giovedì 30 ottobre 2014

Omelia 26 ottobre 2014


Trentesima domenica del T. O.

In questi giorni si è rotto il cancello della canonica. Un piccolo perno su cui girava il battente si è inclinato, con il rischio che crollasse il pesante portone. È quello che capita nella nostra vita: qual è il perno su cui gira? Com'è messo?

È quello che il dottore della legge chiede a Gesù: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». La legge di Israele dai dieci comandamenti si era diffusa in una serie di oltre seicento prescrizioni e divieti che soprattutto i farisei osservavano scrupolosamente. In questa complessità di riferimenti era necessario trovare il perno: qual è dunque la cosa importante? Qual è il grande comandamento? Gesù risponde.

Il grande comandamento è ama. Vuol dire che quello che fa girare correttamente l’esistenza è l’amore. A volte pensiamo che quello che ci regge sia il lavoro, l’idea che il guadagno sia fondamentale, che sia garanzia di futuro, di stabilità. E non ci rendiamo conto che quel lavoro ci sottrae alle persone care, proprio quelle che vorremmo fare felici. Crediamo che il nostro darci da fare corrisponda ad una scelta d’amore, ma non è sempre così. Gesù allora non ci dice semplicemente di amare, ma di amare in una certa maniera.

1.     Anzitutto amare Dio. È Dio che per primo ci ama, ma il suo amore ci aiuta ad aprire anche il nostro alle misure più grandi. Grandi come Dio. Non soffocare mai l’amore, non restringerlo. Perché se ami Dio tutto viene disegnato dall’amore: il cuore, la mente, la volontà. Pensate alle volte in cui l’amore si restringe alle budella e conduci gli affetti unicamente sulle strade delle emozioni: mi piace/non mi piace mi sento/non mi sento. L’amore non può essere solo una percezione: è desiderio, è progetto, è volontà, è costruzione. L’amore di Dio ti mette nella direzione del tutto, ti salva dalla parcellizzazione dall’amore vissuto a metà.

2.     Il grande comandamento continua in un secondo che è simile al primo. Simile vuol dire che la logica è la stessa, che la solidità che cerchi va individuata nella concretezza dei rapporti con gli altri, facendo posto all’amore di Dio. Diventa simile a Dio amando gli altri come lui, altrimenti l’amore è uno spot pubblicitario. Come ama Dio? Ce l’ha suggerito la prima lettura: Non molesterai il forestiero, né l’opprimerai perché voi foste forestieri nel paese d’Egitto. Dio ha un cuore senza confini. Se tu presti denaro all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio. Dio ha un cuore che non pretende pagamenti né interessi. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta. Dio ha un cuore pieno di compassione. Come sono diversi questi gesti da quelli suggeriti in questi giorni da due insegnanti di Torino che ai loro alunni di terza elementare hanno dato come tema: Chi uccideresti per primo, il papà, la mamma o il fratello? Qual era l’obiettivo di questo intelligente compito in classe? Abituare i bambini a prendere decisioni difficili? La decisione difficile non è sbarazzarsi degli altri ma voler loro bene e credere che l’amore ci tiene in piedi.

3.     Ma c’è anche un altro amore da considerare. Come te stesso. Amerai il prossimo tuo con la stessa intensità con cui custodisci te stesso, la tua vita. Tu riesci ad amare se ti ami, se ti prendi cura di te. A volte questo non succede e l’orizzonte della vita si incupisce. Ci sono talvolta persone impegnate nel volontariato che si lasciano prendere dai problemi in una maniera così forte che tutto l’orizzonte si oscura; cominciano a lamentarsi e anziché comunicare energia comunicano la loro rabbia o la loro tristezza. Con chi ce l’hai, che c’è nel tuo cuore? Altre persone poi usano le attività per nascondere un vuoto: da dove stai fuggendo, cosa stai cercando? Pensate anche alla vita di coppia, di famiglia: a volte ci sono delle mancanze di rispetto che per il quieto vivere vengono accettate silenziosamente. Amare l’altro non vuol dire accettare acriticamente ogni suo comportamento. Vuol dire ritrovare la propria dignità fatta di convinzioni, di parole e di gesti. Solo se trovi te stesso l’altro ti può trovare. Altrimenti trova un fantoccio o un suddito o uno schiavo.
 
Dove gira la tua vita, su quale perno? Qual è il grande comandamento? Bello però il fatto che Gesù coniughi al futuro: amerai. È un cammino aperto che pazientemente si disegna ogni giorno.

domenica 19 ottobre 2014

Omelia 19 ottobre 2014


Ventinovesima domenica del Tempo ordinario

Anziano raggirato da falsi funzionari, automobilista ingannato dalla truffa dello specchietto. Quante sono le insidie che ogni giorno ci raggiungono? Qualcuno ti spinge su un terreno insidioso senza che te ne accorga e ad un certo punto scatta la trappola. Succede anche a Gesù. Dopo che i farisei non sono riusciti a metterlo in difficoltà con il dibattito teologico ci provano con quello economico. Quando si parla di soldi siamo tutti vulnerabili: chissà che si possa incastrare Gesù. Ecco dunque la domanda: E’ giusto o no pagare il tributo a Cesare, lo dobbiamo pagare o no? Notate che la domanda è posta dai farisei e dagli erodiani. I primi mal sopportavano la dominazione romana, i secondi invece la sostenevano. Se Gesù avesse detto di pagare sarebbe sembrato un alleato del potere imperiale, se avesse detto di no poteva apparire un rivoluzionario, una testa calda. Questa situazione a volte ci appartiene perché le parole di Gesù sono scomode e il tentativo di cercare dei sotterfugi è sempre in agguato. Come ne esce Gesù? Che cosa ci fa capire?

1.    Anzitutto smaschera l’ipocrisia dei suoi interlocutori. Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?». Ci sono pagine del vangelo che indicano una strada impegnativa. La legalità, la correttezza economica, la coerenza sul piano professionale. Pensate ad alcune situazioni lavorative: in base alla legge chiedi il permesso di assistenza di un familiare malato e ti assenti dal lavoro costringendo azienda e colleghi a coprire il tuo turno. Una buona cosa, se non fosse che in realtà hai un altro lavoro e quel familiare è solo un espediente per fare i tuoi interessi. E quando qualcuno te lo fa notare ti nascondi dietro alla persuasione che “in Italia va così”, che i politici sono i primi a dare questo esempio. L’Italia va così perché tu vai così. In realtà percepisci che c’è un’ipocrisia di fondo che va riconosciuta perché non succeda che, volendo mettere in trappola l’altro, finisci in trappola tu. Chiama per nome i tuoi sotterfugi.

2.     Ma non si tratta solo di sotterfugi. C’è un pericolo ben più grande. Gesù infatti chiede una moneta. Ed essi gli presentarono un denaro. Nel conio c’era l’effige di Tiberio con la scritta pontifex maximus. Ora Gesù si trovava nel tempio e in tale luogo quella moneta non poteva entrare: Israele sa bene che c’è un unico Dio e che gli imperatori non devono prenderne il posto. All’ingresso del tempio c’erano infatti i cambiavalute. Come dunque quella moneta è rimasta nelle tasche di qualcuno? Ecco il vero pericolo: che il tuo Dio sia il soldo. Il vangelo ti dà fastidio, elimini chi te lo ricorda e non ti rendi conto che qualcun altro prende il posto di Dio, diventa il tuo nuovo vangelo. Che cosa c’è a fronte alla tentazione di alcuni nostri ragazzi di interrompere un cammino universitario? Non c’è l’incapacità o l’assenza di prospettive occupazionali, ma il confronto con i coetanei e la ricerca di un’immediata disponibilità economica che consente di avere i 50 o i 100 euro per il sabato sera. Che cosa ti muove nella vita? Che valori indichi? Che moneta metti in tasca di tuo figlio? Quando capitano certe morti siamo tutti costernati, ma non basta. Dobbiamo lavorare a monte e indicare una valuta diversa da quella che sembra prevalere sul mercato del mondo. Perché non c’è quell’unico mercato e c’è il rischio di investire in chi ti promette di arricchire e in realtà ti rende succube. Smaschera l’imperatore.

3.    Ma non si tratta di fare rivoluzioni, né di porre alternative. Ci sono due ordini da riconoscere. A Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. E non sono speculari. Non si tratta infatti di dare ma di rendere, di restituire: e ciò che appartiene a Cesare non è ciò che appartiene a Dio.  Gesù non misconosce l’esigenza di fare i conti con la storia e neppure con un’economia, uno stato, un sistema fiscale. Ma l’effige di Cesare va legata alla ricerca di un’altra immagine, quella che Dio imprime nel volto di ogni uomo, specie nel caso in cui Cesare perda di vista l'uomo e si fissi sulla sua immagine o sulle sue tasse. Restituisci sempre l'uomo alla sua dignità: del suo lavoro, dei suoi legami, della sua terra, Non cadere nella trappola di chi vuole cancellare tale immagine, perché c’è il rischio di non riconoscerla più neppure in te. Giornata Missionaria Mondiale che cos’è? È dare aiuto economico, certo, ma è soprattutto dire ad ogni uomo che è immagine di Dio, che porta impresso i riflessi dell’onnipotente. I cristiani nel mondo sono di questa umanità buona e contro ogni tranello la diffondono e la difendono.

 

venerdì 17 ottobre 2014

Omelia funerale Vittoria Serena 17 ottobre 2014


Funerale Vittoria Serena – Godego, 17 ottobre 2014 (188/210)

La morte
rabbiosa come una bestia dal collo azzannato
percuote i nudi corpi degli uomini
arrancando per le strade
con il petto gonfio
e il volto bagnato.

È una poesia in cui Vittoria esprime lo sconcerto di fronte ad una realtà tenebrosa con cui oggi ci confrontiamo. La morte come una bestia sanguinaria si aggira per le strade mietendo le sue vittime. Un cappuccio nero, come dice il titolo di questo piccolo componimento, calato sulle attese e sulle speranze degli uomini. Come si fa a morire a vent’anni? Come si fa a morire così? La bestia è passata anche in mezzo a noi seminando dolore e incomprensione. Eppure nelle parole di Vittoria è contenuta anche un’altra verità. La morte è una bestia dal collo azzannato. Colpisce ma è stata già ferita mortalmente, il suo destino è segnato e qualcuno l’ha vinta.

La piccola fiamma del cero pasquale ci ricorda un chiarore che si diffonde nelle tenebre, quello di Gesù che nel mistero della sua morte ci ha liberati dalla morte e ha aperto un varco di vita per sempre. Quei gesti apparentemente senza speranza di Giuseppe di Arimatea che raccoglie Gesù dalla croce nascondono in realtà la sua azione più potente. Egli è sceso nelle profondità dell’abisso, è sceso come ogni uomo, morendo. Ma ha portato un antidoto sul quale la morte non può prevalere: l’amore. La morte regna dove non c’è amore, ma se in casa della morte viene liberata questa energia, la morte è disarmata e sconfitta. E allora comprendiamo le parole di Paolo: Chi ci separerà dal suo amore? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione? Né morte né vita ci separeranno dall’amore di Dio in Cristo Gesù.

In questa azione potente però il Signore coinvolge anche noi, affidandoci alcune responsabilità che allargano l’amore di Gesù e la sua salvezza.

1.    Prendi sul serio il mistero della vita. Della tua e di quella degli altri. Oggi viviamo in un vortice di superficialità che nega talvolta le profondità dell’esistenza: pubblichiamo su facebook le foto ammiccanti e patinate di una serata in discoteca e ci illudiamo che il mondo sia questo. E invece c’è un universo interiore che domanda riconoscimento, attenzione, cura. Un universo fatto di domande, di intuizioni, di risposte. Un universo che domanda anche condivisione, confronto, discernimento, capacità di ritornare sui propri passi. L’ultimo messaggio che Vittoria ha spedito a un’amica diceva: Sto male, non so più che cosa faccio. Vittoria era una ragazza splendida, aperta: “Quando arrivava splendeva il sole”, ha detto un’amica; ma nel cuore c’era un male oscuro. Prenditi sempre cura di te, non presumere mai delle tue sole forze, fatti aiutare. Non prendere scorciatoie, perché a volte la morte può vendere i suoi prodotti spacciandoli come un rimedio: la morte è dominio del menzognero, non dimenticarlo quando ti seduce e ti illude. E negli sguardi di chi incontri cerca sempre di non fermarti alle apparenze, di intercettare l’inquietudine altrui, di farti prossimo. Che succede se quel “come va”, che talvolta utilizziamo all’inglese, cominciassimo a chiederlo per davvero?

2.    Fai buona scorta di amore. Se è questo l’antidoto che sconfigge la morte, meglio dosi abbondanti. E impara a trafficare l’amore perché è nel dono di sé che si trovano le grandi risposte della vita. Vittoria era una ragazza riflessiva ma le riflessioni da sole non bastano: devono trovare sentieri di incontro, di reciprocità, di fiducia, di solidarietà libera e generosa. A volte i mali della vita si vincono non quando qualcuno si interessa di te ma quando tu cominci a esistere per qualcuno. Vittoria lo stava intuendo: l’amore che aveva ricevuto in famiglia lo stava imparando a diffondere, alla nonna con la quale aveva pensato di abitare per non lasciarla sola, con un ragazzo con cui si stava profilando una storia. Ecco, è importante curare l’amore, farlo crescere, interrogarne la verità e l’intensità. Perché quando viviamo nell’amore esso diviene una forza potente, capace di contrastare le tenebre, capace di farci capire che la nostra fragilità può custodire un tesoro. Lasciati amare e impara ad amare perché nell’amore si nasconde il mistero di Dio e della vita.

3.    Non rassegnarti al nulla. Vittoria era una ragazza in ricerca. L’ultimo libro che ha preso in prestito nella nostra biblioteca è stato il De brevitate vitae di Seneca, un’opera nella quale l’autore si chiede il senso del tempo. Oggi noi viviamo una pericolosa deriva dall’eterno, immersi in un presente che sembra catturarci. Ma l’ultimo messaggio che Vittoria ha postato su facebook diceva: Non è mai un addio. Una frase che sembra riconoscere la possibilità di una breccia, di un oltre. È il varco che appartiene al Signore Gesù, alla speranza che ha inaugurato, ai cieli nuovi e alla nuova terra in cui non ci sarà più né lutto, né lamento, né pianto. Non rassegnarti mai al sasso posto sul sepolcro, perché per quanto grosso c’è qualcuno che lo rovescia e fa nuove tutte le cose. Vivi di eternità, apri sprazzi di cielo e non rassegnarti mai di fronte a chi ti dice: non c’è più niente da fare.

Cara Vittoria, consegniamo la tua giovane vita nelle mani di Gesù. Il suo amore ti abbracci e ti faccia comprendere quello che né tu né noi siamo stati in grado di capire. Sia balsamo sulle tue ferite, guarigione dal male che non sei riuscita a combattere, perdono e misericordia per ogni tua fragilità. Continua a restare vicina alla tua famiglia, stampa negli occhi e nel cuore di tua madre un’immagine diversa dall’ultima che  ha visto e ricorda a ogni tuo coetaneo quella vita nuova che ora ti appartiene e che nella speranza è consegnata ad ogni uomo.

 

domenica 12 ottobre 2014

Omelia 12 ottobre 2014


Ventottesima domenica del T. O.

La festa appartiene alla vita degli uomini e anche nel nostro paese ce ne sono molte: la contrada, la classe, la semplice voglia di stare insieme e divertirsi. Ma a volte succede qualcosa di strano: giunge un ospite seducente che strega gli animi e confonde. È l’alcool. E ci si apparta con una bottiglia di vodka che diventa padrona della vita e consegna allo stordimento e al vuoto. Ci dobbiamo interrogare sul senso della festa. Lo devono fare i ragazzi rapiti da un mito di trasgressione che sembra consacrare una sorta di riconoscimento sociale e lo devono fare anche gli adulti che qualche volta sono complici della situazione e incapaci di suggerire prospettive differenti. Se indichiamo il nulla è chiaro che di qualcosa lo si riempirà, ma non è detto che sia quello che ci tiene in piedi.

Anche il Signore oggi ci parla di una festa: è quella che Dio intende realizzare con ogni uomo. È bella questa determinazione di Dio di coinvolgere proprio tutti, buoni e cattivi, fino ai crocicchi delle strade. Di che festa si tratta? Come la si custodisce?

1.     Anzitutto è una festa di nozze. Dio vuole farci capire che la festa nasce da un incontro vero, da un dono d’amore all’altro. Lui per primo si dona e vuole coinvolgerti in quella stessa logica. Le feste funzionano quando sposi qualcuno, quando la tua vita diventa partecipazione vera alle sorti dell’altro, non quando ti giochi a metà. La gioia è essere gioia per qualcuno da amare senza riserve. Pensate al fenomeno delle convivenze che stanno aumentando. A volte queste situazioni sono passaggi graduali verso il matrimonio. A volte divengono scelte di chi non vuol scegliere. E perché? Perché non si sa mai, perché non servono tante dichiarazioni ma solo la personale decisione... Però sentiamo che sotto c’è il rischio di un impegno preso a metà, di cercare una uscita di sicurezza. Trova la bellezza di un sì che continua. La festa cerca sempre misure di eternità.

2.     La proposta di Dio però trova qualche ostacolo. Venite alle nozze! Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. A volte Dio disturba. Abbiamo altre cose da fare: il campo e i propri affari. Lavoro ad oltranza, anche due o tre lavori e non ti rendi conto che qualcosa ti sta sfuggendo di mano. Il contatto con la tua famiglia, l’attenzione al mondo, l’incontro domenicale con il Signore. E tiriamo fuori delle scuse: non ho tempo, servono soldi, piuttosto che andare a messa per farsi vedere meglio fare il proprio dovere a casa. A messa ci vai solo per farti vedere? O c’è un incontro da vivere che dà senso al tuo quotidiano? Perché ci stupiamo dei giovani che sballano, ma quale orizzonte indichiamo loro? La domanda segreta  che un figlio fa ai genitori non è “come si fanno i soldi” ma “cosa ci sono venuto a fare in questo mondo”? Noi dobbiamo dare varchi, non prigioni.

3.     Infine la festa ha bisogno di un abito. Vuol dire: non viverla superficialmente, ad intermittenza. Entra in tale logica, lascia che essa divenga un habitus, qualcosa che ti rivesta dalla testa ai piedi. Importante questo aspetto perché possiamo entrare nel mondo di Dio ma con un abito che non è il suo. E magari crediamo di operare per lui, di agire per suo conto mentre stiamo cercando qualcos’altro: riconoscimento, risarcimento, controllo. Partecipo a un gruppo ma mi devono dire che sono bravo. Animo un’iniziativa ma elimino chi non la pensa come me. Faccio servizio ma devo farlo con i miei amici. È la festa di Dio o la tua festa che cerchi? La festa la devi fare vestito di nuovo, cercando una sorpresa, lasciandoti spiazzare dalle tue idee di ogni giorno! Altrimenti non è festa: è programmazione aziendale, è cuccia calda, è autocelebrazione. Rivestiti di novità e porta nel mondo lo stile di Dio! Forse le nostre feste avranno qualcosa in più da dirci e forse chi ci sta accanto vedrà che la festa possiede una sorgente.

sabato 11 ottobre 2014

Omelia 5 ottobre 2014


Ventisettesima domenica del Tempo ordinario

C'è una bella poesia di Giovanni Pascoli che con molta leggerezza racconta la bellezza di un orto:

E come l'amo il mio cantuccio d'orto,
col suo radicchio che convien ch'io tagli
via via; che appena morto, ecco è risorto.

Tra le proprietà che uno possiede c’è sempre un pezzettino di terra che gli è più caro, dove ci mette un po’ di cura in più. Anche Dio ha questo appezzamento: è una vigna che circonda di grande attenzione e nella quale addirittura risuonano canti gioia: Canterò per il mio diletto un cantico di amore per la sua vigna. Che cosa ci suggerisce questa immagine e perché Gesù ancora una volta se ne serve?

1.     Anzitutto essa corrisponde a qualcosa di bello e vitale. Il cristianesimo non è un codice di procedura ma una realtà che cresce, si diffonde e porta frutto. Questo interroga la nostra modalità di approccio alla fede e la nostra testimonianza. Noi proveniamo da un cristianesimo consolidato che ha dato forma alle nostre comunità, ai loro assetti pastorali. Ma bisogna continuamente interrogarsi su quello che facciamo, sulle modalità con cui operiamo per non correre il rischio che la struttura mortifichi la vitalità evangelica e ci ritroviamo a rincorrere tradizioni che alla fine ci imprigionano. E’ quello che continuamente ripete Papa Francesco: quando la Chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica, la Chiesa perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una ONG. E la Chiesa non è una ONG. E’ una storia d’amore. Ecco la vigna, il piccolo appezzamento situato nel cuore di Dio.

2.     Nella vigna tuttavia succede qualcosa di grave. La logica d’amore è sostituita da altre visioni che portano a gesti drammatici. Tutta la cura che il padrone pone nei confronti della sua proprietà è vista con sospetto, con fastidio, fino alla violenza e alla prevaricazione: prima nei confronti dei servi, poi nei confronti del figlio. “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Comprendiamo bene che qui c’è un chiaro giudizio nei confronti dei capi del popolo ostili all’azione di Gesù. I custodi della vigna che ne dimenticano e tradiscono il senso. È lui il Figlio che verrà ucciso fuori della vigna, proprio da loro. Ecco a volte questo capita anche nella nostra vita: Gesù ci è d’impiccio. Ci dichiariamo credenti, ma il vangelo che seguiamo è un altro. Pensate alla vicenda di questi due ragazzini diventati genitori a 13 anni. Una storia gestita bene a quanto sembra, ma che ci interroga in termini educativi. A volte ci pare che la chiesa sia retrograda quando parla di sessualità e riteniamo che in nome di una presunta libertà ogni scelta sia legittima. Invece in questi casi comprendiamo che la sessualità non può essere slegata dall’età, dalla crescita affettiva, dai linguaggi della mente, del cuore e non solo del corpo. Se escludiamo le prospettive evangeliche, non solo uccidiamo Gesù, ma perdiamo anche l’uomo così come Dio stesso lo sogna.

3.     Dio però non si rassegna di fronte a questa situazione e ricomincia da un’altra parte. Costruisce un popolo capace di custodire il suo sogno. A voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare. Sono parole che sempre dobbiamo ricordare per non credere di possedere l’esclusiva su Dio. Bisogna essere sempre attenti a questi spostamenti che Dio realizza. Oggi inizia il Sinodo sulla Famiglia. Pensate al modo con cui si parla di tale realtà: o in termini distruttivi che la cancellano o in termini allarmistici che segnalano solo l’emergenza, le situazioni problematiche. E con una simile angolazione fare una famiglia sembra impossibile: meglio adeguarsi ad altri modelli. Un sinodo è l’occasione per ritrovare il sogno di Dio, per riguadagnare fiducia, ma anche per vivere questo nostro tempo, senza dimenticare le situazioni complesse che la famiglia incontra. Perché ci sono famiglie che ancora continuano ad essere tali, nonostante le difficoltà. Sono la pietra scartata dai saccenti di questo tempo che diviene pietra angolare, una meraviglia ai nostri occhi!

Ecco, non lasciarti confondere ed entra con gioia nella vigna: scopri la bellezza di farne parte e impara a custodirne il dono.