sabato 16 giugno 2012

Omelia 17 giugno 2012

Undicesima domenica del T. O.
Un antico apologo rabbinico ricorda che quando Dio creava il mondo aveva quattro secchi di sassi: tre li ha versati sulla terra di Israele. Il racconto ci aiuta a comprendere il miracolo di una pianta che spunta nella pietrosa realtà palestinese e ci fa capire perché Gesù ricorra a tale immaginario per dire le meraviglie di Dio. C’è una novità in azione ed essa è più forte di qualunque resistenza, più sorprendente di ogni misura ipotizzata. Due parabole e due semi. Che cosa ci suggeriscono?
1.    Anzitutto il dinamismo di una crescita. Gesù sta parlando del Regno di Dio, del suo modo di rendersi presente nella vita degli uomini. Ebbene tale azione non si manifesta ponendo delle lapidi commemorative al suo passaggio, ma producendo vita. Così vuol essere il Dio cristiano, così la sua azione nel mondo. Oggi, non trovandoci più a vivere in una società cristiana, rivendichiamo a volte un certo riconoscimento che questo tempo non è più disposto ad attribuirci. Come quello delle radici cristiane dell’Europa. È una esigenza che può essere legittima, specie se in quel riconoscimento c’è l’affermazione di un valore e l’indicazione di una prospettiva di senso universalmente valide. Ma non sono appunto le lapidi che ci interessano, la gratitudine o l’ossequio degli uomini, quanto piuttosto che il vangelo di diffonda e porti vita, sia nuovo germoglio nella pietraia del mondo. Abbiamo visto nei giorni scorsi il popolo della famiglia radunato a Milano. Mentre dalle colonne di qualche giornale, saccenti opinionisti sentenziavano sulla fine del cristianesimo cercando il torbido all’ombra del cupolone, c’era un milione di persone che, insieme al successore di Pietro, dichiarava la possibilità di vivere da cristiani in famiglia. E non solo lo dichiarava: lo testimoniava con scelte talora impegnative come l’affido, la vicinanza a una persona anziana, la possibilità di indicare valori che permangono nonostante la crisi, perché non tutto è misurabile economicamente. Ecco il seme di cristianesimo vitale che non si è fossilizzato e non ha cessato di crescere e di far crescere.
2.    Un altro suggerimento viene dalla prima parabola: il seme che cresce da solo. C’è l’iniziale opera di quell’uomo che getta il seme nel terreno, ma poi, dorma o vegli il seme germoglia e cresce Come, egli stesso non lo sa. Gesù ci sta facendo capire che, nella logica del Regno, c’è un’azione eccedente rispetto a quello che appartiene alla responsabilità dell’uomo: è quello che può fare Dio. Sorprendentemente il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Seminare è necessario. Ma nella semina c’è un evento più grande della semina stessa: c’è il mistero della crescita che appartiene a Dio e ai suoi disegni. È di questi giorni la notizia che grazie ai 320 Centri di aiuto alla vita sparsi in tutta Italia, nel 2011 sono venuti alla luce 17mila bambini. Le loro madri dovevano abortire, ma qualcosa o qualcuno ha cambiato il corso della loro vicenda: un seme gettato, talvolta nell’arido deserto della solitudine. Mentre a Washington un gruppo di ricercatori ha elaborato un nuovo test per individuare il DNA del feto ammiccando ad una mentalità eugenetica per la quale “se non sei come voglio ti elimino”, 17mila madri, con coraggio, portano a termine la gravidanza credendo, nonostante tutto, nel mistero della vita. Ecco il seme che cresce da solo. E questo ci fa comprendere la forza del vangelo. I suoi semi, posti nell’educazione, nei momenti cruciali dell’esistenza, nelle conversazioni più semplici sono sempre promessa di uno sviluppo che procede talvolta anche quando ci pare di aver parlato o agito per niente. Dio ti può sorprendere, proprio dove non l’avresti creduto.
3.    Ma la sorpresa sembra addirittura allargarsi. Pensate alla seconda parabola, quella del granello di senapa. In questo caso un semino produce una pianta che costituisce rifugio per gli uccelli del cielo. Il Regno non solo cresce oltre ogni proporzione intuita, ma diviene anche zona di incontro, realtà ospitale. Dio è più grande dei nostri confini. E qui forse facciamo un po’ di fatica. Pensate alle parole del ministro Paola Severino dopo aver visitato l’istituto penitenziario della Dozza a Bologna: «Vorrei rendere utile la popolazione carceraria, quella non pericolosa, per i lavori di ripresa del territorio». Quel discorso però non è riuscito a scalfire un muro di sospetto che ha portato a dire: «Non li vogliamo». E quei detenuti con molto rispetto, non hanno insistito, ma hanno attivato un tam-tam tra i carceri italiani e in tanti hanno aderito alla colletta della Chiesa italiana facendo arrivare anche i pochi spiccioli che possedevano. Il terremoto è un evento drammatico che sconvolge l’esistenza. Ma a volte le rovine più pericolose sono quelle che ci segnano nel cuore: quelle della diffidenza e del pregiudizio che si innalzano come barriere e delimitano zone di confine. I detenuti queste rovine le conoscono bene, perché le hanno causate e a fatica cercano di rimuoverle. Ma col loro gesto in contropiede ci hanno fatto capire che solo l’ospitalità dell’altro ci salva. Solo la condivisione. E quando questo avviene, il Regno di Dio si diffonde. E con esso la sorpresa di un’umanità vivibile.

sabato 2 giugno 2012

Omelia 3 giugno 2012

SS. Trinità 2012

Il poeta trevigiano Andrea Zanzotto, recentemente scomparso, comincia una sua poesia con queste parole:
Siamo, anche se io stento, fatti di orizzonte,
disadattati a questo tipo di mondo.
Siamo fatti di orizzonte, anche se stentiamo a riconoscerlo e questo mondo, spazio delle nostre vicende, ci va stretto se limitato ai brevi confini che immediatamente percepiamo. Nel cuore di ogni uomo è stampato l’orizzonte di Dio e non ci rassegniamo quando esso scompare. Ce lo ricorda la festa di oggi, squarcio aperto sul mistero della comunione divina tra il Padre, il Figlio e lo Spirito e ce lo suggeriscono i fatti di questa settimana, talvolta così lontani da Dio e così disperatamente alla ricerca di lui.

1.    La prima immagine è quella del terremoto. Ancora una volta questa terribile esperienza ha segnato il nostro Paese. Anche noi ne abbiamo percepito i sussulti e quando questo succede ti senti fragile e vulnerabile, bisognoso di salvezza. Tra le drammatiche immagini che ci sono giunte ce n’è una che mi ha colpito. Quella di un operaio inginocchiato fuori della propria azienda crollata: il viso raccolto tra le mani che invano cercavano di nascondere le lacrime e quel segno di croce che ha concluso la sua intensa preghiera. Noi siamo fatti di orizzonte e quando gli eventi sembrano cancellarlo, scopriamo che essi non lo riducono nello spazio di una relazione con Dio che ci accompagna anche nei momenti dolorosi dell’esistenza: interroga pure i tempi antichi, ci fu mai divinità così vicina a te, come lo è il Signore nostro Dio? Il Dio cristiano ha scelto di partecipare alle vicende del mondo non attraverso effetti mirabolanti, ma rimanendo accanto agli uomini anche nell’esperienza del dolore e della morte: attraverso suo Figlio che nella morte ha sconfitto la morte. Una psicologa che segue i bambini nelle zone colpite dal sisma affermava: la loro serenità dipende dalla capacità di speranza degli adulti. E la speranza è legata agli orizzonti della vita, a quello in cui credi e a cui ti affidi perché non sei onnipotente. È legata alla possibilità di indicare ciò che passa e ciò che resta, a non sottovalutare l’economia di un territorio ma a scoprire, nello stesso tempo che c’è un’altra economia, suggerita dalla solidarietà e dall’apertura all’altro. Ecco l’orizzonte di Dio che torna ad allargarsi.

2.    Una seconda istantanea, questa settimana ce la consegna la torbida vicenda che ha interessato il Vaticano e che ha creato e sta creando sconcerto tra i fedeli. Corrispondenza furtivamente sottratta dal tavolo del pontefice e abilmente usata in maniera scandalistica ci ha messo di fronte a una chiesa in cui le logiche del mondo sembrano aver preso il sopravvento su quelle del vangelo. Ci fa male riconoscere che l’orizzonte di Dio possa essere confuso proprio da chi dovrebbe indicarlo in maniera più chiara. Ma quell’orizzonte rimane tale ed è sempre la chiesa ad aprircelo, nonostante le ambiguità e il peccato di alcuni suoi membri. Perché la chiesa non è solo nelle bassezze vere o presunte nelle quali ci convoca in giudizio un tribunale mediatico che pretende di ergersi come supremo giudice e pubblica gogna. La chiesa è anche quella di don Ciotti che ti strappa dalla piovra mafiosa, è quella dei Cappuccini a Milano che serve gratuitamente duemila pasti al giorno, è quella che si accolla gli oneri della scuola materna parrocchiale per continuare a offrire un servizio educativo. Ed è quella che ogni giorno in tutte le chiese del mondo continua a dire: “Prendete e mangiate” e “Io ti assolvo dei tuoi peccati”. È la chiesa che raccoglie il mandato del suo Signore e continua ad agire in nome suo. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Perché le mense può aprirle anche qualche altro ma solo nella chiesa conosci il volto di Dio ed entri nella comunione con lui: Non può aver Dio per Padre chi non ha la chiesa come madre (Cipriano).

3.    La terza immagine la raccogliamo dal meeting internazionale della famiglia che si tiene in questi giorni a Milano. Questa circostanza ci consente di ritrovare una straordinaria analogia con l’orizzonte di Dio, perché nelle vicende della famiglia è custodito un frammento della sua luce. Anche Dio infatti è famiglia, quella costituita dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito in un amore unico e eterno. Pensate allora a quelle ipoteche che talora pesano sul matrimonio di due giovani. Non bastassero le loro fatiche ed esitazioni, si trovano spesso a battagliare con una famiglia che detta regole sul matrimonio, che pretende standard convenzionali per non sfigurare e che detta legge sugli invitati al punto da escludere la propria presenza se c’è qualche altro, magari la propria ex. Il sacramento dell’amore condizionato pesantemente da antiche rivalse e indirette ritorsioni. Ma a Milano l’amore torna ad andare in onda, regalandoci la sorpresa di chi ci crede ancora e non si lascia catturare nei vicoli ciechi di sentimenti privi di fede e di ragione. 

Siamo, anche se io stento, fatti di orizzonte. La festa della Trinità allarga ancora una volta tale orizzonte e ce lo riconsegna perché ogni esitazione non ce ne faccia perdere l’anelito e ogni restrizione non ci lasci tranquilli.