui c’è un estremo bisogno di riconciliazione. Bisogna che alcuni abbiano il coraggio di fare il primo passo in questa direzione, senza aspettare che lo facciano gli altri. Basta una persona buona perché ci sia speranza! E ognuno di noi può essere questa persona! Ognuno di noi. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo fratello? Prova ad attivare percorsi di recupero. Quali? Prova a distendere i muscoli facciali: fai un po’ di ginnastica allo specchio o comprati la crema skinrelax che fa miracoli… Sorridi e saluta invece di girarti altrove. Prova a essere fedele a una parola data senza cambiare le carte in tavola. Prova a perdere qualcosa invece di perdere gli affetti. E se tutto questo non riesce prova anche …a pregare: forse il perdono inizia chiedendone la forza e l’efficacia.

Quante volte? Sempre, tanto da assomigliare a Dio. Perché il perdono non serve agli altri, serve a noi, per essere figli di quel Padre dei cieli che così vuol essere riconosciuto anche in ciascuno di noi.

Omelia funerale Lina Mazzarolo


Lina Stocco ved. Mazzarolo (1 ago. 2017)

Rm 8,31-35.37-39 – Gv 14,1-6

Non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. La vita di Lina è quella di una donna forte, che ha tenuto saldamente in mano il timone della vita e non ha mai cessato di credere e di fidarsi di Dio, anche quando gli eventi della vita avrebbero portato a ben altre conclusioni. La sua esistenza potrebbe essere raccolta in tre sequenze, cariche di messaggi che forse oggi ci è chiesto di custodire.

1.    Lina è una ragazza di Godego, nata e cresciuta in questo paese mentre tanti cercavano fortuna all’estero. E dall’altra parte del mondo, in Australia, Camillo Daminato un giorno dice ad Alfonso Mazzarolo: «Fonso, gavaria na tosa da farte conossare». Camillo dovette essere convincente perché Alfonso rientra in Italia e va a trattare con Pietro e la Olga, genitori di Lina che nel frattempo è al lavoro in pastificio. Ma, curiosa come tutte le donne, arriva a casa e spia dal balcone della stalla quello che sta succedendo: «Chi saraeo chel bel toso?». Dieci mesi dopo, nel 1966, il bel toso diviene suo marito e in viaggio di nozze dove vanno? In Australia! Non doveva essere un hotel a cinque stelle perché Lina ogni tanto ripeteva: «Fonso, ma dove me gheto portà?». Abitavano a Griffith, inizialmente in una baracca e coltivavano frutta e verdura. Un po’ alla volta però l’attività cresceva e le condizioni miglioravano e in casa di Lina e Alfonso arrivarono anche i tre figli , Sandra, Renato e Fabio. La vita cominciava ad andare per il verso giusto. La vicenda di Lina, come quella di tanti Godigesi, è anzitutto quella di un migrante, di chi si è messo in viaggio per cercare sicurezza, per dare dignità alla vita. Una pagina che ci insegna ad essere grati a chi ha lasciato questo nostro paese e ne ha permesso lo sviluppo con quello che mandava a casa e che ci insegna ad essere attenti e rispettosi anche nei confronti di chi oggi vive vicende analoghe.

2.    Ma ad un certo punto l’imprevisto e la tragedia. 6 settembre 1975. Mentre la famiglia da Griffith va a Sydney per raggiungere l’Italia, con la felicità di far conoscere i nipoti, Alfonso è colto da un malore e pochi istanti dopo muore in ospedale. Noi possiamo solo immaginare cosa può essere passato nella mente di Lina in quegli istanti. I figli maggiori ricordano che lei aveva Fabio in braccio e continuava a ripetere: «Preghè, preghè». Arrivò poco dopo il nonno Pietro e li aiutò a rientrare tutti in Italia. Un ritorno in risalita, dove si trattava di far crescere i ragazzi e di mandare avanti la famiglia. «Go fatto da femena e go fatto da omo», parole che Lina ogni tanto ripeteva, ricordando i sacrifici di quegli anni. Due erano le risorse che possedeva: una grande forza d’animo e la fede. E forse la prima era dovuta alla seconda, perché Lina diceva spesso: «Se no gavesse avuo a fede no so che gavaria fatto». Fede che si trasformava in preghiera, rosario, messa alla Crocetta, candele accese continua-mente. E senza smarrire la serenità e neanche la capacità di pensare agli altri, magari un po’ di assistenza in ospedale e i gesti segreti della carità. La fede non ci risparmia dalle prove della vita, ma ci aiuta ad affrontarle con coraggio, sapendo che non siamo soli e che qualcuno si prende cura di noi. Chi ci separerà dall’amore di Dio in Cristo Gesù? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la nudità, la fame, il pericolo, la spada? Vita eterna è credere che Dio è più grande di tutto quello che può capitare, di tutto quello che sembra smentire la sua presenza e la sua fedeltà.

3.    La terza sequenza di Lina è legata agli ultimi anni della sua vita, quando malattia e infermità l’hanno segnata pesantemente: la mente non era più quella di un tempo e un ictus modificava per sempre la sua autonomia. Però, un paio d’anni fa, il giorno prima che la situazione precipitasse, aveva avuto un giorno stranamente diverso. Dopo anni che non si muoveva ed era piuttosto sospettosa, era andata nell’orto a fare qualche lavoretto, aveva parlato amabilmente con i suoi famigliari e aveva regalato loro l’ultimo suo sorriso. La malattia a volte ci trasforma, ci rende irriconoscibili. Ma forse Lina voleva dirci: non perdete la verità delle persone, il loro sorriso. E fatene tesoro buono, anche per i giorni in cui verrà meno. Perché ci ricordiamo di chi siamo, anche quando gli eventi sembrano confonderci. Forse oggi Lina torna a sorridere: la immaginiamo così, mentre entra in paradiso. Ancora ci guarda e dice quella frase che le stava a cuore e che spesso ripeteva: «Vao trovare Fonso».  

Omelia 20 agosto 2016


Domenica ventesima del T. O.

A volte la nostra fede è come l'autobus, fermate e salite e discese in un viaggio già fissato. Crediamo di essere garantiti da un sistema, da un ambiente nel quale siamo nati e cresciuti e non ci rendiamo conto che vi è qualcosa da riprendere. Ricordate? Domenica scorsa Gesù rimproverava Pietro, il suo uomo di fiducia, dicendogli: «Uomo di poca fede». Oggi invece incontra una donna straniera, una donna “fuori sistema” alla quale dice: «Davvero grande è la tua fede». Eppure anche lo stesso Gesù oggi sembra fare un passaggio nelle sue valutazioni, spiazzato da una donna che gli impone di affermare nuovi diritti di cittadinanza di fronte a Dio. Qui, riconosce Gesù, ci sono le misure della fede autentica. Che cosa ci suggerisce questa donna?

1.    Inizialmente la donna grida. E grida non per questioni religiose, ma perché sua figlia sta male. La fede nasce da un grido autentico per qualcosa che ti sta a cuore ed è più importante della tua stessa vita. Diversa è la percezione dei discepoli: quella donna è un fastidio e implorano l’intervento di Gesù per togliersela dai piedi o forse perché mal sopportavano che il loro maestro, così famoso per i  suoi miracoli non ne facesse un altro che avrebbe confermato la sua popolarità. Cosa ti costa? A volte siamo anche noi così. Vorremmo il miracolo a prescindere dal nostro rapporto con il Signore. Il Signore invece va oltre e resiste alla nostre pressioni non perché l’intervento sia impossibile, ma perché la tua fede gli sta a cuore. Non solo le magie, ma il rapporto con lui, la voglia di giocarti, di dichiararti e, se occorre, di cambiare vita. A volte il miracolo è proprio questo: non se risolvi o meno un problema, ma se la tua vita cambia. In questi giorni ho incontrato una donna che lavora in una famiglia di Godego. Mi ha chiesto di ricevere il battesimo. Mi ha raccontato di essere andata in ospedale al Policlinico Gemelli di Roma, quando era in attesa del suo bambino. Una gravidanza a rischio. E il medico le ha detto: “Quello che clinicamente si poteva fare l’abbiamo fatto. Ma c’è un’altra cosa che voglio fare: dire una preghiera per lei e per suo figlio”. E la donna ha visto il medico uscire dall’ambulatorio ed entrare nella cappella dell’ospedale. In quel momento, diceva, era come se Dio fosse entrato nella mia vita. Verità non finzione. Accoglienza, non fastidio.

2.    La donna fa saltare i confini delle convenzioni. Gesù, incurante della donna che grida, dice: «Non sono stato mandato che per le pecore perdute della casa di Israele». Israele era il popolo dei figli, gli altri i pagani erano ritenuti cani. E Gesù dice proprio così: «Non bisogna prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». E qui la donna supera Gesù a destra: «È vero, Signore, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Gesù è spiazzato. In realtà è proprio qui che voleva arrivare e si è giocato la faccia per far capire che lui è venuto proprio per questo! In Dio non esistono uomini e cani: ci sono solo dei figli che egli vuole raggiungere ed abbracciare. I bambini, gli uomini e le donne che siano italiani o stranieri, vicini o lontani, cristiani o meno, possono attingere tutti al cuore di Dio. Dio sogna un’umanità di figli, in qualsiasi latitudine. Lo devono capire i cristiani e lo devono capire anche gli altri che qualche volta in nome di un improbabile Dio seminano terrore, come è avvenuto a Barcellona nelle scorse ore. Fede è verità sul mistero di Dio.

3.    Infine Gesù dice alla donna: «Avvenga per te come desideri». La fede è fatta anche di desiderio. Ma che cosa desideri? Impara a portare nel mondo i desideri di Dio, investi nel suo modo di vedere le cose. Pensate non solo alle stragi di Barcellona, ma anche a quello che è successo nelle discoteche in questi giorni. Due brutali aggressioni, una delle quali mortali, dove la gente rimane a guardare, non solo disorientata dall’accaduto, ma anche stordita nella propria indifferenza perché lo spettacolo deve continuare. Anche questa è barbarie che contraddistingue non i terroristi o gli autori del gesto violento e mortale, ma anche una logica di divertimento che supera ogni livello di accettabilità. Per i gestori dei locali e molto spesso anche per i frequentatori. Ti sia fatto come desideri. Ma cosa desideri? Per te, per gli altri? La donna cananea ci dà appuntamento su altre strade. Di verità, di vita, di fraternità.

Omelia 23 luglio 2017


Sedicesima domenica del T. O.

Nonostante da anni ormai i giornali ci presentino le storie dei furbetti del cartellino e i provvedimenti nei loro confronti, sembra che questa specie sia lontana dall’estinzione e si ripresenti continuamente con nuove e sorprendenti esibizioni. Così in questi giorni c’è stato il processo di un tale, insegnante di diritto di ruolo in Lombardia, che ha accumulato ben ottocento giorni di assenza a motivo di una fastidiosa lombosciatalgia che gli impediva di salire in cattedra, ma non di fare l’avvocato in Calabria. Ci si chiede quale diritto insegnasse ai suoi studenti e, a questo punto, forse è meglio che non l’abbia insegnato. Ecco, quando capitano storie di questo tipo siamo disorientati e ci pare che la battaglia del bene, dell’onestà, della legalità sia controproducente.

Una sensazione simile devono averla avuta anche i discepoli di Gesù, dal momento che racconta loro la parabola dove una fastidiosa erbaccia sembra compromettere la crescita del buon grano. Qual è il messaggio che ne deriva?

1.    Mentre Gesù invita i suoi discepoli a riconoscere la presenza di una semina buona, non chiude gli occhi sul pericolo, sulla diffusione di un’infestante che sembra compromettere il raccolto. La presenza è attribuita a un nemico che persegue lucidamente un progetto oscuro: venne, seminò, se ne andò… I discepoli fanno i conti con i figli delle tenebre che agiscono astutamente e di nascosto, che cercano di contrastare l’energia del bene per perse-guire interessi, per ottenere vantaggi: poco importa se altri ne dovranno rimettere. Non puoi andare al funerale di un parente perché non ti puoi assentare dal posto di lavoro senza dare il preavviso di sette giorni: il contratto parla chiaro. Certo, devi sapere per tempo quando l’altro morirà! La produzione viene prima della pietà. Ma notate anche quel termine zizzania. In greco è al plurale: zizzanie. Per dire che sono tante, mutanti, capaci di confonderti, C'è la zizzania del pettegolezzo che cresce da una voce all’altra, c’è quella del sospetto che ama la penombra, c’è quella dell’egoismo che prosciuga il terreno. Rendersi conto di quello che succede. I discepoli di Gesù sono uomini e donne di speranza ma non sono degli ingenui.

2.    Ma c’è un altro invito che il Signore ci fa: alla pazienza. La zizzania dà fastidio e si vorrebbe toglierla velocemente dal campo: Vuoi che andiamo a raccoglierla? Ma qui si nasconde un’insidia. E quello che non ha distrutto il male lo potresti distruggere tu. Il male ti rende complice della sua azione; senza che te ne accorga ti contagia. Quando pretendi di dividere il mondo in buoni e cattivi, quando vediamo la zizzania fuori di noi e non quella che si annida nel nostro cuore, quando per fare le nostre presunte pulizie rischiamo di eliminare anche chi non ha responsabilità. Pensate ai pregiudizi. Uno straniero è un criminale e tutti gli immigrati diventano tali. Pensa a qualcuno che ti fa uno sgarbo e alla velocità delle ritorsioni. Cos’hai risolto? Quando recupererai quel rapporto? Gesù invita alla cautela: Che non succeda che raccogliendo la zizzania strappiate anche il grano buono! A volte il grano buono è quello della concordia, della riconciliazione, della possibilità di parlarsi ancora. Lasciare che il buon grano cresca insieme alla zizzania vuol dire operare un giudizio migliore, vuol dire comprendere le proprie responsabilità e non solo quelle dell’altro, vuol dire che si può imparare anche dalle fatiche: lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, non alla nostra presunzione.

3.    Mi pare che poi la parabola ci conduca a guardare al bene con inguaribile fiducia e a farsi suoi alleati. Invece di metterti a contrastare il male, coltiva germogli di bene, di novità, di cambiamento. Un germoglio lo abbiamo visto ieri sera, alla festa dei popoli dove ho avuto la sensazione che ci fosse anche finalmente un popolo godigese e una cultura dell’ospitalità che forse non è andata perduta. Alla fine nel suo granaio Dio raccoglierà questo bene e non le nostre lamentele o le requisitorie sul male. Prova a vedere se ci sono germogli di novità da alimentare. 

Omelia 9 luglio 2017


Quattordicesima domenica del Tempo ordinario

Abbiamo seguito in questi giorni le vicende di Donnarumma e di come, snobbando l’esame di maturità, se ne sia andato in ferie ad Ibiza cullato dai suoi contratti milionari. Poi apri il giornale e vedi che a Crocetta del Montello, Agnese, una ragazzina di tredici anni colpita da fibrosi cistica è morta dopo aver voluto fare a tutti i costi gli esami di terza media. Nonostante l’ospedale, nonostante la diagnosi lasciasse poche speranze.

Come sono differenti le classifiche del mondo dalle classifiche di Dio: noi a inseguire e ad alimentare miti terreni costruiti sull’effimero, una ragazzina a sconvolgere i nostri criteri. Comprendiamo allora le parole di Gesù. Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.

Questa riflessione nasce da un momento drammatico che Gesù ha vissuto. Dopo la prima fase della predicazione ha visto andarsene i saccenti del tempo, gli esponenti del mondo religioso di allora. Gesù però non si inquieta, perché vede che Dio ricomincia da un’altra parte: dalla parte dei piccoli, di chi non conta, da chi non riceverà mai un ingaggio milionario. Sconosciuti alla stampa e al grande pubblico, ma non estranei al cuore di Dio. Come la piccola Agnese. Cosa ci dice questo vangelo? Chi sono i piccoli che Gesù cerca?

1.    I piccoli se ne infischiano delle grandezze terrene e conservano sufficiente libertà per non esserne contaminati. Stai attento alle misurazioni umane, ai giudizi autenticati dai like, agli opportunismi mascherati da democrazia e da libertà. Perché non è detto che tutto corrisponda al vangelo. Il nuovo sindaco di Verona, opponendosi alla diffusione dei testi che sostengono la teoria del gender, ha detto: «Sono convinto che la famiglia è composta da una mamma e da un papà e difenderò questo valore nella formazione di bambini e ragazzi». La replica dell’opposizione è stata quella di gridare all’oscurantismo medievale, all’inquisizione. Certo, in un paese democratico forse non si può pretendere di limitare la libertà di stampa. Ma ragionevolmente posso anche interrogarmi su che cosa devo o non devo dare in pasto a un bambino che sta crescendo. E sull’appiattimento dei generi, dove si presume di sbandierare assoluta indifferenza, prova a vedere le fatiche di un bambino che ha perso il papà o la mamma. Prova a osservare il bisogno di affetto maschile e femminile che porta con sé. Non sono sufficienti le prove della vita per evitare di crearne altre, sulla base dei nostri egoismi personali? Occhio ai giudizi: mettiti dalla parte dei piccoli non delle ideologie.

2.    I piccoli stanno comodamente in braccio al Signore e ne conoscono l’amore perché a loro Dio ha rivelato i misteri del regno dei cieli. Quando diminuisce questa percezione, hai bisogno di ricorrere ad altro, a qualcosa che riempia il vuoto, a qualcosa che ti rassicuri. In questi giorni guardavo il profilo Instagram di alcuni ragazzi, pieno di bestemmie. Certo, rimani rattristato e inorridito. Ma poi ti chiedi: è così diversa l’aria che alcuni ragazzi respirano ogni giorno? Certo, possiamo considerare molte attenuanti, ma il dramma resta, non tanto per quello che attribuisci a Dio, quanto per l’idea che ti fai di lui: come antagonista, come avversario, come nemico della tua felicità o artefice dei tuoi mali. E anche quando non bestemmi, che Dio hai incontrato se non riusciamo a strappare per lui neanche un’ora alla settimana? Dio a modo mio non è un problema dei ragazzi. È anche un problema dei padri e delle madri, anche un problema dei nonni che all’amore hanno sostituito il timore, l’indifferenza o la presunzione di poter star senza di lui. E poi c’è un banco di prova insindacabile: la presenza del prete nel momento della malattia. Quando lo chiami all’ultimo momento o non lo chiami proprio, quando temi che il malato si impressioni, la paura è del malato o è la tua? Che Dio hai incontrato? Cosa ti aspetti da lui? A volte non abbiamo incontrato il Padre di Gesù Cristo, ma lo specchio delle nostre paure. E più guardiamo questo specchio più le paure aumentano.

3.    I piccoli non hanno paura di stare sotto il giogo Gesù. I grandi non ci passano, i piccoli invece ci entrano bene e scoprono che il peso in buona parte lo porta lui. Lavora con Gesù, opera con lui secondo il vangelo. Penso alla figura di Giuliano Santi, nostro missionario godigese. Questo piccolo secondo il vangelo è stato un uomo di una grandezza straordinaria. Perché? Perché è rimasto unito al Signore e ha vissuto con lui due grandi pagine: quella dell’intraprendenza e quella della sofferenza. Con la prima ha detto che il Signore riscatta l’uomo dalle sue povertà, con la seconda ha detto che il Signore è sostegno anche nel momento della prova e della malattia. Ecco il giogo: non è un peso, ma la possibilità di aprire un solco buono nel quale il grano della vita cresce e porta frutto.

Ti benedico Padre… quali benedizioni cerchiamo: quelle dei grandi o quelle dei piccoli? Il vangelo sovverte le misure terrene e ci mette sulle strade delle sorprese di Dio, anche quando ci sembra impossibile.