lunedì 30 novembre 2015

Omelia 29 novembre 2015


Prima domenica di Avvento 2015

Non so se avesse visto il gesto di papa Francesco che a Nairobi, secondo un’usanza africana, ha piantato un albero, ma in questi giorni un papà mi ha chiesto di fare la stessa operazione a S. Pietro, nei pressi del sacello, per ricordare la nascita di suo figlio. Mi pare una bella idea: un segno di vita e di fiducia nell’uomo, caparra di un domani buono. L’avvento inizia proprio con l’immagine di un germoglio: In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio giusto. Non rassegnarti al vecchio, allo stantio, al si-è-sempre-fatto-così. Cerca la novità di Dio. Nella tua vita, in casa tua, nella chiesa, nel mondo. Anche dove ti sembra impossibile! E diventa anche tu un alleato di tale crescita. In che modo?

  1. State attenti ai sistemi. Gesù evoca anzitutto il sistema solare, un mondo che regola il giorno, le stagioni e i movimenti dell’uomo: Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle…. Ebbene questo movimento cosmico contrassegnato da una rigorosa concatenazione di elementi che sembrano ineludibili è anch’esso destinato a finire: le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte. Un modo con cui Gesù sta dicendo: attenzione a tutti i sistemi, perché anche quelli che sembrano più affermati e invincibili sono in realtà destinati a passare. I sistemi dell’economia e della finanza, i sistemi del terrore, i sistemi della moda, del tempo libero. Del consumo. Avete mai visto quello spot in cui c’è un uomo e un cane fuori dalla sala parto ed esce l’ostetrica con una cucciolata? È l’animale elevato a rango umano: un sistema che fa guadagnare milioni di euro. Risollevatevi, dice Gesù, non prostratevi a queste dominazioni. Il verbo anakupto vuol dire piegarsi ma verso l’alto, raddrizzarsi. Mettetevi dritti davanti ai potenti, a sistemi che sembrano dettar legge sulla vita degli uomini, perché queste potenze saranno cancellate.
  2. State attenti a voi stessi. Non ci sono però solo i sistemi. C’è anche la tua complicità, la tua stagnazione: Fate attenzione che i vostri cuori non si appesantiscano. Che cosa appesantisce la vita? Dissipazioni: la vita prigioniera del vuoto, dell’assenza di prospettiva; ubriachezze: lo stordi-mento, lo sballo; affanni: il dominio delle preoccupazioni. È facile pensare ai giovani in relazione all’alcol e allo stordimento. Ma ci sono anche le nostre preoccupazioni di adulti che impediscono al germoglio di spuntare. Quando l’orizzonte si fa oscuro e non c’è verso di uscire: non perché alcune situazioni non siano obiettivamente difficili ma perché non ci si lascia aiutare. O meglio perché più che aiutati si vorrebbe essere assecondati, compatiti. Perché anche il ruolo della vittima può tornare utile. Per attirare l’attenzione, per rivendicare affetto, per non essere disturbato, per non assumere altre responsabilità. Pensate ai coniugi divisi e a chi fa la vittima di fronte ai figli per accaparrarsi stima e affetto. Pensate alla presenza di una badante nella vita di una persona anziana. A volte la relazione si trasforma in una guerriglia perché si ha paura di perdere in autonomia o di essere scaricati. E i giorni diventano un inferno. Prova a capire ciò che sta avvenendo: forse i tuoi figli non vogliono scaricarti ma darti una mano, forse questa persona non è un carceriere ma un modo di arrivare dove non ce la fai più. State attenti a voi stessi.
  3. State attenti ai segni di Dio. Infine Gesù dice: Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Fa’ attenzione ai segni di Dio, osserva dove ti sta dando appuntamento. In questa settimana abbiamo assistito ai funerali di Valeria Solesin. Cerimonia laica, dove le diverse fedi sono rimaste a debita distanza, com’era stato loro chiesto, “perché nessuno ci mettesse un cappello sopra”. Ma non vi pare che Dio prepotentemente volesse entrare in tale circostanza e chiederci: a chi affidi la tua morte? Alle commemorazioni o a colui che dalla morte ti strappa? Le posizioni di alcune scuole tentate di trasformare il Natale in “festa d’inverno”, allontanando i riferimenti cristiani, quali orizzonti indicano alle giovani generazioni? Quelli della neve? Per quanto cerchiamo di togliere Dio dalla vita, lui non si dà per vinto e rinnova i suoi segni di amore e fedeltà di generazione in generazione. Anche alla generazione Bataclan.
    Pregate, vegliate in ogni momento perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo. Il Signore ritorna germogliare nella nostra vita. L’avvento sia tempo della novità e della sua sorpresa.

lunedì 23 novembre 2015

Omelia funerale Roberto Morosin


Funerale Roberto Morosin (23 nov. 2015)

(Letture 1Cor 15,20-28 – Mt 10,25-37)



Se la morte è sempre un’esperienza con la quale ci misuriamo a fatica, in alcuni casi essa lancia una vera e propria sfida alla nostra capacità di comprendere. E quando le domande non appartengono solo agli adulti, ma anche ad un ragazzo cui viene tolto un padre, siamo ancor più disorientati. Sembrano vere le parole che accompagnano la celebre danza macabra affrescata all’esterno della chiesa di Pinzolo:

Io sont la morte che porto corona

Sonte signora de ognia persona

Et cossi son fiera forte et dura

Che trapaso le porte et ultra le mura

  1. Anche se queste parole sono dei macigni hanno il pregio di condurci di fronte alla verità della vita, quella stessa verità che Roberto conosceva e con la quale si misurava dal 2012 quando era stato diagnosticato il suo male. Ne ha sempre seguito con attenzione il decorso senza trascurarne la gravità e senza lasciarsi sopraffare. Roberto aveva uno stile molto pragmatico e anche la malattia rientrava nella gestione dei problemi della vita. Questo modo di fare non è risolutivo, ma ha il vantaggio di non nascondersi, di non raccontarsi storie. L’uomo è segnato da una costitutiva fragilità che talvolta dimentichiamo presi da nostri miti di onnipotenza e di invincibilità. Tra poco lo canteremo: ricordati che l’uomo è come l’erba, come il fiore del campo. Ogni fratello che se ne va ci invita a raccogliere la verità dell’esistenza, a vederne anche la vulnerabilità, a vivere i propri giorni sapendo di essere sempre e solo di passaggio. Se una persona, un papà ci ha insegnato questo ha già fatto abbastanza.
  2. Ma questa pagina di verità non è tutta la verità. Accanto al corpo di Roberto brucia una piccola fiamma. È la luce del cero pasquale, accesa nella notte della risurrezione per ricordarci che la morte non è invincibile. Qualcuno è entrato nei suoi possedimenti e l’ha sconfitta. Fratelli, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti… e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno vita in Cristo. Adamo è la nostra prima verità, Cristo è la seconda. Insieme a Roberto noi cristiani custodiamo questa straordinaria speranza che intravede nella morte non una destinazione ma un varco. I cristiani non portano buoni consigli all’umanità ma l’annuncio della risurrezione e della vita. A volte ce lo dimentichiamo lasciando spazio alla tristezza e alla rassegnazione. Roberto oggi ci suggerisce di affidarci al mistero. Non tutto è documentabile attraverso le nostre percezioni e catalogazioni e Dio ama darci appuntamento proprio dove impariamo a vedere con il cuore, con la fiducia. Come ci ricorda il Piccolo Principe: L’essenziale è invisibile agli occhi. C’è di più di quel che vedi, c’è risurrezione e speranza.
  3. Le promesse di risurrezione fatte di cielo non riducono tuttavia le vicende della terra. E Roberto su questa terra c’è vissuto con molta responsabilità. La parabola dei talenti ben interpreta il suo coinvolgimento sulla scena famigliare, su quella professionale, su quella pubblica. Non era sempre tipo facile e qualche volta era anche un po’ burbero. Ma era solo scorza che rivestiva atteggiamenti di attenzione agli altri e disponibilità. Quando accostava un problema lo faceva suo maturando idee e cercando soluzioni praticabili rispondendo ai bisogni reali della gente. Alle persone dava fiducia e seguiva anche alcune situazioni particolarmente impegnative sul piano dei rapporti umani, convinto che ci fosse ovunque un po’ di bene e una possibilità di riscatto. Ma era anche esigente sotto il profilo dei risultati, in primo luogo con se stesso, convinto com’era che tutti dovessero e potessero dare il meglio. Un figlio a scuola, un disoccupato, un’associazione, un amministratore. Quest’ultimo incarico che ha assunto lo lega alla nostra comunità cittadina per la quale ha messo tempo, passione, energie. Mi piace ricordare il suo impegno con le parole di un Godigese che Roberto conosceva e che ogni tanto citava, Giovanni Renier. Divenuto vescovo di Feltre e Belluno, nelle sue Reminiscenze, a metà ‘800 scriveva di sé: “Scevro di ambizioni e di speranze, fui sempre alieno dal corteggiare i felici del mondo, se nol fosse talvolta per altrui giovamento. I posti, la fortuna, le grandi cariche, anche ecclesiastiche, sono assai volte di chi sa procacciarsele, né il merito personale vi ha sempre la maggior parte. Io non mi dico né meritevole, né umile, dico solo che arrossirei di me stesso laddove fossi giunto a mercar onori od impieghi coll'arte del cortigiano". Roberto non era un cortigiano, ma uno che ha cercato di promuovere il bene comune, la solidarietà e la disponibilità. Per questo crediamo che le parole ascoltate nel vangelo, oggi siano anche per lui: Vieni, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone.  

Omelia 22 novembre 2015


Cristo Re 2015


Vi ricordate il discorso finale di Charlie Chaplin nel film Il grande dittatore? Inizia così: «Scusate, ma non voglio fare l'imperatore. Non è il mio mestiere. Non voglio governare o conquistare nessuno». Siamo nel 1940 quando sull’Europa si profila lo scenario del secondo conflitto mondiale e i nazionalismi scatenano la loro offensiva. Qualcuno sta affermando la propria volontà di dominio e di potenza e vuole fare l’imperatore mostrando la propria boriosa grandiosità e distruggendo gli altri. Pagine tragiche che ogni tanto ritornano, perché l’imperatore è ancora in agguato. L’imperatore è il terrore scatenato sulla scena del mondo da uomini che in nome di Dio hanno perso Dio e se stessi, ma imperatore è anche quella logica che estromette le ragioni di Dio e ci fa credere che al suo posto può regnare la ritorsione armata, le regole dell’economia, una società laicista che estromette ogni riferimento all’assoluto e alla questione religiosa. L’imperatore tenta sempre di arrampicarsi sul trono e di dettare le sue regole.

Oggi c’è un’altra regalità da riconoscere: quella di Gesù. Una regalità un po’ strana, ma che viene affermata con decisione davanti a Pilato: «Dunque tu sei re?». «Tu lo dici. Io sono re». Che re è Gesù? Quale regalità ci insegna?

  1. Una regalità che non è di questo mondo. Di che mondo sei? In che modo intendi regnare? Come sono state efficaci le parole di Antoine Leiri, l’uomo che ha perso sua moglie al Bataclan e che ha scritto ai terroristi: Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. Noi vogliamo regnare con l’odio, la ritorsione. Ci pare che rispondere con i dispetti ai dispetti sia il modo di vincere. Ma quando ci comportiamo così regnano il rancore e la cattiveria, non noi. Siamo prigionieri di logiche di questo mondo dalle quali Gesù ci invita a prendere le distanze. Il mio regno non è di quaggiù. Fai vedere che sei più forte di ciò che sembra forte, fai vedere che c’è un regno più grande di quelli del mondo.
  2. Una regalità capace di rispondere, di rimanere in piedi di fronte ai suoi interlocutori e accusatori. «Dunque tu sei re?». «Tu lo dici. Io sono re». Gesù non arretra di fronte a Pilato, ha il coraggio di rispondere. Sei re se non fuggi, se non stai in silenzio quando ti è chiesto di parlare. Il silenzio infatti non è sempre una virtù: può essere un nascondiglio, un alibi. Perché in questi giorni pretendiamo che i musulmani parlino, si facciano sentire? Perché le parole sono importanti! Perché se loro non si dichiarano estranei ai fatti capitatati c’è il rischio che i fatti regnino su di loro, con il loro carico di morte. Ma questo chiede ragione anche dei nostri silenzi. Quando ci è chiesto di dire fede e glissiamo, quando l’altro ci interpella e non vogliamo incontrarlo, quando le parole devono assumere responsabilità ma preferiamo impegnarci a metà. Sei re o stai scappando?
  3. Però la regalità non è fatta solo di parole. È fatta di parole vere. Per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Tu regni se ti metti dalla parte della verità. Ora però la verità non sta in tasca a nessuno. La verità è Gesù e il suo vangelo. Chi è dalla verità ascolta la mia voce. A volte nelle nostre affermazioni siamo un po’ sbrigativi: “Io dico la verità!”. Chi sei? L’oracolo di Delfi? Pensate a quel tipico intercalare che contagia i godigesi da una generazione all’altra: ghetu capio? E tu? Cosa hai capito? A volte le nostre comprensioni sono fatte di interesse personale, amor proprio, egoismo. È stato molto bello osservare martedì la nutrita partecipazione alla serata dedicata al tema dell’emigrazione. Vuol dire che abbiamo riconosciuto il nostro bisogno di capire per non essere vittime di pregiudizi, di chi ragiona con la pancia e poco con la testa e il cuore. Vuol dire che le strade della verità sono diventate un po’ più nostre! Ecco tu regni se ascolti e accogli questa verità, perché tutto il resto se ne va via veloce ma chi ascolta il vangelo rimane e regna.

domenica 15 novembre 2015

Omelia 15 novembre 2015


TRENTADUESIMA DOMENICA T.O.



In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo chiarore. E ieri notte la luna sembra essersi spenta a Parigi. I fatti capitati ci mettono di fronte a un disegno oscuro e minaccioso che sembra chiudere i nostri orizzonti e affermare la presenza di una invincibile logica di morte e di terrore. E le ombre si allargano sulla nostra vita, sui rapporti con gli altri, sulle frontiere generando chiusure, sospetti, distanze, divisione. Come vivono i discepoli di Gesù questa situazione?



  1. Anzitutto ristabilendo i giusti confini della storia. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi. Se lo scenario del terrore è grande, ce n’è uno di più grande ancora, che appartiene a Dio. Guarda che il gioco delle tenebre è quello di far credere che siano invincibili, è quello di chi vuol uccidere la speranza. Il cristiano invece vive nell’attesa del Signore e sa che se i giorni umani sono oscuri essi dovranno misurarsi con il giorno in cui Qualcuno verrà squarciando le nubi che generano scompiglio e oscurano la visuale. Dio è più grande dei terroristi. Non lasciarti prendere dall’idea che Dio sia impotente e neppure dall’idea che qualcuno possa farla franca. Perché questa sensazione non ci prende solo in rapporto all’Isis, ma anche di fronte ai sotterfugi della vita, ai tradimenti dell’onestà, della giustizia. Viene il giorno del Signore. Ed è un giorno di giudizio. Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.

  2. Un altro invito che Gesù ci rivolge è nella verifica delle promesse. Le stelle cadranno dal cielo. Le stelle sono il segno di una vita che appare splendente, di successo. Parla il ricco, tutti tacciono e portano alle stelle il suo discorso (Sir 13,23). Sta attento alle stelle che insegui, perché potrebbero precipitare. Ora noi ci confrontiamo con gli eventi drammatici di queste ore, ma se scorrevi Facebook fino a ieri, cosa trovavi? Centinaia di post che difendevano Valentino Rossi dal suo rivale. E se leggete l’inchiesta dell’Espresso di questa settimana vedete che negli adolescenti 14/18 sport e spettacolo hanno soppiantato ogni altro riferimento dell’universo giovanile, insieme all’aspirazione di essere scoperti da un talent show. A volte sul nostro quotidiano si accendono stelle molto fugaci e passeggere. Sta attento alle immagini che vedi, alle luci che brillano, alle parole che senti. Sta attento ai modelli che interpreti, perché c’è il rischio di sbagliare appuntamento con la vita. E il monito vale per tutti, anche per quell’abate di Montecassino che prima di aver tradito la chiesa ha tradito se stesso, precipitando come quelle stelle mondane che voleva inseguire. Mentre tutto passa, c’è una sola cosa che resta, assicura Gesù: la sua Parola. Investi sul vangelo e vedrai che la tua vita sarà salda. Sulla roccia.

  3. Infine Gesù ci affida ai segni di vita.   Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Se c’è un mondo prigioniero della morte, ce n’è un altro che fa sbocciare la vita. E questo avviene senza attirare l’attenzione, con semplicità. Cerca il ramo che germoglia e mantiene ciò che promette. Nell’inchiesta dell’Espresso c’è un dato significativo. Mentre Nel 1983 la famiglia era al sesto posto della scala dei valori, ora è al primo ed è considerata molto importante dal 96% dei ragazzi. Forse è proprio qui il germoglio da indicare, da custodire. Comincia da casa tua: la presenza e l’educazione alla fine pagano, l’affetto di un padre e una madre non è insignificante, i tuoi valori e i tuoi richiami non passano inosservati. Fa’ crescere il germoglio… e questo aiuta a trasformare i giorni umani, spesso minacciosi e cupi, nel giorno di Dio. Chissà che la notte di Parigi sia rischiarata e vediamo il mondo con un briciolo di speranza in più.

lunedì 9 novembre 2015

Omelia 8 novembre 2015


TRENTADUESIMA DOMENICA DEL T.O.



Finché rimane uno sport, l’arrampicata in bici o sulla falesia è qualcosa di avvincente e spettacolare. Problema nasce quando dallo sport si passa alla vita, alla professione, alla collocazione sociale. Anche qui ci si arrampica allo scopo di affermare se stessi, di ottenere visibilità, prestigio, considerazione da parte degli altri. E le cronache di questa settimana dimostrano che nessuno è esente da tale tentazione, neppure preti e monsignori, colpiti da quella che possiamo definire la “sindrome dei farisei”. Quali sono i sintomi? Apparire: amano passeggiare in lunghe vesti, pregano per farsi vedere. Dominare: amano avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Possedere: Divorano le case delle vedove. Ecco, dice Gesù, quando vivi così non hai capito niente. Cerchi una visibilità esteriore, ad essa attribuisci la tua riuscita e non ti accorgi di un’altra ricchezza che invece sostiene la vita. Una ricchezza che ama nascondersi, che è frutto di una ricerca che va al di là di quello che immediatamente appare. E così Gesù rovescia i farisei dalla cattedra e ci fa salire una vedova che entra furtivamente nel tempio e lascia una piccola offerta. Qui, afferma Gesù, c’è la ricchezza della vita. Ed essa è racchiusa in tre parole: povertà, totalità e gratuità.



  1. POVERTA’ - Intanto si tratta di una vedova povera (ptoké=pitocca). Ptokoi sono i primi beati di domenica scorsa. Sta attento che le misurazioni di Dio non seguono i criteri del mondo. E c’è il rischio di sbagliare appuntamento con la vita, di investire dove l’esistenza non sta in piedi. Certo, i preti attaccati al denaro, che vivono come faraoni, come ha detto papa Francesco. Ma pensate anche alla logica del matrimonio e dei suoi standard che intacca anche la decisione di sposarsi, al punto che se non hai il lampadario appeso ti pare che la casa non stia in piedi. Che cosa tieni in piedi una famiglia? Il frullatore Bimbi o il bene che vi volete?

  2. TOTALITA’ - La vedova consegna molto poco nel tesoro del tempio: spiccioli. Ma, osserva Gesù, essa ha dato tutto quello che aveva per vivere ólon ton bìon autés. Ha dato tutta la sua vita. Pensate a quei ragazzi che questa settimana si sono messi in fila ancor prima dell’alba per assicurarsi alcune collezioni trendy messe a disposizione negli store H&M, anche a Treviso. Sono frutto di questa società regolata dalle apparenze, dove sei ciò che indossi. Guarda che la grandezza della vita sta nel dare la vita: quando oltre ad alzarti presto per i vestiti di Balmain lo farai anche per assistere qualcuno, per andare al lavoro, per dire che ci sei davvero, non solo come comparsa. Inizia a regalare vita non il superfluo, tempo non frettolose apparizioni, servizio affidabile non le intermittenze, gioco e non giocattoli. Perché alla fine trovi quello che hai versato!

  3. GRATUITA’ - Altro aspetto interessante è di natura sonora. Nel tempio di Gerusalemme vi erano tredici cassette di offerte destinate a vari scopi ed erano fatte in bronzo a forma di tromba (shofarot). Quando si gettavano le monete il suono metallico che accompagnava il gesto era indice dell’importo versato. Per questo Gesù dice in un’altra pagina: quando fai un’offerta non suonare la tromba, proprio come nel caso della vedova le cui monetine manco si percepiscono. Il bene non ha bisogno di essere sbandierato.  A volte noi siamo molto preoccupati che gli altri si accorgano di quello che facciamo. E suoniamo la tromba: dell’autocompiacimento (che bravo che sono) o della recriminazione (non ti accorgi di quello che faccio). Non ne hai bisogno. Primo perché il gesto dell’amore autentico basta a se stesso: dice infatti che quella è la modalità normale per vivere l’esistenza, per essere uomini. Secondo, perché c’è qualcun altro che guarda quello che fai: Dio stesso, che si compiace nel vedere che i suoi figli vivono della sua stessa logica e dilatano nel mondo il suo amore.
    Ecco, come vivi la vita? Guarda che non devi arrivare all’alba delle offerte H&M, ma all’alba di Dio, a quel giorno in cui scopri che non sono le sceneggiate che contano ma solo quello che hai costruito nella verità e nell’amore. 

domenica 1 novembre 2015

Omelia 1 novembre 2015


Santi 2015



Il Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone ha affermato nei giorni scorsi che se a Roma dilaga il malaffare è perché mancano degli anticorpi capaci di combattere l’incuria, superare l’immoralità e sanare il degrado. Una città che si rassegna ai suoi amministratori e che forse ha perso il ricordo di un modo differente di vivere adeguandosi, in fondo, allo stesso stile. Rubi tu e rubo anch’io. Sei assente tu e mi assento anch’io. Una provocazione che ha suscitato non poche polemiche ma che ci aiuta a capire che se si diffondono certe malattie è perché l’intero organismo manca delle difese necessarie.

Ebbene, i Santi ci vengono dati proprio per recuperare questo patrimonio immunitario, per ricordarci una bellezza con cui Dio ha pensato l’uomo, la vita, il mondo.



  1. Beati. Ecco il primo invito che risuona nel vangelo di oggi. Una parola ripetuta per nove volte perché non ci rassegniamo di fronte ai compromessi, alle ambiguità, alle degenerazioni e cerchiamo sempre l’orizzonte di Dio. Dio pensa al meglio, per te e per ogni uomo. Oggi ad esempio tra i ragazzi sembra esserci una gara del peggio dove la scuola diventa il crocevia del gioco al ribasso: “Io ho preso tre!”. “Io ho preso due!”. E si ride. quasi che la popolarità non dipenda dalla bravura, ma dalle cretinate che inventi e riprendi. Bravo se svacchi. Come bravo se bevi e se sballi. Beati! Non perdere le prospettive grandi della vita, il meglio che ancora ti può appartenere.

  2. I santi però ci ricordano che la felicità passa attraverso la debolezza e conti che non tornano sulle calcolatrici umane: beati i poveri, quelli che piangono, quelli che hanno fame e sete… Gli anticorpi che ci guariscono dai mali d’oggi sono assimilabili in queste esperienze di precarietà. Perché? Perché in esse non corri il rischio di sentirti a posto, arrivato. Qual è il dramma con cui oggi spesso ci misuriamo? Quello per cui non ci manca niente. Ieri è venuta una coppia di futuri genitori. Erano sconcertati perché erano andati in un negozio a prendere una carrozzina. Ma non è più come un tempo che ne individui una e l’acquisti. Oggi devi scegliere i pezzi, proprio come quando acquisti una macchina: colore, ruote, telaio, tessuto. Il tuo bambino mica è come gli altri! E questo stile continua: non deve mancare niente. Carrozzina, ovetto, seggiolone: pronto il pacchetto. Giochi: non sappiamo più dove metterli. Capricci: subito accontentati, tanto che i bambini divengono presto sovrani e genitori e nonni i loro sudditi. Il problema degli adolescenti difficili e maleducati non è l’adolescenza, ma il modo con cui hai gestito l’infanzia riempendoli di cose e vuotandoli di attesa. Privandoli anche degli anticorpi che li aiutano a reggere nella vita, a capire che non tutto è scontato e che se non incontra subito qualche no sarà la vita a presentarglielo, con un conto molto salato. Ecco perché Gesù si ostina a dire: Beati i poveri, perché quando ti manca qualcosa stai trovando te stesso!

  3. E infine i santi ci consegnano l’audacia di una profezia che lotta, paga di persona, indica i confini di un mondo diverso da quello che sembra prevalere. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia. Mi viene in mente quello che patiscono i genitori di ragazzi disabili alle prese con istituzioni che liquidano sbrigativamente la loro situazione. Un papà ieri mi diceva: l’azienda sanitaria è stata più sorda di mio figlio che non ci sente. Ma mi viene in mente anche la loro tenacia: “Non è per me, ma per loro. E per loro si va avanti”. Avete sentito anche la denuncia di Papa Francesco rispetto alle donne licenziate non appena dichiarano di aspettare un figlio. In alcune aziende sottoscrivono già all’assunzione la lettera di dimissioni, qualora l’ipotesi si realizzasse. Il papa ha parlato di un duplice diritto: al lavoro e alla maternità. Qui dobbiamo fare le lotte, giocarci e scendere in piazza: a difesa della famiglia e della natalità. Questi sono anticorpi buoni. Che difendono l’uomo e gli consentono di nascere ancora.
    È possibile essere santi? La prima lettura ci ha presentato una moltitudine immensa che nessuno poteva contare. Il battesimo che abbiamo ricevuto non è stato uno scherzo. Esso produce novità nella nostra vita, al di là anche della nostra osservazione. I santi del calendario, ma anche tanti altri santi più vicino ci indicano la strada.